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Lo pseudonimo nel pensiero filosofico

Nel documento Identità battesimale (pagine 100-103)

Lo pseudonimo: l’identità nascosta

ARGENTINA DE ANGELIS

2. Lo pseudonimo nel pensiero filosofico

Un altro tratto conoscitivo dell’identità pseudonimica è rappresentato dal suo aspetto per così dire “funzionale”. Aldilà della sua funzione “genetica” di na- scondimento, lo pseudonimo, nel mondo delle arti e delle lettere, e non solo, si pone come identità velata o deviata o pluralizzata da parte dell’uomo, che gioca con il concetto stesso di branded identity.

Il nascondimento dell’identità lo troviamo nel pensiero del filosofo danese Søren Kierkegaard, che lo considera strumento per moltiplicare la propria identità, ossia esprimere quel teatro di maschere che danno vita alle sue opere, ognuna del- le quali rappresenta le possibilità dell’esistenza. Ciò crea, a sua volta, una pluralità di stadi identitari quale manifestazione di una personalità tormentata, incapace di parlare in prima persona e di assumere un’unitaria identità personale. Le sue stesse opere di maggior successo, Aut aut, Timore e tremore, Briciole di filosofia, sono state pubblicate sotto pseudonimi come Victor eremita, Johannes Climacus, usati in un gioco di luci ed ombre del proprio Io, al fine di creare un distacco tra il suo punto di vista e quello dei suoi personaggi circa le possibilità dell’esistenza uma- na, e far sì che l’interlocutore sia indotto a sceglierne una. Ma, paradossalmente, lo pseudonimo è anche una tecnica per far emergere l’Io, una sorta di pedagogia per indurre l’interlocutore ad entrare in dialogo con se stesso e provocare in lui quell’introspezione e, al contempo, immedesimazione sulle possibili scelte dell’e- sistenza, come egli stesso affermava: “Il mio compito fu perciò di creare personalità di

autori e di lanciarli in mezzo alla realtà della vita per abituare un po’gli uomini a parlare in prima persona. La mia azione è così quella di un precursore, fino a quando verrà colui che nel senso più rigoroso dica: io”.

Una diversa fisionomia del proprio Io, forse di una “identità deviata” , la ritroviamo nello scrittore portoghese Fernando Pessoa. L’uso dei vari pseudonimi (di Álvaro de Campos, Riccardo Reis, Alberto Caeiro e Bernardo Soares) dà vita alla costruzione di molteplici identità, ma, a differenza di Kierkegaard, egli ne abita ognuna. Spiegava, così, queste sue scelte in una lettera del 1935: “L’origine dei miei

eteronimi è il tratto profondo di isteria che esiste in me. [...] L’origine mentale dei miei eteronimi sta nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simula- zione. Questi fenomeni, fortunatamente, per me e per gli altri, in me si sono mentalizzati; voglio dire che non si manifestano nella mia vita pratica, esteriore e di contatto con gli altri; esplodono verso l’interno e io li vivo da solo con me stesso”.

concetto classico di pseudonimo nella sua accezione di semplice mascheramento dell’identità anagrafica. Essi svelano la sfera intima ed emotiva del soggetto che vi si cela, lasciando affiorare quelle incognite esistenziali che possono indurlo anche alla cancellazione del proprio nome e, dunque, del proprio Io, fino a condurlo alla costruzione di identità diverse. Talvolta, l’individuo attraverso l’uso di un falso nome non si limita a travestire la propria identità. Spesso la camuffa con sottigliez- za, la nasconde e se, a volte, può essere un modo per prendersi gioco di sé, altre volte può divenire uno strumento - e il confine è labile - per eludere o sfuggire alla propria identità, facendo risuonare come reale ciò che non lo é.

Si coglie così la ragione di questa riflessione filosofica in progress sullo pseu- donimo che tenta di andare alla scoperta di un’identità nascosta dai toni goliardici o camaleontici. Una identità strettamente connessa con fenomeni sociali e mani- festazioni dell’ethos pubblico che sotto un certo aspetto, come avremo modo di vedere, potrebbe celare una personalità dai tratti narcisistici, in cui è latente quella pulsione al contempo di vita e di “morte” - ossia di esaltazione del proprio Io op- pure di esasperazione della propria identità - che può giungere fino alla perdita e allo smarrimento di sé.

Pertanto, senza voler penetrare un terreno psicologico scivoloso, si adotte- ranno i concetti di identità e di narcisismo con una connotazione metaforica per sottolineare quelle tendenze o derive identitarie che caratterizzano la crisi della soggettività contemporanea, per poi valutare se è possibile considerare in questi termini l’identità pseudonimica come identità narcisistica, senza che ciò implichi necessariamente una patologia psichica della persona che ne porta i tratti.

Ecco, allora, che l’agnizione Ovidiana quale sinonimo per indicare il rico- noscimento o la scoperta dell’identità di qualcuno, ai nostri giorni, sembrerebbe essere non più soltanto un elemento narrativo per giocare sul riconoscimento o la scoperta di un’identità occulta o dimenticata, ma qualcosa di più. Si può, infatti, prestare a paradigma interpretativo di un uomo che con il cambiamento del nome vuole dare il via alla metamorfosi di una identità volubile, o forse rinnegata, sin- tomatica di un fragile rapporto tra l’Io e la sua apparenza, oppure di un fragile rapporto tra la coscienza e il suo corpo, fragilità che finiscono per renderlo sempre più dedito alla propria immagine.

Chi è dunque colui che si cela dietro lo pseudonimo? Chi si cela dietro que- sta “identità nascosta”?

