alla cultura del rischio: potere pubblico e gestione delle emergenze
3.6. La riforma del sistema: la legge delega del
In questo senso non sembra muoversi certo la recente riforma varata a fine anno relativa al “sistema nazionale della protezione civile” che già dal- la sua apertura esplicita con estrema chiarezza la visione centralizzata che si ha del sistema delle emergenze che, in sede attuativa, rischia proprio di ipotecare quel percorso di costruzione, di incameramento della “filosofia” del rischio, nel senso indicato in precedenza.
Ed infatti, l’art. 1 specifica che “il sistema nazionale della protezione civile (…) esercita la funzione di protezione civile costituita dall’insie- me delle competenze e delle attività volte a tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo”. Una impostazione confermata nell’articolo successivo nella de- finizione della attività di protezione civile intese come quelle “attività volte alla previsione, prevenzione e mitigazione dei rischi, alla pianificazione e gestione delle emergenze, e al loro superamento. Una definizione di una funzione complessa nella quale si individuano essenzialmente tre momenti, il primo riconducibile al “rischio di un evento dannoso”, rispetto al quale si individuano essenzialmente diversi momenti che vanno dalla previsione, alla prevenzione nonché alla mitigazione del rischio che è evidentemente connessa alla attività di pianificazione delle emergenze, il secondo relativo alla gestione vera e propria delle emergenze, il terzo relativo al loro supe- ramento.
Focalizzando l’attenzione su questo profilo, alla luce delle osservazioni svolte in precedenza, rivestono un particolare interesse le definizioni che nello stesso decreto vengono offerte dell’attività di previsione e di pre- venzione del rischio. La prima viene intesa come l’«insieme delle attività,
svolte anche con il concorso di soggetti scientifici, tecnici e amministrativi competenti in materia, dirette all’identificazione e allo studio, anche dina- mico, degli scenari di rischio possibili, per le esigenze di allertamento del Servizio nazionale, ove possibile, e di pianificazione di protezione civile»; la seconda come l’«insieme delle attività di natura strutturale e non struttu- rale, svolte anche in forma integrata, dirette a evitare o a ridurre la possi- bilità che si verifichino danni conseguenti a eventi calamitosi, anche sulla base delle conoscenze acquisite per effetto delle attività di previsione».
Si esplicita, così, la chiara e indispensabile connessione esistente tra momento tecnico «di individuazione e classificazione del rischio» e mo- mento della decisione amministrativa nella quale in momento tecnico dovrebbe essere trasfuso, o, più correttamente, che sul momento tecnico (quale elemento centrale per la acquisizione del fatto) dovrebbe poggiarsi.
La portata di questa impostazione, però, di fatto, dalla lettura dello stes- so comma non assurge a principio generale per le amministrazioni, rima- nendo circoscritta alle sole funzioni della Protezione Civile. Il comma 4, infatti, individua tra le attività di prevenzione non strutturale di protezione civile una serie di attività tra cui la “pianificazione di protezione civile”, seguite da quelle attività di prevenzione strutturale disciplinate dal comma successivo dalle quali emerge con maggiore evidenza l’idea di un sistema centralizzato:
«a) la partecipazione all’elaborazione delle linee di indirizzo nazionali e regionali per la definizione delle politiche di prevenzione strutturale dei rischi naturali o derivanti dalle attività dell’uomo e per la loro attuazione;
b) la partecipazione alla programmazione degli interventi finalizzati alla mitigazione dei rischi naturali o derivanti dall’attività dell’uomo e alla relativa attuazione;
c) l’esecuzione di interventi strutturali di mitigazione del rischio in oc- casione di eventi calamitosi, in coerenza con gli strumenti di programma- zione e pianificazione territoriali esistenti;
d) le azioni integrate di prevenzione strutturale e non strutturale per fi- nalità di protezione civile».
Una conferma della “visione” sottesa alla nuova disciplina si rinviene nell’ultimo comma dell’art. 16 che esclude dall’azione di protezione civile “gli interventi e le opere per eventi programmati o programmabili in tem- po utile che possono determinare criticità organizzative, in occasione dei quali le articolazioni territoriali delle componenti e strutture operative del Servizio nazionale possono assicurare il proprio supporto, limitatamente ad aspetti di natura organizzativa e di assistenza alla popolazione, su richiesta delle autorità di protezione civile competenti, anche ai fini dell’implemen- tazione delle necessarie azioni in termini di tutela dei cittadini” (comma 3). E la stessa attività di pianificazione, disciplinata all’art. 18, fa riferimen-
to alla previsione degli scenari possibili. Essa infatti è finalizzata alla defi- nizione delle strategie informative e del modello di intervento contenente l’organizzazione delle strutture per lo svolgimento delle attività di protezio- ne civile (lett. a); alla garanzia del necessario raccordo informativo con le strutture preposte all’allertamento del Servizio nazionale (lett. b); alla defi- nizione dei flussi di comunicazione tra le componenti e strutture operative del Servizio nazionale interessate (lett. c); alla definizione dei meccanismi e delle procedure per la revisione e l’aggiornamento della pianificazione, per l’organizzazione di esercitazioni e per la relativa informazione alla po- polazione, da assicurare anche in corso di evento (lett. d).
