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Il differente ruolo delle amministrazioni nei tre modell

REGIME COMPLESSO

2. Il mutuo riconoscimento, l’extraterritorialità e l’integrazione tra

2.4. Il differente ruolo delle amministrazioni nei tre modell

Da ultimo, è interessante notare come mutino nei tre approcci che si sono elencati sia la posizione delle autorità nazionali sia la natura e gli effetti degli atti adottati. In particolare:

a) nell’approccio unilaterale, l’autorità nazionale che riconosce l’equivalenza degli standard o delle certificazioni persegue finalità puramente interne; non si ha alcuna dissociazione tra dipendenza strutturale e funzionale; gli atti hanno valore puramente interno;

a1) nel sistema unilaterale “vigilato”, quale quello creato dalla WTO, le autorità amministrative si caratterizzano per una dipendenza strutturale nazionale, ma per una codipendenza nazionale/globale sul piano funzionale; gli effetti dell’autorizzazione all’immissione in commercio hanno ancora effetti puramente nazionali;

b) nel modello a gestione centralizzata, voluto dall’Unione europea, le amministrazioni nazionali, sia in sede di rule making (definizione degli standards), sia in sede di adjudication (autorizzazione all’immissione in commercio o designazione di un organo con funzioni certificazione) operano come amministrazioni comunitarie indirette e perseguono finalità comuni; del pari, i loro atti hanno efficacia immediata in tutto il territorio dell’Unione.

c) da ultimo, nel modello dell’equivalenza negoziata, il soggetto che amministra è strutturalmente di rango globale (i comitati misti), ma assume funzionalmente il ruolo e i compiti dell’amministrazione nazionale. La decisione emessa, a sua volta, si sostituisce a tutti gli effetti alla autorizzazione nazionale. Esistono quindi due diversi, ma assolutamente equivalenti, titoli autorizzatori alla prestazione dei servizi di valutazione della conformità: la più evidente riprova di questo assunto è offerta, sul piano formale, dall’adozione da parte della Comunità europea delle medesime modalità di pubblicazione in Gazzetta ufficiale per gli organismi certificatori notificati dagli Stati membri e per quelli riconosciuti sulla base degli MRA.

3. L’architettura generale del regime di mutuo riconoscimento globale

Conclusa la ricostruzione dei profili funzionali, l’attenzione può ora spostarsi sui profili strutturali che connotano il regime globale di mutuo riconoscimento. Già nel corso della trattazione si è avuto modo a più riprese di descrivere i singoli elementi che concorrono a costituire questa complessiva architettura istituzionale; è ora opportuno ricostruire il quadro d’insieme.

Al vertice, si pongono i trattati internazionali multilaterali della Organizzazione mondiale del commercio: il Technical Barriers to Trade Agreement e il Sanitary and

Phitosanitary Measures Agreement. Questi accordi, tuttavia, non dettano la disciplina

applicabile, né creano un sistema accentrato di governo del funzionamento del regime di riconoscimento. Essi si limitano a creare un contesto regolatorio di riferimento, che si basa essenzialmente su due gruppi di disposizioni.

Il primo gruppo individua, in negativo, i limiti esterni all’autonomia negoziale degli Stati parte. Poiché i MRA operano su base bilaterale o, al massimo, regionale, essi possono creare un incentivo occulto a rimodulare le scelte imprenditoriali dei produttori, orientando le esportazioni verso le sole economie interessate dall’abbattimento delle barriere tecniche. Pur senza estendere anche a queste fattispecie la clausola della most

favoured nation, la WTO impone, quantomeno, che gli accordi non siano concepiti come uno stratagemma per realizzare un trattamento preferenziale o discriminatorio tra Stati e tra mercati e che non siano sfruttati per creare delle distorsioni mascherate o indirette dei traffici commerciali283. Il secondo gruppo di previsioni, invece, incentiva, in positivo, il riconoscimento su base concertata. Questo avviene con varie tecniche: per un verso, attraverso raccomandazioni, direttive, schemi quadro ed altri atti di soft law, che contengono le linee guida per i futuri negoziati bi- e plurilaterali e definiscono il contenuto possibile degli accordi; per altro verso, prevedendo che le parti, se non ritengono di addivenire alla stipula di un accordo formale, debbano quantomeno entrare in consultazioni per verificare l’equivalenza delle rispettive procedure di certificazione,

