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Il cinelinguaggio come mediatore pedagogico

di Fabio Bocc

14.2. Il cinelinguaggio come mediatore pedagogico

Per quel che concerne il cinelinguaggio in ambito educativo-didattico e formativo essenzializziamo qui alcuni aspetti già ampiamente illustrati in altri nostri lavori (Bocci, 1998, 2002, 2005, 2006, 2008, 2012).

Ricordiamo in breve che il cinelinguaggio costituisce un medium ideale in quanto è in grado di attivare in coloro che sono coinvolti nell’esperien-

ze visivo-narrativa processi di identificazione e/o di proiezione (Gemelli, 1928; Musatti, 2000). Per effetto di tali meccanismi psicologici l’imma- ginazione dello spettatore è sollecitata da una vasta gamma di dinamiche cognitive e socio-affettive, le quali si attivano grazie alle tecniche narrative proprie del linguaggio filmico − i cosiddetti trucchi magici di cui parla Morin (1962): la mobilità della macchina da presa, la colonna sonora, l’accelerazione o la dilatazione del tempo, l’uso dei primissimi piani e dei dettagli, ecc.

Si tratta indubbiamente di un mediatore estetico – foriero di infiniti riferimenti metaforici e simbolici – capace come pochi altri di innescare intenzionalmente il pensiero critico del fruitore (Agosti, 2003).

In effetti, se per un verso lo spettatore (qualsiasi sia il motivo della sua partecipazione alla fruizione filmica) si trova immerso nella narrazione (Maragliano, 1996), vivendo una sorta di vero e proprio incantamento (Musatti, 2000), per un altro verso è chiamato – grazie all’incontro/scontro della sua immaginazione con l’immaginario veicolato dalla narrazione a

cui è esposto − a ri-configurare elementi di realtà (Kracauer, 1962; Lum- belli, 1974). Ciò si deve al fatto che il cinema, in quanto forma espressiva che attraverso la pellicola registra elementi di realtà (Laporta, 1979), cattu-

ra e riflette questa realtà «con tutte le sue contraddizioni, inquietudini e in- certezze e [pertanto, si configura come] un mezzo per immergersi in questa realtà» (Angrisani, Marone, Tuozzi, 2001, p. 10).

Il cinelinguaggio, dunque, è in grado di suscitare nello spettatore quella modificazione della condizione psichica riscontrabile nei soggetti che si trovano in situazioni d’apprendimento.

Si tratta, secondo una nota definizione di Dieuzeide (1966), di un orien-

tamento aspettante, che genera l’interesse e incrementa lo stato di allerta (arousal) dello spettatore (Bocci, 2012). Il quale, a prescindere dall’età anagrafica, si trova a vivere intensamente (sul piano cognitivo ma, soprat- tutto, su quello affettivo ed emotivo) la partecipazione all’esperienza filmi- ca, percependola come un evento significativo e motivante.

In altri termini, richiamando anche l’altrettanto nota distinzione (dialet- tica non dicotomica) di Bruner (1993), possiamo dire che durante la visione del film l’individuo si trova immerso nei meccanismi tipici del pensiero

narrativo, quali il coinvolgimento emotivo, la curiosità, l’orientamento

aspettante. Successivamente – anche grazie all’intermediazione di altre figure (nel nostro caso un insegnante, un educatore, un formatore) – il sog- getto in questione si avventura nei territori dell’astrazione avvalendosi delle modalità di ragionamento tipiche del pensiero paradigmatico, come ad esempio l’esplicitazione di sensazioni personali, la rilevazione consapevole di eventi, di fatti, di episodi e di comportamenti descritti nel film, la loro identificazione e classificazione, così come l’analisi, l’interpretazione e la generalizzazione di certi accadimenti osservati.

Siamo all’interno di una situazione che possiamo definire di tensione

conoscitiva, che l’atto formativo trasforma in processo di apprendimento. Nel caso del cinelinguaggio, ciò avviene perché tale modalità di incon- tro, di elaborazione e analisi delle informazioni, delle conoscenze e dei saperi veicolati dalla narrazione filmica, consente agli spettatori di porsi collettivamente e sinergicamente di fronte a determinati fenomeni (si pensi al fatto che durante la visione, quando sono in scena determinati momenti della narrazione si ride o si piange collettivamente, anche se ciascuno lo fa per proprio conto).