Il sistema delineato nel testo del decreto legislativo è un sistema a rete, con una articolazione territoriale che vede, in ottemperanza ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, coinvolti i sindaci, i sindaci metropolitani, i presidenti delle regioni e delle province autonome di Tren- to e Bolzano.
Delle aperture nel senso di “diffondere” la cultura del rischio all’interno dell’amministrazione, in modo da metabolizzarlo all’interno delle decisioni anche a carattere programmatorio dell’amministrazione si colgono al terzo comma dell’art. 18 nel quale è espressamente previsto che «i piani e i pro- grammi di gestione e tutela e risanamento del territorio e gli altri ambiti di pianificazione strategica territoriale, devono essere coordinati con i piani di protezione civile al fine di assicurarne la coerenza con gli scenari di rischio e le strategie operative ivi contenuti». E di analogo tenore la pre- visione contenuta all’art. 22 secondo cui il Dipartimento assicura il coor- dinamento e la gestione di piani di azione strutturale e non strutturale per il «complessivo miglioramento della gestione delle emergenze e… (della) riduzione dei rischi…».
Nel decreto, poi, si tenta di riscrivere le coordinate del rapporto tra “diritto” e “tecnica” che, evidentemente, in questi ambiti viene ad avere un ruolo essenziale, addirittura prevedendo la costituzione di Centri di competenza (art. 21). È prevista, infatti, una partecipazione della comu- nità scientifica nel senso proprio di apporto di «conoscenze e prodotti derivanti da attività di ricerca e innovazione, anche già disponibili, che abbiano raggiunto un livello di maturazione e consenso riconosciuto dal- la comunità scientifica secondo le prassi in uso, anche frutto di iniziative promosse dall’Unione europea e dalle Organizzazioni internazionali anche nel campo della ricerca per la difesa dai disastri naturali» (art. 19, com- ma 1). Una partecipazione che, secondo quanto espressamente previsto al comma successivo, potrà realizzarsi mediante attività ordinarie e operative quali il monitoraggio e la sorveglianza degli eventi, lo sviluppo di banche dati e altre attività utili per la gestione delle emergenze e la previsione e prevenzione dei rischi che fornisca prodotti di immediato utilizzo (lett. a),
sperimentazioni e contributi di sintesi specifici (lett. b), ricerche per la rea- lizzazione di prodotti utili alla gestione dei rischi (lett. c), e collaborazioni nella predisposizione della normativa tecnica di interesse (lett. d).
Si tratta, dunque, di un sistema che non sembra cogliere quella esigenza fondamentale di definire (anzi, di imporre), attraverso strumenti program- matori e pianificatori, misure adeguate che consentano se non di eliminare il rischio del verificarsi del fatto incerto, di restringere il fenomeno ad ipo- tesi per così dire marginali, normalizzando in tal modo non solo ciò che è molto probabile, ma anche ciò che è molto improbabile.
Una “normalizzazione” cui si giunge attraverso la previsione di proce- dimenti che abbiano la funzione di qualificare i presupposti che determina- no l’incertezza e, conseguentemente, attraverso la definizione di un limite precauzionale che si aggiunge agli strumenti preventivi. Una “pratica” non sconosciuta all’ordinamento italiano: si pensi al caso dell’elettrosmog, in cui la legge non solo determina i limiti di esposizione insuperabili per la loro nocività (prevenzione), ma fissa altresì valori di attenzione, ossia valori precauzionali.
Da ciò consegue che la previsione di un sistema di gestione del rischio connotato da effettività non può prescindere dalla considerazione del dato tecnico-scientifico e dalla previsione di strumenti e procedure. razionali che condizionino la decisione amministrativa al dato stesso. E ciò sia sul piano programmatorio e pianificatorio, sia sul piano della decisione con- creta. Del resto, è stato autorevolmente affermato che è dal principio di precauzione e dalla sua forza espansiva che discende l’obbligo per l’am- ministrazione di effettuare, in casi di incertezza scientifica, una completa analisi dei rischi, analisi che, tuttavia, può essere compiuta solo attraverso il dato tecnico-scientifico. In tale prospettiva, la predeterminazione di stru- menti e procedure che di esso tengano conto (o, meglio, che determinino il condizionamento della decisione amministrativa al dato tecnico-scien- tifico), come accade nel sistema francese di gestione del rischio, consente di superare l’ulteriore ostacolo dell’adozione di misure precauzionali che non siano previste dalla legge (De Leonardis, 2005). In conclusione, solo la previsione di strumenti e procedure “razionali”, sia sotto il profilo statico- organizzativo, sia sotto il profilo dinamico-funzionale, che individuino la tecnica quale elemento costitutivo della decisione, consentono una corretta gestione del rischio, che tenga conto non solo dell’evento probabile, ma al- tresì delle cc.dd. “fattispecie insolite”: «il rischio di una decisione tecnico- teorica su un determinato concetto di rischio che funga da semplificazione non solo non si può evitare (e non lo si può assolutamente nemmeno inde- bolire in quanto “verità”), ma si deve assumere» (Luhmann, 1996).