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Il nodo critico della misurazione della povertà

Essere, sentirsi poveri nella società dell’accesso e del consumo

4.2. Il nodo critico della misurazione della povertà

Storicamente, per misurare la povertà è stata maggiormente utilizzata la categoria ecnomica. Secondo tale approccio il povero è colui che è privo di mezzi economici atti a soddisfare le esigenze essenziali di vita. Viene individuata una soglia di povertà210 che si basa essenzialmente sulla definizione di uno standard minimo di

210 I primi studi di carattere sociologico sulla povertà sono stati effettuati in Inghilterra alla fine dell’800 ad opera di Booth, Charles che condusse una ricerca sulla povertà a Londra finalizzata a rilevarne le caratteristiche e le cause. Si tratta di uno studio conoscitivo importante che ha aperto la strada ad indagini su questo fenomeno. Lo studioso definì per primo il concetto di ‘soglia della povertà’; concetto ripreso dal sociologo inglese Rowentree Seebohm, Benjamin e da altri studiosi agli inizi del ‘900. Per lo studioso “i poveri sono quelli i cui mezzi sono sufficienti ma appena sufficienti, per una vita indipendente decente; i poverissimi quelli i cui mezzi sono insufficienti per una reale indipendenza secondo il nomale standard di vita di questo Paese” (Booth 1892/1981, 125).

sussistenza sotto il quale la persona viene considerata indigente211. Tale approccio, affermatosi dal XVIII al XIX secolo a seguito delle prime importanti ricerche sulla povertà (Booth 1892/1981; Rowentree 1899212), è stato fondamentalmente connesso al funzionamento del sistema economico ed è stato sostenuto soprattutto dagli economisti inglesi quali, ad esempio: Smith, Malthus, e Ricardo e, con una diversa prospettiva, da Marx.

I parametri economici consentono una classificazione rapida ed oggettiva. Tuttavia, come si vedrà nel prosieguo dell’esposizione, l’individuazione della soglia di povertà non solleva da ulteriori aspetti critici. Infatti, tale linea varia in relazione al paniere di beni e servizi essenziali preso in considerazione, nonché al momento storico e sociale del territorio a cui fa riferimento. Ciò comporta una valutazione che, in quanto tale, non è mai oggettiva (Baldini, Bosi 2007).

In Italia213, l’Istat, fino al 2002,214 considerava quale linea di povertà assoluta quella calcolata in base ad un paniere essenziale di beni e servizi che comprendeva fondamentalmente i consumi medi per l’alimentazione215, quelli abitativi (spese di

211 Il termine indigente viene utilizzato nel presente documento di tesi come sinonimo di povero.

212 Rowntree nel suo lavoro sulla miseria a York afferma: “la mia prima soglia di povertà era costituita dal reddito appena sufficiente per mantenere l’efficienza fisica. Si trattava però dello standard della sopravvivenza piuttosto che della vita” Rowntree Seebohm, B. (1942) A Second Social Survey of York London, 102 in Geremek 1986/1995, VII.

213 Si segnala l’inchiesta sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla, decisa dalla camera dei Deputati e svolta da una Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Ezio Vigorelli; tale inchiesta è stata svolta negli anni 1953-1954. L’indagine si proponeva di rilevare le condizioni di povertà e miseria in Italia nel dopoguerra, utilizzando metodi sociologici, anche se l’analisi è prevalentemente quantitativa. Nel 1975 è stato invece promosso dalla Commissione della Comunità Europea il primo Programma Europeo di Lotta alla Povertà nel quadro del quale venne progettata la prima ricerca europea sulla povertà, pubblicata nel 1981. Nell’ambito di tale progetto fu realizzata in Italia una vasta ed articolata indagine sul fenomeno. Nel 1984 viene istituita nel Paese, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, la prima Commissione di indagine sulla povertà ed emarginazione presieduta da Ermanno Gorrieri, che ha commissionato un’importante indagine effettuata a livello nazionale ed ha presieduto la commissione fino all’istituzione con legge (legge n. 354 del 22 novembre 1990) della Commissione di indagine sulla povertà e sull’emarginazione. Nel 1990 venne costituito, nell’ambito del Terzo programma di lotta alla povertà, l’Osservatorio sulle politiche di lotta all’esclusione sociale della CEE, composto da un esperto indipendente per ciascun paese della Comunità europea e da un coordinatore. Dal 1990 al 1994 l’Osservatorio è stato sospeso a seguito della mancata approvazione del Quarto programma di lotta alla povertà da parte del Consiglio dei ministri dell’Unione europea. In quel periodo ogni esperto nazionale ha elaborato tre rapporti annuali sulle politiche di contrasto alla povertà e tre rapporti speciali su temi di particolare interesse per la Commissione europea (servizi sociali, coordinamento tra le diverse agenzie che intervengono sul problema, ecc.). Per un approfondimento su questi aspetti si rinvia a Negri, Saraceno 1996, 7.

