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LUISA LODEVOLE

Nel documento Identità battesimale (pagine 142-151)

L’identità del nascituro

LUISA LODEVOLE

L’espressione “identità del nascituro” è problematica sotto diversi aspetti. In primo luogo si potrebbe porre in discussione la giustapposizione dei ter- mini e chiedersi: ha un’identità il nascituro? Ma questa domanda di fondo potreb- be essere formulata in altro modo: cosa è identico nel nascituro dall’inizio della sua esistenza alla nascita, quando diventa nascens e poi natus? Costituisce un’identità il nascituro?

In secondo luogo: di quale identità si vuole parlare? Il tema deve essere circoscritto, poiché si può parlare di identità sotto diversi profili, per esempio di identità biologica, genetica, filosofica, psicologica, giuridica. In questa sede si af- fronterà il tema dell’identità del nascituro con gli strumenti dell’argomentazione filosofico-giuridica.

A proposito del nascituro da parte della dottrina e della filosofia del diritto molto è stato detto.

Qui non interessa riproporre un excursus delle diverse posizioni dottrinarie, seppure sarà necessario tenere conto di alcune di esse nel percorso argomentativo, ma mettere in chiaro le questioni sottostanti e tentare di sciogliere i nodi dell’iter logico.

Chi è il nasciturus? Il vocabolo nascituro, come noto, è participio futuro del verbo latino nascor e non ha un equivalente nella lingua italiana, salvo che si vo- glia utilizzare una costruzione esplicita con una proposizione relativa: colui che nascerà1. Dunque: chi è colui che nascerà? Solo qualcuno che già è, può agire, ac-

quistare una qualità, subire l’azione altrui. Se nascerà qualcuno, vuol dire che già è, già esiste, come evidenziato da autorevole dottrina2 nell’esame dell’art. 1 del

codice civile italiano3. Lo stesso autore rileva infatti che il complemento di agente

della proposizione trasformata nella forma passiva (che reciterebbe: la capacità giuridica è acquistata dal momento della nascita) non potrebbe essere che “ogni uomo” o “ciascuno”4.

Fino ad alcuni decenni or sono non era possibile con gli strumenti della scienza e della medicina osservare l’esistenza di un uomo prima della sua nascita, ma nonostante questa mancanza di visibilità, il diritto, sin dall’epoca della civiltà

romana mediante l’elaborazione dei prudentes, riconosceva l’esistenza dell’uomo nell’utero della donna e riconduceva ad essa importanti effetti giuridici. L’inseri- mento del conceptus nella trama delle relazioni intersoggettive rilevanti per il dirit- to era pertanto effettiva, nonostante non esistesse nella cultura giuridica romani- stica una concettualizzazione astratta della capacità giuridica o della soggettività di diritto.

Paradossalmente mentre in epoca post-moderna grazie ai progressi della biomedicina5 sono aumentate incredibilmente le possibilità di osservazione e di in-

dagine sul nascituro, si è accresciuto lo iato tra i concetti di nascituro e di soggetto, e conseguentemente tra condizione del nascituro e titolarità di spettanze e diritti fondamentali.

Qui si vuole ravvisare una prima criticità nel discorso che riguarda l’iden- tità del nascituro: in epoca contemporanea sembra possibile non tenere conto del dato osservazionale e la negazione del riconoscimento nel corpo di un nascituro nei primissimi stadi del suo sviluppo dell’esistenza di un uomo viene spesso con- siderata legittima senza necessità di giustificazione.

Come è stato autorevolmente affermato al fine di comprendere corretta- mente il valore della vita ed in particolare della vita umana, non è sufficiente la considerazione della dimensione biologica poiché “il bios non ha in se stesso il proprio fondamento, né per quel che riguarda il principio della sua vitalità, né per quel che concerne il principio della sua individualità”6.

Tuttavia per una retta indagine sulla realtà della vita umana la dimensione fisica, corporea, è punto di partenza necessario e imprescindibile perché manife- sta, rende visibile l’individualità dotata di valore; viceversa la salvaguardia e la protezione di quest’ultima passa necessariamente per la salvaguardia dell’integri- tà fisica7, anche se non si esaurisce con questa. Altrimenti detto “il valore non ap-

partiene all’ordine della natura [...] ma è solo grazie all’ordine della natura che il valore

può avere possibilità di manifestarsi”8.

