di Marco Catarc
11.1. Territorio e comunità
Nella storia dell’educazione del nostro Paese, il ruolo del territorio è sempre stato cruciale in tante battaglie culturali di diversa ispirazione: si pensi a esperienze come quelle dell’Unione nazionale per la lotta contro l’analfabetismo, del Movimento di Collaborazione Civica, del Centro per la piena occupazione di Danilo Dolci o, ancora, del Movimento Comunità di Adriano Olivetti, indirizzate allo sviluppo non solo economico ma anche sociale e culturale dei contesti locali.
È stato osservato che iniziative di educazione permanente caratterizzate dalla consapevolezza di un attento coinvolgimento del territorio possono assumere un significato strategico proprio in una prospettiva di equità sociale (Jackson, 2011). Per questo motivo, un’approfondita analisi della nozione di territorio, così come dei suoi significati “pedagogici”, risulta indispensabile per concepire iniziative educative in grado di incidere sulla realtà sociale nella quale vengono promosse.
Il termine territorio fa riferimento ad una concezione antropologica dello spazio vissuto dagli individui, dai gruppi e dalle comunità; in un ap- proccio di pedagogia sociale occorre tener conto, in particolare, delle com- ponenti educative presenti, analizzando quel nesso strettissimo che esiste tra cultura e territorio (Tramma, 1999).
Quest’ultimo non va inteso, allora, soltanto come uno spazio fisico in cui si svolge l’intervento educativo: si deve tener presente che le sue carat- teristiche determinano anche la struttura e l’organizzazione di qualsiasi ini- ziativa di formazione. In altre parole, l’intervento educativo si costituisce in base alle specifiche caratteristiche del singolo territorio. Esso va quindi in- teso sia come “sistema di vita” dei soggetti, sia come ambito di riferimento teorico e operativo per l’iniziativa di formazione (Tramma, 1999, p. 81).
Ogni insediamento umano è caratterizzato da due aspetti: essere cir- coscritto nello spazio e durare un determinato lasso di tempo; i gruppi territoriali sono, per l’appunto, un insieme di individui legati dalla consa- pevolezza di condividere, per un periodo di tempo determinato, lo stesso insediamento territoriale. Ma più che dallo spazio in sé, il comportamento umano è influenzato dalle rappresentazioni simboliche che di tale spazio si è dato, nella sua storia, il gruppo che lo vive (Callari Galli, 1978).
Il territorio definisce, insomma, dimensioni non solo spaziali, sociali e antropologiche ma anche pedagogiche, per il fatto che i suoi abitanti danno vita a processi di conoscenza e di esperienza diretta di attività, solidarie- tà, posizioni e legami sociali in riferimento agli altri individui. Inoltre, in quanto fattore che struttura l’esperienza del soggetto, tale elemento concor- re a determinare anche i suoi bisogni di formazione. Francesco Susi osser- va che la nozione di territorio, nell’ambito di una iniziativa di formazione, assume quattro significati principali:
– è luogo dell’azione, poiché per poter condurre un’iniziativa educativa occorre delimitare un’unità territoriale economicamente, socialmente e culturalmente circoscritta, che presenti problemi concreti e specifici, ai quali l’azione di formazione si deve riferire per definire le linee di uno sviluppo possibile;
– è luogo di partecipazione alle attività sociali e formative, che devono coinvolgere chi, vivendo nel contesto locale, conosce i problemi che vi si pongono e i bisogni (anche formativi e culturali) della popolazione meglio di chiunque altro;
– è contenuto del programma di formazione, poiché dal momento che gli adulti si impegnano in un’attività di formazione solo se hanno la speranza di trovarvi una risposta ai loro problemi, è dal territorio, con i problemi di vita e di lavoro dei suoi abitanti, che occorre partire nella progettazione dell’azione di formazione. In questo senso, il contesto locale diventa oggetto e contenuto della formazione;
– è il distretto, perché in esso si realizza un raccordo tra agenzie forma- tive differenti che si riferiscono al contesto locale e ai suoi processi di trasformazione economico-sociale (Susi, 1989, pp. 59-60).
Il territorio è abitato, inoltre, da individui e gruppi portatori di proble- mi, bisogni e domande educative: è sede, quindi, di una «molteplicità di spazi educativi attivati o potenziali» (Tramma, 1999, p. 29). Ciò significa che i luoghi potenzialmente educativi sono moltissimi e che questi ultimi possono essere individuati anche laddove la relazione educativa non sia im- mediatamente riconoscibile.
In questo approccio, profondamente consapevole del contesto locale, risulta strategica un’accurata conoscenza delle caratteristiche del territorio, che deve essere perseguita attraverso un’apposita attività di acquisizione
e di analisi di tutti gli elementi informativi funzionali alla progettazione degli interventi educativi; essa dovrebbe essere realizzata, preventivamen- te, ma anche nel corso e al termine dell’intervento formativo, attraverso la costruzione di “mappe” che descrivano in particolare la popolazione, l’ambiente geografico naturale, l’ambiente urbanistico, la situazione socio- economica, la mobilità, la situazione aggregativa e relazionale, i servizi, il percorso storico (Tramma, 1999).