214 L’Istat svolge annualmente delle indagini su un campione di famiglie italiane in cui vengono presi in considerazione come parametri economici i consumi delle famiglie.Dall’anno 2000 l’Istat ha operato una serie di modifiche di carattere metodologico che sono state inserite nel Programma Statistico Nazionale. Di fatto il concetto di povertà assoluta non viene più considerato dall’anno 2002.

215 I consumi per l’alimentazione venivano considerati sulla base di un paniere di 34 alimenti, differenziati in relazione al sesso, all’età del soggetto ed in quantità adeguata ad assicurare buona salute.

locazione216 di un alloggio modesto e con metratura adeguata alle dimensioni del nucleo, spese per i consumi di energia elettrica, riscaldamento, gas, telefono, ammortamento degli elettrodomestici) e, in modo residuale, altri consumi (vestiario, trasporti, cultura e tempo libero). Le spese per l’istruzione e la salute venivano considerate gratuite e quindi a totale carico dei servizi.

La linea di povertà assoluta217 è rappresentata dal valore monetario, per l’anno considerato, relativo ai consumi che le famiglie devono sostenere in relazione ai beni previsti nel paniere. Tale valore viene aggiornato tenendo conto della variazione dei prezzi dei beni e servizi218.

Di fatto, oggi, si tiene in considerazione la linea di povertà relativa (Townsend 1970) in quanto valutata più rispondente a cogliere la situazione delle famiglie. Una famiglia può essere considerata povera se la sua capacità di spesa si trova al di sotto di una linea di povertà che può essere assoluta, se il paniere di beni e servizi considerato è minimo, o relativa se vengono presi in considerazione anche altri beni utili per rilevare la capacità o l’incapacità di accedere al tenore di vita medio. In sintesi la povertà assoluta è connessa al mancato raggiungimento di un livello oggettivo di benessere minimo mentre quella relativa è connessa al livello di vita in un determinato contesto sociale. La soglia di povertà, che fa riferimento all’International Standard Poverty Line219, si basa sull’andamento dei consumi (o dei redditi) delle famiglie. In relazione a ciò, una famiglia di due componenti viene considerata povera se i suoi consumi (o il suo reddito) sono uguali o al di sotto dei consumi (o del reddito) medio pro capite. Si considera in una condizione di povertà relativa una famiglia quando essa non può accedere ad un tenore di vita simile alle altre famiglie del Paese in cui vive220. Il concetto di povertà relativa e la soglia di povertà andrebbero riviste in considerazione dei cambiamenti sociali avvenuti e delle attuali consuetudini di vita (Townsend 1993).

Va evidenziato che è ben diverso considerare come ‘parametro di povertà’ il reddito oppure i consumi: nel primo caso l’indicatore è, per così dire, ‘neutro’ (il reddito

216 Nel caso di alloggio di proprietà veniva calcolata un’equivalenza di spesa considerando anche le spese per la manutenzione ed il pagamento di imposte e tasse.

217 Nell’anno 2002 l’Istat aveva rilevato una linea di povertà assoluta pari a 387 € per nucleo unipersonale e pari a 574 € per nucleo con due componenti. Nel 2002, in Italia, le famiglie in povertà assoluta rappresentavano il 4,2% delle famiglie.

218 sito: www.istat.it.

219 L’International Standard of Poverty Line è una soglia di riferimento al di sotto della quale una famiglia viene considerata povera. Tale soglia viene calcolata sul 50% della mediana del reddito equivalente familiare.

220 Al fine di individuare la linea di povertà delle famiglie in relazione alla loro numerosità vengono applicate delle scale di equivalenza. Si stabilisce così una soglia unica e uguale per tutti.