Partendo dall’ordine della natura non possono essere messe da parte le re- centi indicazioni della comunità scientifica su chi è l’«embrione umano»9 conside-

rato che il nascituro o concepito ovvero “l’embrione umano, fin dal momento della fecondazione, ossia dalla fusione dello spermatozoo e dell’ovocita, è un nuovo individuo umano, distinto dai suoi genitori”10.

Dimensione fisica e dimensione di valore sono intimamente connesse nel singolo vivente allo sguardo di chi sappia vedere oltre “i materialismi riduzioni- stici” - a quello sguardo che permetteva ai filosofi classici di indagare oltre la realtà fisica ovvero meta-fisica - perché “solo ontologicamente si può percepire in un uomo vivente una unità superiore alla mera somma delle cellule che compongono il suo corpo”11.

L’individualità del nascituro dovrebbe peraltro risultare ancora più evi- dente in un’epoca in cui l’embrione può iniziare ad esistere e svilupparsi anche all’esterno del corpo della donna: eppure il fatto che l’embrione possa trovarsi in

vitro in “isolamento”12, al di fuori di quell’ambiente naturale, il grembo materno,

dove da sempre è stato considerato, realizza una reificazione13 dell’embrione, per-

ché rende disponibile la sua vita. La “separabilità biologica”, piuttosto che aiutare a vedere con chiarezza “la dualità di soggetti”14, favorisce un trattamento del nasci-

turo come oggetto piuttosto che come soggetto e “crea il problema di ripristinare il percorso naturale verso la nascita”, anche se “non può essere un alibi per disporre altrimenti del principio di vita o per distruggerlo”15.

Il primo tassello del mosaico del nostro discorso è quindi costituito dal ri- conoscimento del nascituro come l’uomo che già è e che uscirà dal grembo della madre e della sua realtà corporea come dato fenomenico portatore di senso e di valore, quel valore proprio dell’identità umana.

Il legame tra i concetti di uomo e quello di individualità dotata di valore o, con linguaggio giuridico, tra uomo e persona, non è ritenuto dalla dottrina pre- valente del tipo della corrispondenza biunivoca ed anzi è da rilevare lo sviluppo di filoni di pensiero per i quali vi sarebbero uomini non qualificabili persone e viceversa persone per il diritto non appartenenti alla specie umana. Come è stato evidenziato “la questione è rilevante antropologicamente [...]: se gli esseri umani allo stadio embrionale, fetale e infantile, se i malati mentali, quelli in stato vegetati- vo persistente, quelli in fase terminale, non rientrano nella categoria delle persone, essi perdono ogni autonomo diritto al riconoscimento della loro dignità”16. La pre-

visione stessa della necessità di “requisiti ulteriori” rispetto all’esistenza dell’essere umano vivo ai fini del riconoscimento del suo valore, genera in un ordinamento pericolose zone “d’ombra, la parte oscura”, ovvero la possibilità di “esclusioni dal novero dei soggetti”17 meritevoli di tutela di alcuni esseri umani. Se non è vero

che tutti gli esseri umani hanno lo stesso valore, indipendentemente da qualità o facoltà, potenziali o attuali, abilità solo possedute o anche esercitate, e nonostante difetti fisici o psichici, allora si apre la possibilità di stabilire un criterio di selezione o discrimen tra gli uomini18.

Neanche dovrebbe essere possibile ravvisare alcuna inferenza tra grado di sviluppo dell’organismo umano e suo valore: l’essere umano, che dalla fusione dei due gameti maschile e femminile alla morte possiede una sua individualità ed un suo patrimonio genetico, è in costante sviluppo e la sua conformazione fisica, chimica, biologica è inserita in un continuo processo all’interno del quale le singole fasi non possono essere isolate o “soggettivizzate”19. Altrimenti anche il biologo

che ricerca sull’embrione è un aggregato di cellule, solo più complesso di quello20.

