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L’intervistatore e l’intervistato: il gioco delle emozioni

2. la seconda dimensione riguarda gli assistenti sociali del SSC, ente che

1.11. L’intervistatore e l’intervistato: il gioco delle emozioni

Da quanto sopra detto la modalità di approccio dell’intervistatore è fondamentale nella riuscita dell’intervista. Si è detto che è importante utilizzare una modalità di ascolto attivo con un atteggiamento di com-prensione50 del mondo vitale che la persona apporta all’intervista. Quindi l’intervista va condotta in modo flessibile, aperto e accompagnata da una sensibilità ermeneutica (Montesperelli 2001) intesa come apertura mentale, tolleranza, umiltà, disponibilità ad accogliere l’altro nella sua dimensione ed unicità sostenuta da una curiosità esplorativa non invadente. L’intervista in profondità è un’arte complessa, che “… richiede che si stia sia dentro che fuori dalla relazione…” (Sennett 2003/2004, 52), in quanto, a differenza di altre forme di intervista, il ricercatore, con la sua attività esplorativa, cerca di andare in profondità per cogliere pienamente ciò che la persona offre nel colloquio. Da un lato l’intervista non può essere impersonale (per i contenuti trasmessi, per la modalità con cui si svolge, ecc.) e, contestualmente, non deve cadere in una dimensione di eccessiva vicinanza e vi deve essere una grande chiarezza sul confine di intimità, e quindi di rispetto, da non oltrepassare. L’atteggiamento di scoperta aiuta ad avere nei confronti dell’imprevisto un atteggiamento elastico, aperto, è importante per poter entrare nel mondo dell’intervistato, che è un mondo sconosciuto. E’ necessario un approccio non aprioristico, senza pre-concetti e di umile disponibilità a un’effettiva ricerca (Marradi 1982)51. Ciò significa essere pronti ad allargare il cerchio52, la visuale per poter scoprire

Consiglio Nazionale dell’Ordine nell’adunanza del 27-28 giugno 1997 con particolare riferimento agli artt. 7, 9, 11.

50 Comprendere nel significato di prendere dentro, di accogliere dentro di sé in modo aperto; la parola deriva dal latino volgare comprendĕre, classico comprehendĕre, derivato di pr(eh)endĕre ‘prendere’ con il prefisso com- (Devoto, Oli 2006).

51 Rispetto all’atteggiamento empirico l’Autore rileva la necessità di avere “(…) l’umile disponibilità a trovare nella realtà anche quello che non ci si attende anziché solo quello che si attende a priori (…)” (Marradi 1982, 448).

52 E’ interessante il significato etimologico della parola ricerca. Il termine deriva da ricercare che a sua volta deriva da cercare. Cercare è una parola di origine latina circare, è un verbo la cui denominazione deriva da circus (dal greco kìrkos cioè anello), irradiato dal linguaggio della caccia nella quale il cane fa giri sempre più larghi per trovare le tracce della selvaggina (Devoto 1968).

diverse prospettive. La flessibilità, la capacità di assumere punti di vista differenziati, di porsi con angolature differenti congiunta alla capacità intuiva fanno parte della ‘scatola degli attrezzi’ del ricercatore. L’atteggiamento empirico comporta anche la capacità di guardare al proprio progetto di ricerca in modo flessibile, pronto a portare le modifiche necessarie al proprio lavoro. Acquisire uno stile ermeneutico (Montesperelli 2001) può essere più facilitante in un contesto di ricerca dove c’è un gruppo di ricercatori che si confrontano sul medesimo oggetto di lavoro.