è connesso ad un’entrata economica percepita) mentre nel secondo caso l’indicatore dei consumi appare essere connesso non solo alla capacità di spesa della persona ma anche ad elementi del contesto e a quelli appartenenti alla sfera culturale. Su questo aspetto Rei (2000, 20) afferma che “vi sono consumi che con la loro presenza eccessiva rendono fragili le personalità; altri che le impoveriscono, in quanto sottraggono risorse alla produzione e fruizione di beni relazionali, altri che inibiscono esperienze della sfera culturale, di cui i soggetti potrebbero trarre vantaggio.” La povertà da reddito richiama il problema della disoccupazione, della sottoccupazione, dell’instabilità lavorativa, della qualità del lavoro221 nonché delle effettive risorse materiali disponibili per affrontare le esigenze di vita di una persona o di una famiglia.

La dimensione economica (reddito o consumi familiari)222, pur continuando ad essere ancora oggi quella maggiormente utilizzata in quanto più semplice e più facilmente rilevabile223, presenta una serie di criticità. Oltre a risultare variabile nel tempo non pare essere sufficiente a tratteggiare la condizione di povertà in quanto “uguali livelli di reddito o di consumo possono nascondere condizioni oggettive di difficoltà molto differenziate” (Baldini, Bosi 2007, 156). Inoltre, in relazione alla scelta dell’approccio teorico utilizzato, della variabile a cui si fa riferimento (ad esempio: prendere in considerazione il reddito piuttosto che i consumi), dell’unità presa in considerazione (soggetto o famiglia), della soglia di povertà presa in considerazione, dell’opzione tra media224 o, invece, mediana225, delle scale di equivalenza applicate226 si

221 Si rinvia a I.2.5.

222 Si evidenzia che l’Istat prende in considerazione la dimensione dei consumi delle famiglie mentre la Banca d’Italia quella del reddito delle famiglie e ciò dà esiti differenti. Su questo Negri, Saraceno (2000, nota 4, 178) rilevano che se viene preso come riferimento “il consumo anziché il reddito è più facile trovare una più alta incidenza di anziani tra i poveri. Sgritta, Gallina, Romano et at. (1999, 39) sostengono che “(…) la mappa convenzionale delle informazioni desumibili dalle tradizionali fonti di indagine (Istat e Banca d’Italia, alle quali si è aggiunta di recente la disponibilità dei dati longitudinali del Panel europeo sulle famiglie) è sostanzialmente inutilizzabile dal punto di vista della pratica politica. Se mai, può essere impiegata per tratteggiare a grandi linee i contorni grossolani del fenomeno (…)”. 223 A tale proposito Sarpellon, in un importante studio sulla povertà in Italia, afferma che “bisogna chiedersi se esistono altre forme di povertà che sfuggono alla rilevazione statistica ma che sono tuttavia importanti” (Sarpellon 1991, 44).

224 Per media si intende la media aritmetica che “è la misura di tendenza centrale più nota e più comune, ed è data dalla somma dei valori assunti dalla variabile su tutti i casi divisa per il numero dei casi” (Corbetta 1999, 501).

225 La mediana “di una variabile è (…) la modalità del caso che occupa il posto di mezzo nella distribuzione ordinata dei casi secondo quella variabile” (Corbetta 1999, 500).

226 A tale proposito Candian considera gli aspetti sopra evidenziati come aspetti critici ed afferma che “per studiare la povertà risulta necessario adottare delle semplificazioni, visto che la complessità degli elementi legati (sia numericamente che a livello di interazione) dà origine a diversi approcci teorici” (Candian 2005).

possono ottenere risultati e quadri di insieme differenti e non confrontabili227. A tale proposito, è esplicativo il fatto che vi siano stime diverse tra quelle elaborate dall’OCSE228 o dall’EUROSTAT229 e quelle elaborate dai singoli Paesi. L’Istat basa la sua rilevazione sulla spesa per consumi e quindi una famiglia è povera se ha una spesa per consumi inferiore a quella media pro capite nazionale, mentre in ambito europeo la base di rilevazione è il reddito e, tenendo conto della numerosità del nucleo familiare, la soglia di povertà è individuata dalla mediana dei redditi familiari (D’Amato 2006, XIII). Va segnalato, tuttavia, che, a livello europeo, si è cercato di superare la disomogeneità delle indagini statistiche sul tema della povertà prendendo in considerazione gli stessi criteri (linea di povertà e scale di equivalenza) e la medesima base dati individuata nella Task Force dell’Eurostat (Negri, Saraceno 2000, 178). Va, inoltre, evidenziato che nel 1997 è stato elaborato dall’United Nations Development Programme (UNDP)230 l’Indice di Povertà Umana (IPU). Tale indice, costruito sulla base del precedente Indice di Sviluppo Umano, tiene conto dei seguenti parametri: la longevità, le conoscenze e uno standard di vita accettabile. L’indice è articolato in modo diverso a seconda che si tratti di paesi in via di sviluppo (IPU-1) o di paesi industrializzati (IPU-2)231.

