alla cultura del rischio: potere pubblico e gestione delle emergenze
3.3. Il sistema decisionale delle pubbliche amministrazio ni tra scienza e diritto La tecnica come chiave inter-
pretativa della complessità
Si torna, così, al punto di partenza, cioè alla individuazione delle chiavi di lettura della complessità rispetto alla quale necessariamente entra in gio- co la tecnica e il suo difficile rapporto con il diritto.
E a questo punto una precisazione si impone: il ricorso alla tecnica, co- me già anticipato, per la stessa natura della tecnica stessa, può determinare una “riduzione”, ma raramente una “eliminazione della complessità”, e dunque del pericolo e del rischio, il che vuol dire riconoscere il permanere della distinzione tra “l’ambito del controllato tecnicamente” e l’ambito al di fuori di questa formula di controllo, e al contempo segnare il confine tra prevedibilità e non prevedibilità dell’evento causativo del danno e, in ulti- ma analisi, tra eliminazione e contenimento delle conseguenze negative ad esso riconducibili.
Si individua, per tale via, un rapporto strutturale tra i due elementi che risulta funzionale alla prevedibilità (in astratto) dell’evento dannoso che, però, risente da un lato dei rischi connessi alla tecnica (scienza), alla sua mutabilità, il che necessariamente riconduce non solo ad ammettere la non assolutezza del risultato in termini di calcolo del rischio, ma comporta anche che si proietti nella sua dimensione della probabilità/improbabilità, in una dimensione complessa nella cui valutazione entrano elementi quali l’impatto sociale, politico ed anche economico delle decisioni che sono assunte. Ma questo grado di incertezza, c’è da domandarsi, alla luce del richiamato bilanciamento con il profilo dei costi, fino a che punto legitti- ma una mancata presa in considerazione del pericolo/rischio, spostando eventuali decisioni in un momento successivo al suo verificarsi e, dunque, spostando il piano della decisione dal “diritto del rischio” a quello “dell’e- mergenza”, con le conseguenze che (purtroppo) ben conosciamo non solo in termini di compatibilità/applicabilità dei principi generali del sistema anche sul semplice piano organizzativo; ma anche (o meglio soprattutto) sull’innestarsi di processi di resilienza delle istituzioni e delle stesse collet- tività interessate.
La prospettiva che si assume non correla la situazione problematica (potenziale causa del danno) alla decisione (come è per il rischio connesso all’esercizio di una attività concretamente o potenzialmente pericolosa) ma estende la valutazione anche alla considerazione di quegli elementi fattuali che, ove correttamente contestualizzati, anche sul piano tecnico, palesano dei profili di rischio che dovrebbero assurgere a presupposti fattuali (cono- scitivi) delle decisioni dell’amministrazione.
Il discorso, però, soprattutto ove condotto sul piano della efficacia ed effettività della decisione (nella prospettiva della garanzia anche delle ge- nerazioni future) si complica in quanto la valutazione in concreto non può prescindere dalla considerazione di un ambito più esteso derivante da una contestualizzazione della singola scelta nel quadro di un più ampio conte- sto decisionale, quale ad esempio quello relativo alla gestione di un deter- minato territorio e, dunque, dei diversi interessi, anche economici, coinvolti – superando anche il piano della (semplice) sostenibilità (economica) della
scelta. In altri termini, non si può prescindere dalla considerazione delle interferenze che i diversi livelli decisionali hanno tra loro, da un lato, e del fatto che la sequenza di decisioni, soprattutto quando dalla decisione singo- lare ci si sposta verso l’alto, cioè verso una decisione a carattere generale o politico, viene interpuntata dalle strutture temporali del sistema politico (si pensi solo alle fasi della legislatura o all’approssimarsi delle elezioni) che senza dubbio introducono ulteriori variabili all’assetto decisionale.