Il secondo tassello mette a fuoco l’inestimabile valore di ogni essere umano, che nel linguaggio giuridico è espresso dal termine dignità e, nel sistema dottri- nario elaborato a seguito della codificazione, dai concetti giuridici di persona21 o

soggetto.

La deduzione che alcuni ricavano dall’interpretazione dell’art. 1 c.c. secon- do la quale “ogni nato va trattato da persona ed è (o «ha») una persona per il dirit- to”22 porta del tutto fuori strada. Sarebbe del tutto fuorviante dedurre dal diritto

nascita: il diritto non nega, e non potrebbe negare, l’esistenza dell’uomo nel grem- bo materno, bensì attribuisce una determinata qualità, propria del mondo del dirit- to, all’uomo in quella fase della sua esistenza. Quella qualità, la capacità giuridica, è concetto astratto, avente un suo contenuto all’interno di quel sistema di concetti e collegamenti che è un ordinamento giuridico positivo. In altre parole il ragiona- mento che facesse derivare da una asserzione per quanto di natura definitoria una qualità onto-fenomenologica opererebbe un chiaro errore logico.

Chi però, come l’autore sopra citato, ritiene il concetto di persona fonda- to su una mera convenzione23, adotta una “concezione convenzionalistica del lin-

guaggio e nominalistica della definizione”24 ed ammette una discriminazione tra

uomo e persona, poiché assume il dato giuridico positivo a schema interpretativo e valutativo della realtà. Se non tutti gli uomini sono persone, allora un’ombra minaccia il mondo del diritto, perché, come la storia dovrebbe insegnare, questo ragionamento giustifica pratiche selettive e discriminatorie degli esseri umani con gli esiti tragici tristemente noti.

L’asserzione impropriamente dedotta dall’art. 1 del codice civile “ogni nato va trattato da persona ...” dovrebbe essere correttamente riformulata come segue: “ogni uomo va trattato da persona ...”. Inoltre anche da una rilettura25 attenta delle

norme positive emerge che “la subordinazione alla nascita non esclude, come non esclude la condizione, che si sia in presenza di una realtà giuridica attuale e tute- labile”26.

Il quadro assume ora una configurazione più completa e l’itinerario logico fin qui percorso porta a collegare i contenuti esposti e ad affermare sinteticamente che “l’unica astratta soggettività giuridica è poggiata alla «nuda corporeità» dell’e- sistenza umana”27. Tra la corporeità, l’identità umana e la soggettività corre un filo

di una matassa che non può essere reciso ma solo sviluppato: l’identità esprime una “dimensione antropologica”28 dell’essere umano che è ancorata29 alla dimen-

sione biologica e può essere tradotta nel linguaggio giuridico mediante le concet- tualizzazioni proprie di quest’ultimo, quali soggetto di diritto, persona.

Difendere l’identità umana30 a partire dalla dimensione fisica del nascitu-

ro è fondamentale per un ordinamento che voglia difendere la comune identità umana, perché “per sacrificare il concepito a un fine diverso dalla nascita, bisogna apertamente affermare che l’uomo, nato nella natura e dalla natura, può disporre non solo della natura ma di se stesso contro la natura”31. Ciò che rimane identico

durante lo sviluppo coordinato dell’essere umano è il progetto iscritto nel corredo cromosomico, che è uguale anche dopo la nascita, e cioè la sua identità genetica; ma a quella identità bio-chimica è ancorata l’individualità umana, e in questo sen- so il nascituro è identico all’uomo adulto e non ha identità propria, ma ha la stessa identità del bambino e poi dell’uomo adulto.

Chi è privo di pregiudizi e di sospetti anti-metafisici può con lapalissiana evidenza riconoscere che colui che nascerà non è un altro ma è lo stesso che prima deve nascere e può ravvisare un identico quid presente in lui e nell’uomo adulto, la comune identità umana. Solo uno sguardo che sappia cogliere lo spessore antropo-

logico dell’identità ed il carattere ontologico del legame tra questa e la dimensione corporea dell’uomo - nasciturus, nascens, natus, e allo stesso tempo moriturus - ren- de giustizia alle spettanze di qui in utero est.