283 È il problema efficacemente riassunto da K. NICOLAIDIS, Non-Discriminatory Mutual

Recognition: An Oximoron in the New WTO Lexicon?, in T. COTTIER,P.C. MAVROIDIS, P. BLATTER,

Regulatory Barriers and the principle of Non-Discrimination in WTO Law, Michigan, 2000, 282 ss. Sul

punto, vedi anche, nella dottrina italiana, A. ALEMANNO, Gli accordi di reciproco riconoscimento di

conformità dei prodotti tra regole omc ed esperienza europea, in Diritto del commercio internazionale,

in questo modo favorendo la creazione della fiducia reciproca e rendendo più semplice il riconoscimento su base unilaterale.

Come si comprende, la WTO, incapace di imporre strumenti coercitivi di

command and control, svolge il ruolo di “umbrella agreement”284, cerca cioè di

ricondurre nell’ambito del proprio ordinamento fenomeni di regolazione globale che inevitabilmente le sfuggono, perché parcellizzati, diffusi, settoriali285. Pur in assenza di una vera gerarchizzazione tra la normativa superiore e generale e le discipline regionali, per questa via si garantisce quantomeno una coerenza minima tra i vari ordini giuridici concorrenti, evitando le aporie più evidenti (gli accordi discriminatori) e definendo condizioni e presupposti di base comuni per tutti gli accordi.

Il secondo livello dell’architettura che si va descrivendo è rappresentato dalle organizzazioni di cooperazione economica regionali. Quelle più forti, come l’Unione europea o – ai fini che qui interessano – il Mercosur e la Comunità andina, hanno la capacità di dettare direttamente delle disposizioni comuni, vincolanti e di diretta applicazione, che generano un sistema accentrato di gestione del riconoscimento dell’equivalenza. Quelle meno integrate, invece, come l’Asia Pacific Economic

Cooperation o l’Association of Southeast Asian Nations, utilizzano strumenti di

284 Il problema dei rapporti tra accordi “ombrello” e accordi di secondo livello, nel panorama globale, presenta soluzioni molto diversificate, in base alle peculiarità regolatorie del singolo regime. Il tema è stato oggetto di grande approfondimento e dibattito nell’ambito del diritto internazionale del mare, dacché la convenzione di Montego Bay prevede espressamente la stipula di convenzioni per l’implementation su base regionale delle proprie statuizioni e precisa, in questi casi, quali siano le regole sul riparto della competenza giurisdizionale tra l’International Tribunal on the Law of the Sea e i sistemi regionali di soluzione delle controversie. Vista l’esistenza di significativi precedenti giurisprudenziali, si tratta di un contesto privilegiato per comprendere se sia possibile affermare che, nel contesto globale, la successione tra norme non è retta solo dai principi della lex posterior o della lex specialis, ma se possa anche predicarsi l’esistenza di rapporti di tipo gerarchico o paragerarchico. Sull’emersione di un higher

law insistono ad esempio S. CASSESE, “Il caso Southern Bluefin Tuna”, in ID., Lezioni sulla

globalizzazione giuridica, in corso di pubblicazione, o V. RÖBEN, The Southern Bluefin Tuna Cases: Re-

Regionalization of the Settlement of Law of the Sea Disputes?, in Zeitschrift für ausländisches öffentliches Recht und Völkerrecht, 2002, vol. 62, 61 ss., che inquadra la tensione tra regionalismo e universalismo in

termini costituzionali; e il giudice WOLFRUM, nella sua separate opinion nel caso Mox Plant, secondo cui