È in tal senso che la metafora diviene linguaggio e risposta e lascia esprime- re quei simboli e quelle immagini che si ritrovano tanto nella filosofia quanto nel mito, nell’arte e nella letteratura.

L’uomo con lo pseudonimo è senza identità, come i personaggi delle foto- grafie di Brassai4, i cui volti non sono riflessi ma è riflessa la nuca che simboleggia

la mancanza di identità, come nella Ragazza del biliardo (1932), l’Armadio a specchi (1932), dove i corpi dei protagonisti si voltano le spalle e non mostrano i loro volti, simbolo dell’indifferenza e della mancata conoscenza.

E ancora, è l’uomo “flessibile” di Sennet, ossia l’individuo plasmato dal nuovo capitalismo, che nell’enfasi e nell’inganno della flessibilità del lavoro ha introdotto un cambiamento nello scenario contemporaneo del lavoro con forti ri- cadute sulla vita personale dell’uomo. L’individuo ha visto, così, minate le proprie radici, ha conosciuto il senso di fallimento per l’incapacità di rispondere in modo adeguato alle nuove sfide con una progressiva erosione del proprio Io (Sennet R., 2009).

Ma è anche l’identità “liquida” di Bauman, del “qui ed ora”, perché pro- prio come i “liquidi , a differenza dei corpi solidi, non conservano a lungo la propria for-

ma, sempre pronti (e inclini) a cambiarla” incapaci di creare qualsiasi legame di tempo

e spazio. Secondo l’autore, infatti, non vi è nulla di più instabile e di provvisorio dell’identità umana, rispetto alla quale gli ancoraggi solidi e tradizionali (famiglia, lavoro, Stato) sono venuti meno e l’individuo ha perso il proprio senso di appar- tenenza, creando quel divario tra ciò che dovrebbe essere e ciò che realmente è (Bauman Z., 2008).

E, infine, l’identità pseudonimica è l’identità senza alterità, come il Narciso di Ovidio che finisce per occuparsi dell’imago, così come Eco si è consunta d’amore per lui sino a divenire flatus vocis; e lo stesso fa lui, destinato ad innamorarsi senza saperlo della propria immagine riflessa in uno specchio d’acqua.

Sono solo alcune ipotesi di una identità nascosta: tanti piccoli pezzi di un puzzle difettoso, espressione utilizzata da Bauman, che critica il concetto d’identi- tà-puzzle, poiché ritiene che le varie parti possono dar vita solo ad un insieme pri- vo di senso. Il puzzle, infatti, parte da una soluzione definitiva perché è orientato all’obbiettivo, presume dunque la completezza dei pezzi da comporre e la garan- zia di un’immagine finale. Nella costruzione dell’identità, invece, l’intera impresa

è orientata ai mezzi: i soggetti non sanno quanti e quali pezzi hanno a disposizione

e quale sarà l’immagine finale. L’identità pertanto diviene l’esito di un “fai espe-

rimenti con ciò che hai” in una realtà sempre più liquida e generatrice di paure ed

incertezze (Bauman Z., 2003).

Parafrasando Pirandello siamo in presenza di “Una identità, nessuna o cen-

tomila”. Una identità in crisi, come quella del protagonista del romanzo Vitangelo

Moscarda, che adotta una nuova identità, consapevole che l’immagine di sé non corrisponde a quella che gli altri hanno di lui e che lo condurrà ad una chiusura narcisistica.

Vero è che il fanciullo del mito, come la figura dello specchio, riassume tutte queste identità, che simboleggiano il socratico “conosci te stesso”, consentendoci di operare nell’uso dello pseudonimo quell’introspezione filosofica del “Si se non

noverit”, ossia della non conoscenza, che vedrebbe l’identità dell’individuo ad un

bivio tra una identità velata e una immagine svelata, tale da indurre chi vi si cela a vivere la propria identità in un narcisistico “gioco delle parti tra specchio-imma- gine-conoscenza di sé”.

si è, ossia per conoscere la propria anima, con il Narciso di Ovidio la conoscenza di sé passa attraverso un’imago “riflessa nella fonte”, l’apparenza. Eppure l’identità va al di là dell’apparenza, poiché il conoscersi attraverso un’immagine non equiva- le a conoscere se stessi per come si è realmente.

Dunque la versione di Ovidio ci consente di cogliere nell’identità pseudoni- mica una distonia dell’uomo, che rischia di vedere il mondo attraverso lo specchio in cui si contempla, con il pericolo di ricondurre la realtà all’immagine e far appari- re reale ciò che è solamente immagine. (Ovidio, Metamorfosi III , 43 a.C. - 17 d.C.). Tra realtà e illusione, il mito greco narra di questa contraddizione, ossia quell’abitare il conflitto rappresentato simbolicamente dall’uomo che si guarda allo specchio, espressione di un’ambiguità nel voler essere Alter, racchiusa nello spazio di un verso “infelix, quod non alter et altera eras” (Ovidio, Fasti IV, 9 d.C).

La narrazione del mito si condensa, così, nella metafora dello “specchio ”5

d’acqua, quale luogo di trasformazione e di inganno. Simbolo che accompagna la storia dell’uomo con la propria immagine e, quindi, con il proprio doppio (e la propria moltitudine), e ci consente una analisi dell’identità pseudonimica per rivelare in colui che si cela dietro lo pseudonimo quelle contraddizioni dell’Essere come Narciso alla fonte: rimirandosi, si era innamorato di se stesso, fino a dimen- ticare Eco, fino a perdersi nella propria immagine.

Nel documento Identità battesimale (pagine 100-103)