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Note

1 Sarebbero necessarie in tedesco cinque parole per esprimere ciò che il participio futuro nasciturus esprime: “der, der geboren werden wird”.

2 Cfr. P. Zatti, Questioni della vita nascente, in S. Rodotà, P. Zatti (diretto da) Trattato di Biodiritto, vol. II, Tomo II, Il governo del corpo, Milano, Giuffré, 2011, pp. 1307-1337, in particolare p. 1310: “Chi è dunque questo acquirente, chi il nascente che «conquista», nascendo, la capacità che consegue solo da «nato»? Chi nasce?”.

3 L’art. 1 codice civile recita: “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita”.

4 P. Zatti, Questioni della vita nascente, cit. Anche se l’autore perviene a conclusioni non condivise da chi scrive, questa analisi appare estremamente chiarificatrice.

5 Sul delicato rapporto tra scienza e diritto con riferimento al “tema [...] terribilis dell’inizio (ma anche forse della «produzione») della vita umana e quindi della possibile manipolazione della stessa” vedasi L. Violini, Tra scienza e diritto: riflessioni sulla fecondazione medicalmente assistita, in G. Razzano (a cura di), Procreazione assistita: problemi e prospettive: Atti del Convegno di studi tenutosi

a Roma il 31 gennaio 2005 nella sede dell’Accademia dei Lincei/ a cura dell’ISLE, Istituto per la documen- tazione e gli studi legislativi e della Fondazione nuove proposte, Centro Studi Giuseppe Chiarelli, Sche-

na editore, Fasano (BR) 2005, pp. 459-476. Vedasi anche Erhard Denninger che parla di “difficile ruolo del diritto nell’intreccio di progresso scientifico, controllo dei rischi tecnologici, interessi economici e concetti di moralità”, in E. Denninger, La tutela dell’embrione e la dignità dell’uomo.

O: dei limiti della forza normativa di una costituzione, in V. Baldini (a cura di), Diritti della persona e problematiche fondamentali. Dalla bioetica al diritto Costituzionale, Torino 2004, pp. 21-31.

6 F. D’Agostino, Bioetica e biopolitica. Ventuno voci fondamentali, Giappichelli, Torino 2011, p. 45. L’autore ricorda che per i classici la psyché non è “mero principio animatore di carattere fisico” ma “apre” l’individualità “all’attuazione di se stesso, gli consente di riconoscersi ed affermarsi come un io; è ciò che gli offre e gli spalanca la dimensione del senso”. La dimensione fisica è pertanto il “luogo in cui la zoé può manifestarsi fenomenicamente come psyché, cioè come quella forma di individualità, che è il presupposto e il fondamento di ogni assiologia”, cfr. ibidem, pp. 45-46.

7 F. D’Agostino, Bioetica, Giappichelli, Torino 1998, p. 200.

8 F. D’Agostino, Bioetica e biopolitica, cit., p. 47.

9 G. Gambino, Diagnosi prenatale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2003, p. 191.

10 G. Gambino, Diagnosi prenatale, cit., p. 192; cfr. sul punto A. Serra, The human embryo: a disposable

“mass of cells” or a “human being”?, in Medicina e Morale, 2002, n. 1, pp. 63-80; nonché H. Pearson, Your destiny, from day one, in Nature, 2002, vol. 418, pp. 14-15.

11 F. D’Agostino, Bioetica e biopolitica, cit., p. 46.

12 G. Oppo, Procreazione assistita e sorte del nascituro, cit., p. 28.

13 G. Gambino, Diagnosi prenatale, cit., p. 196.

14 P. Grossi, Alcune considerazioni in merito al problema della tutela giuridica del concepito, in G. Razzano (a cura di), Procreazione assistita: problemi e prospettive..., cit., pp. 209-228, in particolare p. 214.