“The obbligation to co-operate with other States whose interests may be affected is a “Groundnorm” of Part XII of the Convention as of interational customary law for the protection of the environmnent” (ITLOS, The MOX Plant Case (Ireland v. United Kingdom), Provisional Measures, in www.itlos.org). Sul

tema, con vari accenti, v. anche, D.J. DEVINE, Compulsory Dispute Settlement, cit, 106 ss.; A. BOYLE,

The Southern Bluefin Tuna Arbitration, in The International and Comparative Law Quarterly, 50, 2001,

no. 2, pp. 453 ss.; J. PEEL, A Paper Umbrella which Dissolves in the Rain. The Future for Resolving

Fisheries Disputes under UNCLOS in the Aftermath of the Southern Bluefin Tuna Arbitration, in Melbourne Journal of International Law, 3, 2002, no. 1, 53 ss.; L. STURTZ, Southern Bluefin Tuna Case,

in Ecology Law Quarterly, 2001, vol. 28, 455 ss.

285 Come nota S. PICCIOTTO, Networks in International Economic Integration, cit., 1020, “the difficulty of reaching agreement, except at the most basic level of common state interests, means that general international law establishes only a very loose framework of coordination”.

raccordo formalmente non diversi da quelli concepiti a livello globale dalla WTO, ma con maggiore efficacia. Più che un mero contesto regolatorio di riferimento, esse pongono in essere le concrete condizioni perché un accordo di riconoscimento possa essere concepito, sottoscritto e possa operare. Queste istituzioni creano degli “schemi” contrattuali, aperti alla partecipazione delle Economie che ne sono parti, ne monitorano le adesioni, ne garantiscono il funzionamento e ne verificano i risultati. Una funzione analoga e parallela a quella delle organizzazioni regionali può essere validamente svolta anche da conferenze e tavoli negoziali di raccordo stabile tra sistemi economici, quali il

Transatlantic Dialogue, che, come più volte si è evidenziato, ha rappresentato un

presupposto indefettibile per la stipula degli accordi tra Stati uniti, Unione Europea, Efta e Canada.

Assieme agli ordini giuridici che si collocano al vertice dell’architettura che si va descrivendo, e che ne rappresentano i presupposti di ordine costituzionale ed istituzionale, un terzo ordinamento – o più correttamente, un terzo gruppo di ordinamenti – ha progressivamente assunto un ruolo determinante per il funzionamento del mutuo riconoscimento. È quello creato, dal basso, dai privati e che oramai si affianca al pilastro pubblico operante a livello intergovernativo, con pari dignità e crescente rilevanza: i regimi di riconoscimento multilaterale degli accreditamenti. Il collegamento tra i due pilastri si spiega con due constatazioni di fatto: da un lato, la frequente coincidenza tra gli organismi di valutazione che operano nei settori cogenti e gli organismi che operano nel settore della certificazione volontaria; dall’altro, la sostanziale identità tecnica delle procedure seguite nei due ambiti. Questo consente ai governi sfruttare, nella gestione dei propri accordi, i risultati delle attività istruttorie di verifica e controllo svolte dagli Accreditation Fora. In altri termini, come gli operatori privati si basano sugli accreditamenti rilasciati dall’ILAC o dallo IAF quando devono valutare la credibilità delle certificazioni straniere, altrettanto fanno gli Stati quando devono decidere se accordare o meno il riconoscimento ad un Conformity Assessement

Body straniero.

Ma come si è chiarito nelle premesse del Capitolo che precede, il pilastro privato, a sua volta, si articola in plurimi livelli di governo, ognuno dei quali legato all’altro sul piano organizzativo e funzionale; e collegato con una panoplia di strumenti istituzionali o negoziali con gli enti e gli ordinamenti operanti nel pilastro pubblico.

È solo grazie a questo complesso sovrapporsi di condizioni costituzionali e istituzionali e alla cooperazione tra pubblico e privato, che gli Accordi intergovernativi di riconoscimento reciproco sono potuti nascere e possono operare.

