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Può esistere un’identità “naturalmente” incestuosa?

Nel documento Identità battesimale (pagine 75-78)

L’identità incestuosa

FRANCESCA D’AMATO

1. Può esistere un’identità “naturalmente” incestuosa?

Ha senso parlare di “un’identità incestuosa”? O, per meglio dire, il carattere

incestuoso risulta compatibile con il paradigma identitario? Oppure, con l’espressione

suddetta, si intenderebbe far riferimento, seppur implicitamente, alla natura pato-

logica della “personalità endogamica”?

Non risulta agevole offrire una risposta a tali interrogativi. Evitando di elu- dere tali domande, tuttavia, sarebbe possibile delineare alcuni profili di riflessione

giusfilosofica.

La questione circa la plausibilità (o meno) di un’identità avente carattere in-

cestuoso, infatti, rinvia necessariamente al paradigma della familiarità e, ancor prima,

alle dimensioni costitutive dell’humanum.

Quale requisito strutturale dell’uomo, invero, l’identità implicherebbe non soltanto un riferimento all’uguaglianza, ovvero all’identicità di un soggetto rispet- to a se stesso, quanto, altresì, all’insieme di tutte quelle caratteristiche che consen- tirebbero di identificare, distinguere (in altre parole, riconoscere) una soggettività rispetto alle altre, ovvero al complesso di attributi che definirebbero un’individua- lità per ciò che realmente è: una realtà unica ed irripetibile, non replicabile né in- tercambiabile con le altre.

Il concetto di identità, in altre parole, sarebbe legato “alla nozione di perma-

nenza, cioè alla nozione di mantenimento di punti di riferimento fissi, costanti e tali da sfuggire a quei cambiamenti che interessano il soggetto o l’oggetto nel corso del tempo. L’identità si applica pure alla delimitazione, che assicura una certa esistenza allo stato se- parato e permette di circoscrivere l’unità, cioè la coesione totalizzatrice che è indispensabile al potere di distinzione” (Green 1996, 79).

Nel caso dell’identità incestuosa, pertanto, si tratterebbe di verificare se l’in-

terdizione endogamica rappresenti un requisito imprescindibile dell’uomo, ovvero

se l’identità umana sia costitutivamente fondata sul tabù dell’incesto, non essendo pensabile una manifestazione incestuosa del paradigma identitario che non presenti un carattere patologico, oppure se risulti plausibile ipotizzare una possibile compa-

tibilità della categoria incestuosa con l’identità, qualora si consideri la tabuizzazione dell’incesto alla stregua di un mero dato storico-culturale, non avente una valenza

ontologica, ma meramente contingente.

Sarebbero dunque questi i termini del problema, che richiederebbero un approfondimento in ordine alla natura strutturale del divieto di incesto in riferimen- to all’identità umana.

Un argomento certamente rilevante ai fini del riconoscimento di una valen- za ontologica dell’interdizione incestuosa sarebbe costituito dall’evidenza empirica, la quale rivelerebbe come il paradigma tabuico dell’incesto risulti appartenere all’intero genere umano (al di là delle singole manifestazioni ontiche assunte dalla proibizio- ne), mostrando un’indiscutibile universalità.

Sotto questo profilo, tuttavia, le scienze etno-antropologiche, pur contri- buendo sensibilmente (attraverso l’ingente mole di dati offerti) ad evidenziare il carattere universale ed onnipresente del divieto di incesto, riscontrabile generalmente presso tutte le popolazioni storicamente individuate (salvo rare e limitate ecce- zioni circoscritte tanto temporalmente quanto geograficamente), non sarebbero in grado di esaurire l’intero significato rintracciabile nell’uomo in quanto essere

familiare costitutivamente strutturato sulla base della proibizione incestuosa, dovendo

necessariamente ricorrere al supporto della riflessione giusfilosofica.

Quest’ultima consentirebbe di tratteggiare una vera e propria ontologia del- la proibizione incestuosa, unitamente ad una metafisica della soggettività1 (Amato 1985,

134), ovvero una metafisica del soggetto in quanto essere strutturato sulla base di una

relazione familiare esogamica.

Come ha avuto modo di affermare Francesco D’Agostino, infatti, “alcuni

punti nodali in tema di famiglia (…) non possono che essere ritenuti filosofici, perché - sen- za trascurare la rilevanza dell’esperienza storico-culturale per l’identificazione dell’huma- num - ci consentono di aprirci alla comprensione della dimensione di senso che l’identità familiare (esogamica) conferisce all’essere dell’uomo. La logica del senso non è un’acqui- sizione storica, ne è piuttosto il presupposto (…)”. L’uomo, pertanto, andrebbe inteso

essenzialmente come “un animale familiare” (D’Agostino 2010, 11-13).

Ed è proprio nel riferirsi alla soggettività familiare quale caratteristica strut-

turale dell’essere umano che si giunge a “scontrarsi” necessariamente con il tema

dell’identità.

