di Alessandro Vaccarell
13.3. Resilienza, resistenza, cura educativa
“Saltare all’indietro per prendere un’altra direzione” è il significato del termine resilire, da cui la parola resilienza prende forma (cfr. Malaguti,
2005; Vaccarelli, 2016). È il salto all’indietro, il ritrovarsi in un punto ini- ziale o di svolta, che però può prevedere, oltre al dolore, al disorientamen- to, al sentire le forze esaurirsi, nuove scommesse e possibilità di (tras)for- mazione. Catastrofe e resilienza contengono nelle loro radici etimologiche l’idea generale di cambiamento, di punto di snodo di una vicenda umana. La resilienza indica la capacità di affrontare le avversità e di uscirne raf- forzati e aperti alla ricerca di nuovi equilibri (Malaguti, 2005; Vaccarelli, 2016). La letteratura sulla resilienza ha origine dai primi lavori di Werner (1982), che ha individuato i percorsi che permettono l’avvio di processi positivi quando si incontrano condizioni di vita eccezionalmente critiche. In letteratura si è discusso se la resilienza sia un tratto di personalità fisso e misurabile o un processo dinamico e dunque sensibile al processo edu- cativo. Kumpfer (1982) individua sei fattori che spiegano tale costrutto: eventi stressanti, contesti ambientali, processi di interazione tra persona e ambiente circostante, fattori di resilienza interna, processo di resilienza e adattamento. Richardson (2002) ha proposto quattro categorie che ren- dono le persone resilienti: spontaneità, etica, nobiltà d’animo, intuito. Per Richardson le qualità resilienti sono innate, ma vanno nutrite e rafforzate durante il corso della vita. È in questo senso che la resilienza investe la natura educabile del soggetto umano. Da questi studi emerge l’idea che tra i possibili meccanismi responsabili della capacità di resilienza vi siano le strategie di coping e l’appraisal, vale a dire gli sforzi cognitivi e comporta- mentali per trattare richieste specifiche interne o esterne, che sono valutate come eccessive ed eccedenti le risorse di una persona (coping) e la capacità di valutazione delle situazioni che avviene grazie ai precursori cognitivi e alle emozioni. Ad esse si aggiungono un efficace sentimento di base sicura, un locus of control interno, ma anche il senso dell’ironia, l’humor, il senso etico, ecc. (cfr. Vaccarelli, 2016).
Risolvere i problemi della catastrofe unicamente all’interno dei temi del trauma, dello stress e, dunque, della resilienza, sarebbe fortemente riduttivo.
La catastrofe genera spesso oppressione, anche di carattere politico. Su questo le considerazioni sulla shock economy di Naomi Klein (2007), dunque su quell’economia delle catastrofi che si attiva solo a sostegno di interessi economici e politici esterni, disgregando i gruppi e le comunità, molto dovrebbero far riflettere rispetto alle risposte educative e pedago- giche, chiamate non solo ad affrontare le questioni strettamente connesse alla resilienza, ma anche quelle legate alla dimensione etica e politica della
resistenza. Così è stato nel terremoto aquilano (cfr. Puglielli, infra), dove, a valle delle scelte insediative (molto dispendiose per lo stato e svolte senza un reale processo partecipativo) che hanno portato alla costruzione di ben 16 agglomerati, molto distanti tra di loro e disposti circolarmente rispetto
al centro storico distrutto, si è via via definito un senso dell’abitare “ato- pico” (Calandra, 2012), in cui il rifiuto del luogo diventa l’espressione più evidente di un più ampio disagio psicosociale (Vaccarelli, 2015; Vaccarelli, Ciccozzi, Fiorenza, 2015).
La resistenza (Mantegazza, 2000; Contini, 2009) fa emergere il senso sociale, etico, e non ultimo, pedagogico di sé, quale direzione, percorso, strumento per affermarsi come cittadini, dunque come individui e come collettività e per affermare il diritto alla vita di territori e di comunità fe- rite, quale spazio passato, presente e futuro che possa conferire identità e appartenenza. Da un punto di vista pedagogico, di una resistenza istituzio- nale e della necessità di definire e/o valorizzare buone pratiche educative, innovative, orientate al presente e al futuro, che consentano soprattutto alla scuola di farsi promotrice di un senso della cittadinanza consapevole e partecipata. Ma resistenza anche di fronte alle scelte a monte (scelte in- sediative, tecniche edilizie poco sicure che coinvolgono anche e addirittura gli edifici scolastici, mancata prevenzione, ecc.), che, se per le vittime pos- sono rappresentare il “senno di poi”, per il resto di un Paese a rischio pos- sono essere il monito e lo sprone per assumere finalmente altre direzioni. “Prima” dell’emergenza troviamo la prevenzione, l’educazione al rischio, al senso etico, senza le quali non possiamo andare troppo lontani da uno
status quo che contempla- a seguire di ogni evento sismico – la catastrofe che poteva essere contenuta, i morti che potevano continuare a vivere, la distruzione che poteva essere evitata (Vaccarelli, 2012). La prevenzione e l’educazione al rischio stimolano la pedagogia ad allargarsi ad un’idea di spazio (scolastico, di vita, urbano, lavorativo) tutta da frequentare e da esplorare, in cui la stessa idea di cura si allarga dalla dimensione intima e immateriale della relazione alla dimensione materiale e tangibile del conte- sto di vita e di formazione. Come sostiene Ulivieri, occorre far maturare la partecipazione attiva e responsabile, nella risoluzione dei problemi e delle relazioni, favorendo così per l’oggi e per il futuro lo sviluppo di un nuovo sapere fondamentale, pertinente, necessario, un’etica del genere umano, ambientale, sia locale che globale, in cui l’uomo quotidianamente si ricono- sca nella sua individualità, nella sua comunità e nella sua società (Ulivieri, 2015a, p. 16). Un monito questo, per restituire senso, significato e orizzon- te, all’educazione in tempi di nichilismo, il quale nichilismo può attraver- sare anche più duramente del normale i contesti segnati dalle catastrofi. Su questa prospettiva molto avrebbe da dirci la pedagogia di Paulo Freire (2011) e la sua idea di liberazione dall’oppressione attraverso percorsi di coscientizzazione, presa di consapevolezza e, potremmo dire, di resistenza
culturale. Un lavoro che investe i processi educativi, formali e informali, anche nell’ottica dell’educazione degli adulti, chiamando in causa parole chiave e generatrici di democrazia come: partecipazione, equità, diritti di
cittadinanza (cfr. Puglielli, infra). E, come ci ricorda Traverso (2016a), è necessario inoltrarsi in un lavoro di progettazione che, sempre, impone il controllo e la gestione di variabili che afferiscono ad ambiti scientifici di diverso tipo, nonché l’adozione dei principi di flessibilità, innovazione e sostenibilità.