Si tratta di una risorsa straordinaria per insegnanti, educatori e forma- tori i quali mediante il cinelinguaggio hanno l’opportunità far emergere (e mettere in campo) vissuti, esperienze, aspettative, valori, convinzioni, ecc.

Immersione e astrazione dialogano: tutti si mettono in gioco valoriz- zando (ma anche ponendo in confronto con gli altri) i personali stili di elaborazione delle informazioni, i repertori strategici di analisi e approccio

alla realtà che ciascuno sente più congeniali. In tal modo si incrementano le probabilità che si attivino le funzioni creative appartenenti al potenziale personale (Mencarelli, 1972) dei singoli e dei gruppi coinvolti.

Per creatività qui intendiamo quella funzione del pensiero divergente che consente alla persona di produrre più risposte a partire da un singolo stimolo. Tale processo si differenzia significativamente da quelle modalità di ragionamento tipiche del pensiero convergente, finalizzate a far conse- guire (e nella scuola questo è ancora un modello/modus agendi prevalente) una singola (univoca) risposta (ritenuta esatta) anche a partire da una serie di stimolazioni.

Ad agevolare questa divergenza creativa, vi è anche la caratteristica di

fiction che connotano il film. Il fruitore si trova a interagire con una rap- presentazione della realtà che non è del tutto reale ma che, nel contempo, coinvolge attivamente lo spettatore come se fosse all’interno della realtà.

Lo spettatore (che poi tale non è, in quanto è parte attiva nella costru- zione dell’esperienza filmica), assiste/partecipa a una vicenda che percepi- sce come non del tutto vera, ma che potrebbe esserlo, che non lo riguarda

direttamente, ma che potrebbe riguardarlo.

In tal modo si struttura quel setting che abbiamo precedentemente defi- nito come zona franca in cui sperimentare differenti vie per l’elicitazione e l’esplicitazione del dei personali sistemi/repertori conoscitivi in generale e in riferimento a situazioni specifiche. Nel nostro caso, ad esempio, quelle legate alle situazioni di disagio conseguenti a eventi traumatici e alle mo- dalità di risposta individuali e collettive: coping, autoefficacia, empower-

ment, ecc. che concorrono all’attivazione dei processi di resilienza.

In sintesi, possiamo affermare che un’attività educativo-didattica e for- mativa incentrata sulla comunicazione filmica sia in grado di mettere in campo almeno (Bocci, 2005, 2006):

– un accesso alle informazioni flessibile e significativo, veicolato da una molteplicità di sistemi simbolico-culturali;

– una varietà di gradi di coinvolgimento nel processo di apprendimento (dall’immersione all’astrazione);

– una partecipazione attiva nell’interazione formativa;

– il superamento di un tipo di acquisizione delle conoscenze (anche di sé) meramente sequenziale.

Entrando nello specifico dei film che possono avere una rilevanza in ambiti che hanno a che fare con la pedagogia dell’emergenza, un’espe- rienza formativa mediata dal cinelinguaggio è in grado di coinvolgere i partecipanti alla visione condivisa di descrizione di eventi di vita (life

events) individuali e collettivi che a partire da situazioni traumatiche (in un’accezione molto ampia) mettono in scena fatti, luoghi, persone, storie che evocano o possono consentire l’evocazione di processi di autoeffica-

cia, empowerment, resilienza, in modo da determinare l’apertura di quello spazio franco al quale abbiamo accennato in cui i vissuti siano chiamati gadamerianamente ad un atto di comprensione (di sé, degli altri, dei fatti vissuti, delle modalità di fronteggiamento possibili o, anche, nell’immedia- to impensabili).

I percorsi da intraprendere sono molteplici e naturalmente vanno decli- nati a seconda delle situazioni e dei destinatari (adulti, ragazzi, bambini). Ma questa ulteriore mediazione nella mediazione è specificamente la fun- zione che deve svolgere l’educatore o il formatore, il quale (come ci hanno mostrato Vaccarelli e Isidori nella loro ricerca) non può non essere che in situazione, partecipante.

In altri termini, si diviene agenti di agentività umana (Bandura, 2000), la quale può essere definita come la capacità dell’individuo o di gruppi so- ciali di agire in modo intenzionale, finalizzato e attivo all’interno dei con- testi che abita/no, in modo da trasformarli.

14.3. Una possibile proposta per la pedagogia emergen-

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