È evidente, invero, come ogni individuo, nascendo all’interno di una comu-

nità familiare originaria, instauri una relazione dialettica con delle specifiche iden- tità, individuate attraverso l’assunzione di ruoli genitoriali e familiari determinati,

articolati sulla base del tabù dell’incesto. Quest’ultimo, infatti, vietando la scelta del

partner all’interno del proprio nucleo familiare ed imponendo di ricercare il coniuge

all’esterno (ovvero presso famiglie “estranee”), consentirebbe, da un lato, all’indi- viduo di aprirsi alla società per la formazione di nuove realtà familiari e, dall’altro, soprattutto, di apprendere, mediante l’esperienza di legami familiari interdetti all’e- sercizio della sessualità tra i membri (con l’unica esclusione del rapporto coniugale

fondativo della famiglia), la propria dimensione identitaria, unica ed irripetibile. In tal modo, l’Io potrebbe definirsi entro un determinato “limite”, evitando di “dis- solversi” nell’indistinzione.

All’interno della famiglia, quale luogo identitario originario, ovvero quale luogo di condivisione di uno stesso spazio e di un tempo in comune, il singolo soggetto sarebbe in grado di acquisire la propria specifica identità, distinguendosi dal “diverso da sé” e custodendo l’integrità della propria individualità, al fine di incontrare nuovamente l’Altro nel rispetto della propria unicità.

Sotto questo profilo, invero, si può correttamente ritenere che se nessuna persona possa essere ritenuta completamente identica ad un’altra, risultando un dato incontrovertibile il fatto che ciascun essere umano possieda un’esclusiva ed insostituibile identicità a se stesso.

Tali considerazioni, tuttavia, determinerebbero i complessi interrogativi precedentemente menzionati, riproponendo le seguenti domande: come si potreb- be coniugare, soprattutto dal punto di vista ontologico, il paradigma identitario con il fenomeno incestuoso? Sarebbe possibile, sotto un profilo giusfilosofico, ipotizzare l’esistenza di una “naturale” identità incestuosa? Oppure, nel caso dell’incesto, ci si troverebbe dinanzi ad un’identità contraddetta e patologica?

Certamente, la proibizione dell’incesto consentirebbe la formazione di un’i-

dentità personale autonoma all’interno della famiglia, nel rispetto di ruoli diffe-

renziati, ovvero permetterebbe la produzione di una soggettività priva di qualsiasi condizionamento da parte dei familiari (orientato a considerare il figlio o il parente come un oggetto nella propria disponibilità e non come un individuo caratterizza- to da una propria unicità costitutiva). “Poiché non può essere, in nome del tabù dell’ince-

sto, ridotto ad appartenere, come oggetto sessuale, al padre o alla madre, il soggetto umano è chiamato ad appartenere esclusivamente a se stesso” (D’Agostino 2014, 136).

In tal senso, l’interdizione endogamica permetterebbe di ancorare “l’io alla pro-

pria definitività” (Amato 1985, 135)2 ed individualità, al fine di non cadere nell’in-

differenziazione.

L’esperienza incestuosa, al contrario, introdurrebbe, una forma di discontinu-

ità identitaria, imponendo al soggetto una confusione dei ruoli familiari (e genito-

riali) ed impedendo una corretta formazione psicofisica dell’individuo all’interno della comunità familiare originaria.

Ecco le ragioni del perché non sarebbe possibile coniugare, soprattutto sotto il profilo ontologico, il paradigma dell’identità con il fenomeno incestuoso; né, tanto- meno, sarebbe possibile, sotto il profilo giusfilosofico, ipotizzare l’esistenza di una “naturale” identità incestuosa, in quanto vi sarebbe una radicale e costitutiva incompa-

tibilità tra la categoria dell’identità (che presuppone una singolarità ben definita, un

ordine dell’Io e della comunità familiare nella quale l’individuo è inserito) e l’espe- rienza della personalità incestuosa (che, al contrario, comporterebbe una negazione dell’identità ed una confusione del linguaggio interno al nucleo familiare (Ferenczi 1974, 415-427)3, impedendo al soggetto di relazionarsi con l’Altro da sé attraverso

una personalità autonoma).

Il divieto di incesto, pertanto, contribuirebbe in maniera determinante all’ac- quisizione di un’identità esente da qualsiasi condizionamento e, soprattutto, coe- rente con le premesse ontologiche dell’humanum, caratterizzate dall’individualità, dal rapporto dialettico con l’alterità e dalla reciprocità dei rapporti.

L’identità incestuosa, invece, quale manifestazione patologica del paradigma

identitario, rappresenterebbe una forma di relazionalità a-reciproca, ovvero a-comu- nicativa.

La personalità endogamica, altresì, comporterebbe tanto “un’implosione” del- la comunità familiare, quanto una disgregazione della società, essendo idonea a de- strutturare le fondamenta stesse del corpus sociale, costituite da nuclei di parentela fondati sulla regola esogamica.

Per tali ragioni, l’identità, così come la sessualità umana, articolata sulla base del tabù dell’incesto, costituirebbe la condizione di possibilità della stessa società umana (Lévi-Strauss Claude 2010, 86).

La personalità non incestuosa, d’altra parte, rappresenterebbe un vero e pro- prio “bene di identità”4 (Sparti 2003, 147), finalizzato a consentire l’instaurazione di

una relazione di reciprocità dapprima all’interno del nucleo familiare e, successiva- mente, tra individui estranei ma accomunati da una sostanziale parità ontologica.

Contrariamente, sulla base di tali assunti, sarebbe possibile affermare la na- tura patologica dell’identità incestuosa.

Nel documento Identità battesimale (pagine 75-78)