L’identità biologica
MARGHERITA DAVERIO
2. Potere, diritto e vita biologica
Il discrimine tra politica per la vita e politica sulla vita si fonda precisamen- te sul riconoscimento o meno di uno statuto epistemologico proprio del bíos che consenta o meno di metterne in luce l’intrinseca normatività, ovvero il carattere di riferimento significativo per il diritto e per l’agire politico.
Nella logica della biopolitica come politica sulla vita - per intenderci, la pro- spettiva di M. Foucault - , la triade di potere, diritto e vita biologica è sbilancia- ta nella direzione del potere, che prevale sia sul diritto che sulla vita biologica. “Nel contesto di questo discorso potere non è solo riferito al soggetto Stato, ma sta ad indicare ogni prassi collettiva di carattere autoreferenziale, che quindi giustifica se stessa solo in quanto prassi e non assumendo come proprio doveroso principio di riferimento l’oggettività del reale e la sua intrinseca normatività (secondo il para- digma classico del giusnaturalismo, in tutte le sue diverse varianti)”7. All’interno
della prassi autoreferenziale il diritto non può che essere strumento delle logiche di potere, soggetto, al massimo, a rispettare delle condizioni di validità delle nor- me positive. Un rapporto simile intercorre tra potere e vita biologica: quest’ultima
è controllata e definita in toto dal potere, secondo quanto sosteneva Foucault, che nel 1976 si esprimeva così riguardo al “potere di regolazione”, cioè al controllo dell’autorità politica sull’uomo in quanto essere vivente: “Al di qua, dunque, di quel grande potere assoluto, drammatico, fosco, che era il potere della sovrani- tà, e che consisteva nel poter far morire, ecco ora apparire, con la tecnologia del bio-potere, con questa tecnologia del potere su ‘la’ popolazione in quanto tale, e sull’uomo in quanto essere vivente, un potere continuo, scientifico: il potere di ‘far vivere’. La sovranità faceva morire e lasciava vivere. Ora appare invece un potere che definirei un potere di regolazione, il quale consiste, al contrario, proprio nel far vivere e nel lasciar morire”8. La vita biologica è totalmente presa nelle maglie del
potere e definita dall’autorità politica, che si esercita sull’uomo in quanto essere vivente e che non riguarda più la vita sociale, la vita della polis, ma invece, e per sua essenza, controlla, organizza, gestisce “i corpi”. La sessualità e in generale la corporeità sono solo frutto dell’esercizio del potere pubblico e ridotti ad oggetto della sua disponibilità. Sempre secondo Foucault, già con la modernità “al vecchio diritto di far morire o di lasciar vivere si è sostituito un potere di far vivere o di re-
spingere nella morte”9, come abbiamo richiamato in precedenza.
La pervasività della biopolitica, abbiamo detto, riguarda la gestione della vita biologica e della corporeità in generale e si ritrova nei molteplici pratiche che riguardano non solo la gestione e la protezione della corporeità e della vita biologi- ca, ma anche la sua definizione. Tra i molteplici esempi che si potrebbero riportare, è significativo quanto sta accadendo nei confronti del concetto di filiazione, che di per sé esprime il legame, biologico e antropologico, tra i genitori e il figlio e vice- versa. Si tratta di uno dei concetti fondamentali dell’humanum, che in tempi recenti è stato messo in discussione non solo sul piano pratico, come vedremo nel consi- derare alcune pratiche biopolitiche, ma anche su quello teorico, come per esempio emerge dall’ancora recente rapporto dal titolo “Filiazione, origini, genitorialità”, commissionato nel 2014 dal governo francese ad un gruppo di esperti, allo scopo di elaborare una nuova legge sulla famiglia (progetto per ora rimandato).
Il rapporto, meglio noto come “rapporto Théry”, contiene tra l’altro la pro- posta di ridefinizione del concetto di filiazione, e auspica un adeguamento del diritto al riconoscimento di nuove forme di istituzione della filiazione. Infatti, se da un lato gli autori si propongono di fare della filiazione l’asse portante della fa- miglia, dall’altro, in particolare nella seconda parte del primo volume, è contenuta la richiesta, rivolta al diritto, di ridefinire la filiazione stessa, che potrebbe essere istituita in almeno tre modi, accomunati non tanto dal riferimento alla dimensione biologica, quanto dall’impegno procreativo.
Il percorso è questo: mentre la coniugalità, per effetto del cosiddetto “démar-
iage” (“ormai sposarsi o meno, separarsi o meno, non è più percepito come un ob-
bligo sociale imperativo o come un orizzonte ineludibile dell’insieme dei rapporti sessuati, ma come una questione di coscienza personale”, si legge nel rapporto), sarebbe diventata labile e mutevole, la filiazione invece continuerebbe ad avere il carattere dell’indissolubilità ed un ruolo centrale nell’ambito del diritto a conosce- re le proprie origini. In proposito, troviamo nel rapporto: “Così questa prima parte
dà il senso della riforma che ci sembra necessaria: completare per la filiazione l’e- quivalente della metamorfosi che si è già realizzata per la coniugalità. Questo pas- sa principalmente attraverso l’adozione e la generazione attraverso donatori terzi, con l’obiettivo di istituire per tutti un diritto della filiazione “comune e pluralista”, capace di incarnare in modo leggibile e coerente i valori essenziali su cui oggi si fondano questi legami”10. L’intenzione è quella di superare un modello unico di
filiazione, legato appunto alla dimensione biologica, altrimenti detta “carnale”; un modello valido, il più diffuso, ma non l’unico: “La filiazione, in quanto legame di parentela, deve ormai essere risolutamente definita come un legame comune a tutti e animato per tutti dagli stessi valori fondamentali di giustizia. Dobbiamo rompere decisamente con il passato di gerarchia tra le filiazioni (legittima e natura- le, carnale e adottiva) e promuovere l’uguaglianza tra tutti i figli attraverso l’unità della nozione di filiazione. D’altra parte, deve però essere fatto uno spazio decisivo alla pluralità quando si tratta di modalità di istituzione della medesima, perché niente giustifica la conservazione del modello unico di procreazione, quando la filiazione contemporanea è sempre più fondata sull’impegno genitoriale verso un figlio che la coppia di genitori non pretende in alcun modo di aver procreato insie- me”11. Continua il rapporto: “Lungi dall’escludere o dallo stabilire gerarchie, noi
pensiamo che il senso di una riforma della filiazione debba essere quello di fare coesistere nella stessa dignità tre modalità di istituzione della filiazione: la gene- razione attraverso procreazione carnale, l’adozione, la generazione con donatore terzo”12.
Non siamo quindi solo in presenza dell’“emergenza sociale” delle nuove forme di procreazione: vengono auspicati riconoscimenti di diritto, che svuotano di senso la filiazione come legame originario, in particolare dal punto di vista bio- logico, equiparandovi altre forme di procreazione, in base appunto ad un comune impegno procreativo: “La generazione con donatore terzo nella Pma non può esse- re assimilato né a una procreazione carnale né ad un’adozione. Per questo propo- niamo di stabilire per lui una modalità sui generis di istituzione della filiazione, ba- sata per tutte le coppie su una «dichiarazione comune anticipata di filiazione»”13.
Una “dichiarazione anticipata di filiazione”, che porterebbe ad una prevalenza dell’identità giuridica sull’identità biologica, non è poi così lontana dalla realtà di alcune pratiche biopolitiche contemporanee.