227 La scelta di quale unità di misura considerare (se redditi o consumi) non è irrilevante per le conseguenze sull’analisi dei dati ottenuti. I consumi, ad esempio, variano in relazione all’età e ad altri fattori (quali ad esempio la cultura della famiglia rispetto alla modalità di consumo ed alla scelta, quantitativa e qualitativa, del risparmio). Su questo aspetto e sul problema della paragonabilità delle stime si veda in particolare: Sgritta, Gallina, Romano et al. (1999, 35-63). Brandolini, Saraceno (curr.) 2007. 228 OCSE o Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico è sorta dopo la seconda guerra mondiale con l’obiettivo di impiegare al meglio i fondi di aiuto statunitensi, si propone di sviluppare forme di cooperazione in campo economico tra i Paesi europei. Nel tempo si è sviluppata allargando la dimensione in campo internazionale ed ora si rivolge ai Paesi dell’Occidente. Si veda il sito: www.ocse.org.

229 EUROSTAT: si tratta dell’Ufficio Statistico della Comunità Europea, raccoglie ed elabora i dati statistici dei Paesi appartenenti all’Unione Europea e si propone di armonizzare le modalità di raccolta dei dati dei diversi Paesi al fine di utilizzare criteri omogenei e, pertanto, confrontabili.

230 L’UNDP o United Nations Development Programe: Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, ha sede a New York, è stato istituito nel 1965 al fine di favorire lo sviluppo dei paesi più poveri. Sostiene e promuove programmi nel campo dell’istruzione, della nutrizione, della salute anche nell’ambito delle infrastrutture agricole, industriali e dei trasporti. Si rinvia al sito dell’UNDP: www.undp.org.

231 L’IPU-1 tiene conto dei seguenti parametri: deprivazione nella longevità misurata come percentuale di individui che hanno una speranza di vita inferiore ai 40 anni d’età, deprivazione nelle conoscenze misurata come percentuale di analfabetismo, deprivazione di standard accettabili di vita misurati in percentuale di popolazione che non ha accesso all’acqua potabile, ai servizi sanitari e percentuale di bambini di età inferiore ai cinque anni che sono sottopeso. L’IPU-2 considera: deprivazione nella longevità misurata come percentuale di individui che hanno una speranza di vita inferiore ai 60 anni d’età; deprivazione nelle conoscenze misurata come percentuale di soggetti che sono adulti funzionalmente analfabeti secondo la definizione dell’OCSE, deprivazione di standard accettabili di vita misurati in percentuale di popolazione che vive al disotto della soglia di povertà misurata secondo la International Standard of Poverty Line e dunque pari al 50% del reddito medio nazionale pro-capite. L’IPU-2 considera anche un’ulteriore dimensione: l’esclusione sociale e misura il tasso di disoccupazione di lunga durata, cioè le persone che sono disoccupate da 12 o più mesi rispetto all’intera forza lavoro

Le osservazioni sopra evidenziate risultano essere necessarie quando si discute del fenomeno in termini quantitativi. Come si può evincere le diverse indagini non possono dirsi esaustive del fenomeno bensì orientative ed offrire spunti di riflessione sull’andamento di un fenomeno che sta assumendo caratteristiche inedite e che, spesso, si nasconde tra le pieghe della cosiddetta normalità.

Fatte queste precisazioni si presentano qui di seguito alcuni dati relativi alla problematica.

4.2.1. Alcuni dati orientativi sul fenomeno

Il fenomeno della povertà nell’indagine standard viene rilevato da diversi soggetti istituzionali. A livello europeo l’Eurostat raccoglie ed elabora i dati statistici dei Paesi dell’Unione Europea. Si evidenzia che gli indicatori utilizzati da Eurostat si basano su parametri europei, che peraltro non vengono utilizzati tutti nelle rilevazioni interne dei singoli Paesi. Inoltre, l’adottare parametri condivisi a livello europeo, se da un lato consente il confronto dei dati, dall’altro appiattisce le differenze e le specificità di situazioni di welfare diversi. A livello nazionale l’Istat e la Banca d’Italia rappresentano le fonti ufficiali nell’analisi dei consumi dei cittadini italiani (rapporti annuali Istat) e del loro reddito (rilevazioni biennali della Banca d’Italia). Oltre a questi due istituti anche l’INPS elabora dati relativi al casellario dei pensionati ed alle certificazioni ISEE.