Ed è proprio con riferimento a questo aspetto che la considerazione del “pericolo” e del “rischio”, come risultante di un rapporto interferenziale tra tecnica e diritto, assume a mio avviso, un ruolo centrale, in quanto, sebbene con i limiti che si diranno, utile strumento per, se non limitare, quanto meno guidare il decisore verso l’assunzione di una scelta “raziona- le” e proporzionata. È forse utile chiarirlo sin d’ora, non si vuole in alcun modo ipotizzare che la considerazione di questi profili (connessi al pericolo e al rischio) si tramuti in un cieco limite a qualsiasi forma di decisione (secondo una cieca e non desiderabile prevalenza di un’“etica della preoc- cupazione per il non verificarsi della catastrofe”), ma non si può negare che la loro inadeguata considerazione comporti dei costi, non solo economici, ma anche sociali, che vengono immancabilmente scaricati sul post-evento dannoso e sulle generazioni future, rispetto alle quali la stessa “gestione emergenziale” viene ad avere una efficaci diversa, limitata rispetto a quella che la stessa avrebbe potuto avere se il profilo del pericolo fosse entrato a monte nel processo decisionale. Infatti, la mancata considerazione di questi profili, e a monte la incomunicabilità tra scienza e diritto, inconsapevol- mente alimentano il pericolo opposto che, facendo leva sulla probabilità e su elementi quali la capacità di “tenere sotto controllo situazioni precarie” o di “controllare una tendenza a causare danni” o l’essere coperto dall’aiu- to, dalle assicurazioni o da altro” nel caso in cui si subisca un danno tende a inglobare il rischio nella categoria del “rischio tollerabile”, spostando la decisione al momento successivo al verificarsi dell’evento, e riducendo l’ef- fettività di quelle decisioni che dovrebbero tendere proprio alla riduzione del rischio. Si pensi alla gestione del territorio ed alla “incomunicabilità” che vi può essere tra pianificazione del territorio; pianificazione del rischio e una eventuale scelta (politica) avviare procedimenti di condono edilizio.
Ma perché ciò non avvenga, avverte Luhmann, è indispensabile, o quanto meno opportuno, stabilire dei valori soglia che consentano di far fronte (nel senso di eliminare o ridurre le conseguenze negative) ai pericoli e ai rischi (Sofsky, 2005) attraverso l’adozione di una rigorosa azione pre- ventiva che, nel caso del rischio, può arrivare anche al limite estremo della non azione, cioè nell’astenersi dall’assumere una determinata decisione e che, invece, nel caso del pericolo delineino, ad esempio, misure di inter- vento programmate.
In questa prospettiva, dunque, è necessario porre nella giusta conside- razione gli effetti sistemici delle decisioni (evitando quella che Sunstein definisce in termini di System neglect), nella consapevolezza che la valuta- zione parziale dei rischi ha influenze distorsive della stessa efficacia delle decisioni di non poco momento.
La coniugazione di questi momenti consente di configurare il diritto del rischio in una prospettiva più ampia rispetto alla quale l’anticipazione dell’intervento pubblico, anche solo potenzialmente limitativo della sfera individuale (si pensi agli oneri derivanti dalla costruzione in zone sismiche) è solo uno dei profili in cui esso può manifestarsi. Infatti, esso, anche nella prospettiva della costruzione di un sistema resiliente, si proietta in una pro- spettiva più ampia in cui la sua (del rischio) prevenzione va oltre l’adozione delle misure precauzionali strettamente intese, giungendo fino al punto di prevedere possibili linee di intervento nell’ipotesi in cui un pericolo, anche solo ipotetico si verifichi, senza spostare la decisione in un momento suc- cessivo e, soprattutto, integrando “le possibili linee di intervento” nel qua- dro sistematico delle decisioni sull’ordinaria gestione.
Così facendo, tra l’altro, si abbandonerebbe quella logica rimediale che sino ad oggi, almeno per ciò che concerne la nostra esperienza, ha gover- nato il rapporto di “fisiologica” convivenza tra diritto e rischio, abbando- nando dunque la logica del diritto emergenziale che, nel nostro sistema tro- va nel potere di ordinanza, e nelle misure straordinarie, adottate anche in deroga alla disciplina ordinaria, il momento caratterizzante, introducendo nel quadro c.d. ordinario anche la gestione di un evento straordinario.