A questo proposito, risultano evidenti in ambito educativo l’importan- za di elementi come le forme di cooperazione comunitaria, le concezioni del mondo e della vita, le reali atmosfere culturali, le pratiche sociali e le relazioni intersoggettive (Brienza, 1992). Il territorio rappresenta, infine, il contenitore nel quale processi di esclusione, di conflitto, di rottura rendono evidenti le criticità dell’intero sistema sociale.
Accanto alla nozione di “territorio” appena illustrata, nella letteratura scientifica pedagogica viene frequentemente utilizzato anche il concetto di “comunità”, che fa riferimento alla collettività di soggetti che vive nel terri- torio, caratterizzata da rapporti interpersonali diretti, faccia a faccia, senza mediazione istituzionale (Macioti, 1998). Luciano Gallino formula una in- teressante definizione di comunità:
Una collettività può essere definita una Comunità quando i suoi membri agiscono reciprocamente e nei confronti di altri, non appartenenti alla collettività stessa, anteponendo più o meno consapevolmente i valori, le norme, i costumi, gli inte- ressi della collettività, considerata come un tutto, a quelli personali o del proprio sotto-gruppo o di altre collettività; ovvero quando la coscienza di interessi comuni anche se indeterminati, il senso di appartenere a un’entità socioculturale positiva- mente valutata e a cui si aderisce affettivamente, e l’esperienza di relazioni sociali che coinvolgono la totalità delle persone, diventano di per sé fattori operanti di so- lidarietà. Ciò non esclude la presenza di conflitti entro la collettività considerata, né di forme di potere o di dominio (Gallino, 2006, p. 143).
Quando si fa riferimento ad un contesto circoscritto, al termine comuni- tà viene frequentemente preferita l’espressione “comunità locale”, che indi- vidua proprio una «popolazione, gruppo di dimensioni ridotte – da alcune centinaia a poche decine di migliaia di membri – che vive stabilmente entro un territorio delimitato e riconosciuto come suo» (Gallino, 2006, p. 146).
Sul versante pedagogico, Piero Bertolini spiega che la comunità rappre- senta il più alto livello della socializzazione, distinguendosi da quello di società in ragione di aspetti non tanto quantitativi, quanto piuttosto qualita- tivi, dal momento che tale struttura è in grado di mutare il senso stesso ed il valore della nozione di società (Bertolini, 1996). La nozione di comunità identifica, quindi, una dimensione collettiva che si caratterizza per la re- lazione diretta tra persone e territorio, nonché per la capacità dei singoli
e dei gruppi di incidere sull’organizzazione del sistema sociale (Tramma, 2010).
Gli indicatori che contribuiscono a fare in modo che un insieme di sog- getti possa essere ricompreso sotto l’espressione di comunità sono molteplici: – l’ampiezza dell’area territoriale; in particolare, le potenzialità comuni- tarie sono generalmente inversamente proporzionali all’area geografica di riferimento (ciò significa che un’area di dimensioni ridotte consente maggiori opportunità di relazioni, rapporti faccia a faccia, conoscenza dell’altro, ecc.);
– la quantità di persone coinvolte; come nel caso precedente, il senso della comunità è generalmente inversamente proporzionale al numero di persone che la compongono;
– gli interessi comuni, a livello economico, professionale, territoriale, che legano gli individui alla dimensione collettiva;
– le attività comuni, che consentono di condividere relazioni significative, ad esempio attraverso un’iniziativa progettuale;
– l’autonomia decisionale, che permette di incidere direttamente sulle condizioni di vita della collettività favorendo il senso della comunità; – la dipendenza reciproca delle persone, che può essere “funzionale” e,
quindi, fattore di stabilizzazione del senso di comunità, oppure “non funzionale” e, in questo caso, viene percepita come vincolo penalizzante; – l’autosufficienza dall’esterno, che nei suoi diversi gradi di attuazione
accresce il senso di comunità;
– la possibilità di distinguere tra “noi” e “loro”, utilizzando così pronomi che certificano identità e appartenenze comunitarie;
– l’esistenza di una storia, solitamente tramandata, che attesta le radici della comunità;
– le previsioni del futuro, che consentono ai componenti della comunità di percepirsi nel quadro di prospettive condivise;
– percorsi e dinamiche di socializzazione, che permettono ai nuovi ar- rivati di inserirsi nella comunità apprendendone il sistema valoriale, relazionale, simbolico e comportamentale;
– il bilancio “costi-benefici”, che deve far percepire il valore dell’apparte- nenza alla comunità (Tramma, 2010, pp. 90-92).