16 A. Pessina, Bioetica, Milano, Bruno Mondadori, 2000, p. 80; l’autore sviluppa il discorso eviden- ziandone le nefaste conseguenze: “ Questa tesi porta con sé diverse conseguenze: rende legittime le sperimentazioni su certe categorie di cosiddetti esseri umani-non-persone, toglie ogni spesso- re all’accusa di omicidio [...], impone dei doveri nei confronti di alcuni mammiferi non-umani [...], modifica le modalità relazionali tra i viventi”, ibidem, p. 81.

17 P. Zatti, Questioni della vita nascente, cit., p. 1312.

18 Adriano Pessina rileva come le diverse correnti di pensiero, che tuttavia convergono nel “ri- conoscere l’imperativo morale del rispetto e accettare come inviolabile il principio, fonte della stessa convivenza umana, del non uccidere”, nascondono “quello che oggi si presenta come il più radicale progetto di discriminazione antropologica, legato al fatto che non tutti concordano nel definire «persona» ogni uomo, ad ogni stadio della sua vita in ogni condizione di salute”, cfr. A. Pessina, Bioetica, cit., p. 80.

19 G. Pöltner, Grundkurs Medizin-Ethik, Wien, Facultas Universitätsverlag 2002, p. 213: “ «Embrio- ne» non significa un individuo distinto da me, e neanche affatto un mero qualcosa, significa invece una trascorsa fase di vita di me stesso. Non è l’embrione diventato un uomo adulto, ma io stesso lo sono diventato. Altrimenti la unità storico-temporale di me stesso viene convertita nell’unità di un ente collettivo (a modo di una mandria di mucche). Non si può fare di una fase di vita un soggetto del divenire” [la traduzione è redazionale].

20 G. Pöltner, Grundkurs ..., cit., p. 215: “Quando si descrivono con metodo riduzionistico le primis- sime fasi di vita e per esempio si parla di aggregati di cellule, si deve conseguentemente descri- vere allo stesso modo l’intera storia esistenziale - altrimenti si commette un errore di categoria. Dal punto di vista delle scienze naturali anche l’Embriologo non è niente altro che un aggregato di cellule - solamente uno divenuto più complesso” [la traduzione è redazionale].

21 Per un excursus storico-giuridico sulla tutela riservata al nascituro nella legislazione positiva a seguito della codificazione vedasi E. Giacobbe, Il concepito come persona in senso giuridico, Torino, Giappichelli, 2003, pp. 1-94.

22 P. Zatti, Questioni della vita nascente, cit., p. 1313, per l’autore la norma dell’art. 1 c.c. “prescrive di circondare la realtà fattuale del corpo vivente dell’uomo di quel totale rispetto che si dà all’uomo persona”, laddove per l’autore l’essere umano vivente sarebbe tale solo dopo la nascita, diversa- mente da come sostenuto da chi scrive.

23 P. Zatti, Questioni della vita nascente, cit., p. 1316.

24 P. Borsellino, Bioetica tra “morali” e diritto, Milano, Raffaello Cortina, 2009, p. 58.

25 G. Oppo, Procreazione assistita e sorte del nascituro, in G. Razzano (a cura di), Procreazione assistita:

problemi e prospettive..., cit., pp. 15-30. L’autore istituisce un collegamento tra art. 1 del codice civi-

le, art. 1 della legge n. 194 del 1978 e art. 1 della legge n. 40 del 2004 e ne ricava che “la tutela e la stessa fecondazione sono dunque volte alla nascita [...]”.

26 G. Oppo, Procreazione assistita e sorte del nascituro, cit., p. 18. Nello stesso senso vedasi P. Grossi,

Alcune considerazioni in merito al problema della tutela giuridica del concepito, cit., p. 215: “Subordina-

to alla nascita non appare, infatti, il riconoscimento di quest’ultimo [ndr: del concepito], o meglio il prodursi dei requisiti necessari per la sua venuta ad esistenza, bensì l’effetto negativo dell’ac- quisto da parte di un titolare che evidentemente è già supposto come giuridicamente esistente [...] sotto il profilo sistematico, avuto riguardo cioè al meccanismo operativo, che è proprio della condizione: dalla quale dipende l’eventuale verificarsi degli effetti della fattispecie negoziale, non l’esistenza dei suoi destinatari”.

Nel documento Identità battesimale (pagine 142-151)