di Cosimo Mangione
10.3. Un’illustrazione empirica: l’intervista con Domenica Ferrin
Per sottolineare anche dal punto di vista empirico gli assunti esposti – forse in maniera eccessivamente apodittica – nelle pagine precedenti, pre- senteremo alcuni brevi passaggi dell’intervista autobiografica-narrativa con una donna ottantaquattrenne dell’Aquila, Domenica Ferrini, che ha vissuto in prima persona il terremoto del 20096. In quest’intervista Domenica
Ferrini ricostruisce le tappe essenziali del suo percorso biografico, sottoli- neandone l’importanza per il proprio sviluppo individuale e per la costru-
6. L’intervista è stata raccolta durante una ricerca, ancora in corso, sul ruolo del servi- zio sociale in situazioni d’emergenza e post-emergenza a seguito del terremoto di Amatri- ce (2016) e dell’Aquila (2009).
zione di un universo di valori in cui si riflette la dignità e la pienezza della sua persona. Pur nella laconicità del racconto emergono con chiarezza dal percorso di vita un sentimento di profondo amore per la famiglia, l’impor- tanza del lavoro, dell’amicizia e della solidarietà, ma anche l’orgoglio, ora sommesso e ora palese, per ciò che il marito, un affermato artigiano, ed un figlio, professore universitario, con impegno e sacrifici hanno saputo raggiungere. Ancora giovane donna, Domenica Ferrini si trasferisce dalla Marche all’Aquila dopo aver conosciuto Marco Ferrini (“una persona squi- sita” dirà lei), il quale diverrà in seguito suo marito. Alcuni anni prima del terremoto Marco Ferrini – anche a causa degli errori commessi dai medici durante un’operazione – s’ammalerà gravemente e viene, avendo perso la sua autosufficienza, allettato.
La violenta scossa sismica che colpisce L’Aquila nella notte del 6 aprile coglie la coppia di sorpresa. Dopo il “grande boato” Domenica Ferrini, aiutata dalla “badante”, riesce tra mille difficoltà a lasciare l’appartamento. Nella rievocazione di quest’episodio Domenica Ferrini sottolinea le sue preoccupazioni per le condizioni di salute del marito, che ha bisogno per respirare di una bombola d’ossigeno. Il figlio Carlo, arrivato dopo in soc- corso dei genitori, porta la coppia in ospedale:
Carlo ci ha portato subito fuori davanti all’ospedale, pensando che potevamo ri- empire l’ossigeno per mio marito, la bombola portatile, prendere acqua, un caffè e invece tutto/ le strade allegate e un’alba rosa. Mi è rimasto qua (si tocca con un dito la testa), come il sorgere del sole, polvere rosa e tutto il cielo rosa, come fosse una cosa dipinta… e poi tanto terrore dentro. Siamo stati davanti all’ospedale per terra seduti e tanto/ continuamente scosse scosse scosse.
In questo breve passaggio non appare chiaro perché il gruppo, dopo aver raggiunto l’ospedale, non possa accedere ai soccorsi. Viste le difficoltà respiratorie di Marco Ferrini messe in risalto dalla moglie sarebbe stato plausibile che una lunga attesa, come quella descritta, avesse aggravato ul- teriormente la situazione. In effetti, confrontando questa ricostruzione con il racconto del figlio, Carlo Ferrini, ci è apparso subito evidente come, a causa dei danni alla rete di viabilità automobilistica, la corsa verso l’ospe- dale non sia in realtà mai avvenuta. Lo spazio a disposizione m’impedisce di soffermarmi più a lungo su questo episodio, in cui emerge con evidenza lo scarto tra “verità raccontata” e “verità storica” (Spence, 1982), per cerca- re di chiarirne la genesi e il significato7. Paradossalmente questo aspetto ci
7. Nella bibliografia riguardante la narrativa di soggetti traumatizzati viene utilizzata l’espressione “false memory” per discutere fenomeni analoghi (Barlow, Pezdek, Blandón- Gitlin 2017, p. 310).
consente però di comprendere meglio l’atteggiamento biografico di Dome- nica Ferrini nei confronti dell’esperienza del sisma. Quest’atteggiamento è caratterizzato da un rifiuto di accettare l’episodio del terremoto come parte integrante e significativa della propria vita. L’intera intervista è dal punto di vista formale ricca di elementi narrativi che confermano sintomatica-
mante questa difficoltà di scoprire in quest’esperienza drammatica un oriz- zonte di senso. Il racconto, ad esempio, presenta una serie di discontinuità cronologiche – Schütze (1987, p. 222) parla a tal riguardo di «costruzioni narrative di sfondo» (Hintergrundskonstruktionen) – che rendono evidente come il terremoto sia vissuto come qualcosa d’estraneo alla propria vita. Anche l’immagine dell’alba rosa, che a Domenica Ferrini appare come un dipinto, fa pensare ad un episodio surreale ovvero a qualcosa che appartie- ne ad un’altra “provincia finita di significato” per utilizzare l’espressione, poi ripresa ed approfondita da Schütz (1973), di William James. Che questa mancata accettazione sia una sorgente di profonda sofferenza per Domeni- ca Ferrini emerge con chiarezza nelle parti in cui fa un bilancio biografico della sua esperienza:
Però io il terremoto se passa una macchina forte, io ce l’ho dentro. Qua (mostra con un dito la sua testa). Ce l’ho proprio qua il terremoto. Non mi passa. Come sento il terremoto, come dice di qua, di là, c’ho dei brividi profondi, delle cose che non so neanche a spiegare. Forse chi non ci è passato non riesce a capire. A Roseto dicevano che sembravamo tanti matti noi di Aquila, ma real/realmente s’impazzisce. Non hai una casa dove/dove poggiarti, ti danno le mutandine per cambiarti/ non si vergogna a dirlo. Niente. Ti trovi così. Ti trovi senza niente in mezzo alla strada, senza soldi, devi chiedere chiedere… (…) Ma il terremoto mi ha segnato tanto (…) E questo è tutto il terremoto che/che non mi lascia libera. Non riesco a cancellare questo maledetto terremoto. Non riesco a cancellarlo perché mi ha fatto male, mi ha fatto male. (…) Purtroppo è stata così per me. (…) che devo dire? Mi aspettavo una vecchiaia diversa. A come ho trascorso la vita mi aspettavo una vecchiaia/ migliore (…) è stato un maledetto terremoto, un maledet- to terremoto.
10.4. Conclusioni
La nostra tesi è che Domenica Ferrini potrebbe trarre giovamento se la si aiutasse a far lavoro biografico. In quest’ottica l’assistente sociale può avere un ruolo fondamentale, non solo nell’incoraggiare il confronto narra- tivo con l’esperienza del sisma, ma anche per creare le condizioni perché questo confronto avvenga. È di centrale importanza articolare un interven- to che sappia stimolare gli utenti ad interrogarsi sul ruolo dell’evento cata- strofico nella propria vita, essendo consapevoli che questo significa incitarli
a ricostruire la propria esperienza con la catastrofe e quindi a conservarne la drammaticità del ricordo. L’assistente sociale deve esser cosciente di questo paradosso inerente al lavoro biografico con utenti traumatizzati dall’evento catastrofico e allo stesso tempo deve saper incoraggiarli a par- tire da quel dolore per accettarlo e costruire storie di senso ovvero storie in cui il dolore viene redento da una prospettiva futura, pur sapendo che il ri- schio futuro di una nuova catastrofe accompagna ogni progetto biografico.
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