Vi sono, inoltre, i rapporti elaborati annualmente dalla Commissione di indagine sull’esclusione sociale232. L’ultimo rapporto pubblicato è stato curato da Chiara Saraceno nel 2005. Vi sono inoltre diversi istituti di ricerca o soggetti che operano nel settore (ad es. Caritas) che predispongono delle rilevazioni periodiche.

L’eterogeneità delle fonti, i diversi obiettivi di rilevazione e, conseguentemente, le modalità operative differenti comportano informazioni ricche ma difficilmente confrontabili.

(occupati e coloro che cercano occupazione). Sito:

www.volint.it/scuola/pubblico/1svumano/s08/s08t02.htm.

232 La Commissione è stata istituita dall’art. 27 della legge 328/2000. La prima commissione ad essere attivata sulla tematica della povertà è la Commissione di Indagine sui temi della povertà, istituita nel gennaio 1984 e presieduta da Ermanno Gorrieri. Tale commissione interruppe per un periodo i lavori che furono ripresi nel 1986 fino al 1990. In tale anno viene istituita la Commissione di Indagine sulla povertà e sull’emarginazione sotto la guida di Giovanni Sarpellon (già presidente della precedente commissione) fino al 1993. Dal 1994 al 1998 viene presieduta da Pierre Carniti e fino al 2000 da Chiara Saraceno, altresì presidentessa della nuova Commissione di Indagine sull’Esclusione Sociale, guidata successivamente e fino ad oggi da Giancarlo Rovati.

Dai dati rilevati da Eurostat e relativi al 2005 si evidenzia come l’Italia si posizioni tra i Paesi che porgono minor attenzione nei confronti delle azioni di contrasto alla povertà, fenomeno che la colloca tra i Paesi che hanno un rischio di povertà medio, con il 19% di persone con reddito disponibile equivalente inferiore al 60% del reddito mediano disponibile equivalente233 (Fonte: Eurostat 2005). La popolazione che è più a rischio di povertà sono i minori ed i nuclei monoparentali composti prevalentemente da donne con figli. Si osserva che l’Italia ha una spesa per la protezione sociale elevata, che la colloca tra i Paesi a fascia medio-alta (Fonte: Eurostat-Espross 2004) pari al 26,1% sul Prodotto interno lordo (Pil). Su tale spesa tuttavia grava prevalentemente il sistema pensionistico. Infatti la spesa pro capite per la lotta all’esclusione sociale la colloca addirittura all’ultimo posto con l’11,5%. Anche l’impatto dei trasferimenti sociali (escluse le pensioni) sui tassi di rischio di povertà colloca l’Italia tra gli ultimi posti (Fonte: Supporting document of the joint report on social protection and social inclusion 2007). I dati confermano quanto viene già rilevato in sede nazionale e cioè come l’Italia si caratterizzi per forti interventi nel settore previdenziale e deboli azioni in quello assistenziale, privilegiando comunque le erogazioni economiche piuttosto che la scelta di implementare reti di servizi e prestazioni.

Dalle rilevazioni ed analisi operate dall’Istat e dalla Banca d’Italia risulta che in Italia ci sia una forte sperequazione tra Nord e Sud del Paese e ciò sia prendendo in considerazione il Pil che il reddito delle famiglie che altri indicatori (es. disoccupazione). Il Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale – anno 2005 evidenzia che la percentuale di persone sicuramente povere in Italia e del 5,5% e di quelle sicuramente non povere è pari al 80,4%.

Nel 2006, l’Istat ha rilevato che, in Italia, 2.623.000 famiglie vivono in situazioni di povertà relativa, cioè l’11,1% delle famiglie residenti pari a 7.537.000 persone povere che rappresentano il 12, 9% dell’intera popolazione. Nel 2006, per una famiglia di due componenti, la spesa media mensile per persona che rappresenta la soglia di povertà per una famiglia di due componenti risulta essere di 970,34 €, più del 3,6% rispetto all’’anno precedente234.

Tali dati mettono in evidenza che la povertà continua ad essere, in Italia, un fenomeno sociale che non è stato affrontato in modo efficace. Inoltre, ciò che emerge è

233 Seguono: Irlanda, Grecia, Spagna, Portogallo, Lituania e Polonia mentre i Paesi con rischio più basso sono: Svezia, Repubblica Ceca, Paesi Bassi, Danimarca.