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La teoria dell’attaccamento e i ruoli del caregiver

di Viviana Langher

8.1. La teoria dell’attaccamento e i ruoli del caregiver

La teoria dell’attaccamento è ai giorni nostri molto diffusa. Non solo impegna risorse ed attrae investimenti nell’ambito accademico, ma ha ini- ziato da tempo ad infiltrare vaste aree del pensiero esperto di altre discipli- ne, dalla pedagogia alla pediatria. Alcuni concetti fondamentali sono poi divenuti patrimonio del pensiero laico, influenzando così le attitudini ed i comportamenti delle persone che a vario titolo ricoprono una funzione di responsabilità nei confronti dei bambini, dalle figure parentali agli educa- tori del periodo prescolare e in parte della scuola primaria.

Il contributo sostanziale, scientifico e culturale, che dobbiamo ricono- scere alla teoria dell’attaccamento, è l’aver posto in luce alcune caratteristi- che dello sviluppo infantile intrinsecamente connesse alla qualità dell’am- biente relazionale nel quale i piccoli crescono (Bowlby, 1989). In questo scritto considereremo alcuni elementi salienti: la capacità d’impatto delle cure parentali, il concetto di “base sicura”, lo stretto rapporto tra motiva- zione all’attaccamento e la motivazione ad esplorare l’ambiente. Cerchere- mo, inoltre, di contestualizzare questi concetti all’interno della composita rete di relazioni prossimali e distali che influiscono sui nuclei familiari, cercando di superare ciò che sembra essere un’anomala forzatura, quella di riferirsi al nucleo familiare che contiene il bambino come se esso vivesse in una specie di bolla, riparata da ciò che accade nel più ampio tessuto so- ciale della comunità di appartenenza.

È ragionevole affermare che l’influenza della comunità, della sua cul- tura locale, degli avvenimenti che l’attraversano avvenga in maniera in- diretta sullo sviluppo del bambino. Questa affermazione si poggia sulla considerazione che le figure parentali medino significativamente ciò che può raggiungere il bambino, soprattutto nelle prime fasi del suo sviluppo,

quando la sua vita relazionale è costituita dal nucleo familiare e da quegli elementi che hanno un ingresso, più o meno transitorio, in quel nucleo. È possibile, tuttavia, che in taluni casi, questa funzione mediatrice delle fi- gure parentali sia molto meno efficace fino ad essere del tutto inefficiente, come può essere il caso di avvenimenti che sconvolgono un’intera comuni- tà, costituiscono una minaccia reale all’integrità se non alla sopravviven- za dei membri della comunità, e sono dunque per loro natura eventi dal potenziale impatto traumatico. Un terremoto capace di mietere vittime, di sconvolgere l’assetto fisico, urbanistico, strutturale di un luogo è uno degli eventi cui possiamo attribuire una elevata probabilità di evento ad impatto traumatico.

La fondamentale rilevanza delle cure parentali è stata messa in luce da John Bowlby, sin dalle sue prime osservazioni sui bambini istituzionaliz- zati perché avevano perso uno o entrambi i genitori, o gli stessi si erano dovuti allontanare dai figli a seguito delle trasformazioni seguite alla con- clusione della seconda guerra mondiale. Bowlby aveva concluso dalle sue osservazioni che la presenza dei genitori, in particolare della madre, era una condizione fondamentale per garantire al bambino uno sviluppo psico- logico equilibrato. La sua convinzione aveva dato luogo alla concettualiz- zazione della capacità precoce dei bambini di costruire legami significativi con i genitori sin dalla tenera età. In particolare, la presenza della madre, del caregiver fondamentale, era necessaria per proteggere il bambino dagli intensi sentimenti di angoscia che potevano attivarsi in lui a seguito della delicata condizione di bisogno e dipendenza, di inabilità motoria che gli rende impossibile badare a se stesso e proteggersi da solo dai pericoli reali, o terribilmente fantasticati. La funzione del caregiver è quella di offrirsi al bambino come la fonte delle sue sicurezze, la sua base sicura, appunto. Il

caregiver coglie con sensibilità i segnali di disagio e di angoscia del bam- bino, per lo più non verbalizzabili da lui, risponde in maniera contingente ed appropriata: lo nutre se ha fame, lo rassicura se ha paura, lo incoraggia se è troppo cauto, lo calma per i brutti sogni notturni. Il bambino appren- de a sapere che con i suoi genitori è al sicuro, perché questa esperienza di soddisfazione del bisogno di sicurezza è frequente, perché i suoi genitori sono lì quando lui ne ha bisogno, la maggior parte delle volte, se non sem- pre. Il genitore che si presta ad essere la base sicura del bambino gli inse- gna anche a regolare e realizzare il suo bisogno di esplorazione: il bambino che sa che può rivolgersi al suo genitore in qualunque momento, dunque ne ha interiorizzato la presenza come costanza dell’oggetto affettivo, si sente più sicuro nella esplorazione dell’ambiente fisico e relazionale non immediatamente circoscritto al suo nucleo familiare. Non solo: impara ad entrare in contatto con le sue emozioni, sviluppa la capacità di esplorarle, di metterle in relazione con persone ed eventi del mondo; getta cioè le basi

per lo sviluppo successivo di una capacità integrativa di pensiero ed emo- zione, di regolazione dei suoi stati interni in relazione agli specifici eventi ed alle specifiche persone con cui entra in contatto.