E, tuttavia, neanche questo fertile e stratificato contesto regolatorio si è dimostrato sufficiente a garantire uniformità e a ricondurre a sistema il fenomeno che si studia. Al contrario, si è ancora oggi in presenza di una regolazione fortemente decentrata, geograficamente diffusa a macchia di leopardo, e funzionalmente operante su base solo settoriale. Al di fuori di alcune aree a forte integrazione, il riconoscimento continua ad operare su base solo unilaterale, col solo limite dei blandi vincoli di leale collaborazione imposti dalla WTO. Di fatto, tutti i paesi in via di sviluppo sono rimasti esclusi da pressoché ogni forma di apertura o cooperazione.

Per contro, dove questi strumenti di concertazione operano, si è potuto rilevare una sostanziale omogeneità degli strumenti e delle modalità tecniche utilizzate per ottenere il risultato ultimo dell’equivalenza. Ma questo esito, più che di una spinta uniformatrice dall’alto, è stato il frutto di una normazione che, pure alluvionale, si è mossa per mimesi e per progressiva acquisizione, stabilizzazione e diffusione orizzontale di alcuni modelli regolatori che la prassi aveva dimostrato validi.

Ne sono derivati due approcci di fondo, costantemente ripetuti: il modello “europeo” – con riferimento, ben inteso, all’impostazione seguita nelle relazioni esterne, non certo nel mercato unico interno – e il modello dell’area Asia-Pacifico. Il primo, poi diffusosi anche nei rapporti tra diversi Stati terzi, come gli Stati uniti, il Canada, il Giappone o Singapore, è a base bilaterale, plurisettoriale, spiccatamente consensualistico, e con strumenti di composizione delle divergenze di stampo essenzialmente concertativo. Il secondo, poi seguito anche dall’ASEAN, è plurilaterale, monosettoriale, con gestione maggiormente accentrata, e tecniche di soluzione delle controversie improntate a maggiore terzietà. Restano fuori da questo quadro, infine, gli accordi c.d. enhanced, estesi non solo al riconoscimento delle procedure tecniche di valutazione, anche agli standard sostanziali sottostanti: emergono, a tutt’oggi, solo pochi precedenti di rilievo settoriale.

Quale è alla luce di questa ricostruzione, il grado di complessità di questo sistema di governance?

Emergono ben quattro livelli governo: globale, regionale, intergovernativo, privato. A loro volta, agli ultimi tre fanno capo diecine di diversi ordinamenti giuridici: almeno cinque comunità di integrazione economica, oltre trenta regimi bilaterali e sette regimi multilaterali con tutti i relativi ordinamenti nazionali coinvolti, per il versante pubblico; due Accreditation Fora globali, cinque Regional Cooperation e tutti i sistemi nazionali di accreditamento coinvolti, per il settore privato. Ognuno di questi livelli è collegato ad ognuno degli altri, sulla base di linkages di tipo normativo (es. i rapporti tra WTO e singoli MRA), procedimentale (i rinvii contenuti negli MRA agli MLA), istituzionale o organizzativo (i rapporti tra Accreditation Fora globali e Regional

Cooperation) o negoziale (i Non-Legal Agreements e i Memoranda of Understanding).

A questa complessità strutturale, si aggiunga la complessità funzionale, che si è avuto modo di puntualizzare nel paragrafo precedente, quando si sono analizzati i molteplici strumenti e tecniche utilizzati per la gestione delle differenze.

A tal punto dell’analisi, diviene inevitabile chiedersi quali siano le ragioni di un quadro così proteiforme. Perché il mutuo riconoscimento non si regge un sistema accentrato, coerente e simmetrico? Perché non si è fatto ricorso ad singolo trattato multilaterale affidato alla gestione di una singola organizzazione internazionale? Perché, invece, il regime assume una natura “contrattuale”, asimmetrica, disomogenea, ibrida e multilivello?