In realtà, per vari motivi, non tutti i genitori e non sempre nella fase della vita in cui sono genitori di bambini piccoli, riescono a svolgere que- sta funzione di base sicura. Alcuni possono non essere abbastanza sensibi- li, con ciò non cogliendo i segnali di disagio che il bambino manda, i quali possono essere molto ambigui giacché il bambino piccolo non ha ancora la capacità di verbalizzarli o di farlo correttamente. Oppure, pur cogliendoli, possono non essere in grado di fornire la risposta di rassicurazione che il bambino chiede, perché incerti e timorosi, o perché il disagio del bambino attiva in loro una reazione di rifiuto della sua fragilità, della sua condizione di dipendenza e bisogno. Questi casi sono tutt’altro che rari e perciò com- patibili con uno sviluppo sano del bambino, magari con più ansia o senso di solitudine rispetto ai bambini che crescono con una base sicura accanto. In entrambi i casi il rapporto tra senso di appartenenza al legame affetti- vo e interesse per l’esplorazione si modifica. Se il bambino che ha la base sicura accanto trova il modo di regolarsi tra piacere del legame e piacere dell’esplorazione, quando prevale l’ansia e l’incertezza del suo caregiver allora il suo piacere per l’esplorazione diminuisce e si contrae, perché il bambino si sente implicato nel rapporto con un caregiver preoccupato che diventa suo compito, in una configurazione relazionale denominata in- versione di ruolo, rassicurare. Se invece prevale la risposta emotivamente fredda e rifiutante del genitore, allora il bambino sarà portato ad investire meno sul legame di attaccamento e a preferire di rivolgere la sua attenzio- ne verso l’esterno, più al mondo degli oggetti che delle persone, rifuggendo in parte anche dal contatto con i suoi stati emotivi interni, troppo legati a sensazioni di solitudine e scarso valore di sé.

Vi è poi un altro caso, nel quale la funzione di base sicura può essere significativamente compromessa. Ciò avviene quando il genitore viene in- vestito da un evento traumatico, un abuso, un lutto, o anche un trauma del passato mai elaborato. In queste circostanze, viene a crearsi una situazione paradossale. Il genitore non è fallace nella sua capacità empatica verso il bambino, o nella sua volontà di rispondere in maniera appropriata ai biso- gni del figlio, o nel suo desiderio di confortarlo. Il genitore traumatizzato sperimenta stati dissociati del sé ed è incapacitato, in alcune circostanze, a connettersi emotivamente con il bambino come anche a riconoscere i suoi propri stati emotivi. Accade dunque che esprima la sua angoscia, la sua paura, o il suo dolore profondo in maniera disorganizzata, senza cioè che le sue capacità di contenimento delle emozioni si mettano in funzione per proteggere il suo piccolo dall’esposizione a questi elementi emozionali che si esprimono senza mediazione. Nei confronti di questo genitore il

bambino sperimenta il paradosso di aver bisogno di essere liberato dall’an- goscia proprio da quella persona che è fonte stessa della sua angoscia. Il bambino si trova sprovvisto di strategie: non riesce ad evitare di rivolgersi al genitore per chiederne la protezione, non riesce ad avvicinarsi a lui per consolarlo, ma sperimenta una profonda confusione circa la natura di quel- la relazione. Una dinamica simile, ma basata su premesse assai diverse, si realizza quando un genitore abusante alterna momenti di abuso e violenza a momenti di calda manifestazione d’affetto: il bambino si ritrova confuso circa la natura della relazione con il genitore.

I motivi che possono portare un genitore ad essere fallimentare nel- lo svolgimento della sua funzione di base sicura sono molteplici. Spesso ci si riferisce alle esperienze di attaccamento che egli ha sperimentato da bambino con i suoi genitori, in una sorta di destino che si crea inter- generazionalmente. Se ha sperimentato uno o entrambi i genitori come rifiutanti, tenderà a ripetere quello schema da genitore. Altrettante volte però una analisi più aperta alla considerazione delle variabili contestuali ci può consentire di comprendere situazioni non spiegate dalla ipotesi della trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento come meccanismo tout

court. Alcune variabili possono influenzare significativamente, anche se in- direttamente, la qualità della relazione tra caregiver e bambino. La qualità della relazione coniugale può deteriorarsi per i più vari motivi. Vicende di vita che riguardano persone importanti vicine alla famiglia possono avere un’influenza rimarchevole sull’equilibrio di un genitore per periodi anche prolungati. I cambiamenti nella situazione economica o lavorativa di un genitore possono renderlo meno capace di essere emotivamente accessibi- le al bambino. Quando si verificano queste o simili situazioni, i genitori possono con il tempo trovare delle risorse nel loro contesto relazionale, ri- ferendosi a parenti o amici, o a professionisti che li supportano nel momen- to di difficoltà e le condizioni possono migliorare. Ma quando un’intera porzione di tessuto sociale viene investita da un evento drammatico, allora le risorse dei genitori diminuiscono gravemente ed essi possono rimanere anche molto a lungo impantanati nella loro condizione di difficoltà emoti- va, con effetti duraturi, se non stabili, sulla relazione di attaccamento con i loro bambini.

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