Diverso è svolgere un lavoro di ricerca ‘in solitaria’; ciò presuppone un forte ancoraggio agli obiettivi della ricerca, la capacità di mantenere con fermezza la chiarezza sulle finalità del proprio lavoro coniugata ad una forte flessibilità di cambiare le modalità con cui lo si conduce, di intravedere negli imprevisti nuove opportunità di conoscenza. Tuttavia, ciò non è sufficiente e non sostituisce il supporto che un gruppo che opera assieme può offrire, in quanto il rischio di essere ‘presi dentro’, inghiottiti dal proprio lavoro è molto forte. Da un lato autoreferenzialità, dall’altro lato rischio di ‘smarrimento’, possono portare il ricercatore a perdersi nel labirinto del proprio lavoro o, viceversa, a difenderlo rigidamente. In entrambi i casi è un andare alla deriva e per questo, come fanno coloro che intraprendono imprese ‘in solitaria’, è importante costruirsi degli ancoraggi rappresentati dalle conoscenze, dagli obiettivi del proprio lavoro, oltre che dalla sensibilità e dall’intuitività nel saper trasformare anche momenti di impasse in opportunità di crescita (personale e del lavoro che si sta conducendo). Ciò significa anche fare i conti con le proprie paure e debolezze, che nel corso di un’intervista, così pregnante e coinvolgente come quella in profondità, vengono a galla. Chi scrive ha avuto l’opportunità di trovare supporto in alcuni resoconti autobiografici di ricercatori che hanno raccontato la loro esperienza. L’uso di annotare delle brevi impressioni durante l’intervista, la registrazione della stessa e il riascolto hanno consentito all’intervistatrice una puntuale riflessione sul proprio operato sia in relazione agli obiettivi del lavoro sia in relazione alle modalità di conduzione. La riflessività coniugata con un atteggiamento disponibile all’apprendimento (degli errori ma anche dei punti forza) sono stati elementi di aiuto. Va sottolineato inoltre che l’esperienza sul campo aiuta a rassicurarsi e a migliorare la conduzione delle interviste ed anche la scelta di fissare dei momenti di stand by dopo aver svolto un gruppo di interviste e ripercorrere il lavoro fatto è utile per individuare opportunità e limiti.

Una variabile che l’intervistatrice non ha tenuto in debita considerazione, è stata il suo abito professionale. L’essere assistente sociale, il possedere una determinata

formazione ed esperienza professionale erano stati considerati dei punti di forza per una fluida conduzione delle interviste. Certamente lo sono, ma possono anche costituire, in parte, un ostacolo in quanto il rischio di mescolare i ruoli è molto alto soprattutto in interviste a forte impatto emotivo. Fare l’assistente sociale che opera con un mandato istituzionale preciso e colloquia con la persona sulla base di una richiesta di aiuto, con il compito di comprendere la situazione per poter mettere in atto dei processi di aiuto è cosa ben diversa dal fare il ricercatore, che incontra la persona con un obiettivo di studio e pertanto ciò che la persona narra costituisce una fonte informativa utile per il lavoro dell’intervistatore. In questo caso, considerato anche l’argomento del lavoro di ricerca, il rischio di slittamento di contesto è stato un elemento che si è tenuto presente nella conduzione delle interviste. Tali considerazioni e l’esperienza di incontro con le persone intervistate hanno costituito per l’intervistatrice un’occasione di riflessione in quanto nella ricerca, che prende forma nel suo divenire, ha un significato proprio anche il ruolo del ricercatore.

Infatti, secondo il paradigma costruttivista, l’intervista non è una mera raccolta di dati (sia per la modalità di conduzione che per il fatto che le informazioni che emergono non sono sottoposte a trattamenti statistici) ma è un’interazione durante la quale l’intervista viene costruita assieme, da intervistato e intervistatore. Una funzione fondamentale è, quindi, giocata dall’empatia che si stabilisce tra i due interlocutori.

Le emozioni53 sono un elemento che caratterizza ogni attività umana e sono strumenti conoscitivi importanti della persona e della sua relazione con l’ambiente circostante. E’, però, necessario “comprendere il loro linguaggio. Non ti informano su cosa vedi, ma su come guardi. Il loro codice è relazionale e analogico” (Sclavi 2003, 63). Investono aspetti differenti della persona, si tratta di esperienze complesse che possono essere osservate da angolature differenti (fisiche, psicologiche, biologiche, ecc.). Inoltre, sono connesse alla cultura di appartenenza del soggetto; ciò significa non soltanto che la stessa emozione (ad es. la tristezza) può essere espressa in modi diversi dalla persona (con l’espressione facciale, con la gestualità, con il tono di voce, ecc.) ma la stessa sua espressività dipende anche dalla cultura di cui fa parte l’individuo (Nussbaum 2001/2004). L’emozione è collegata ad un evento, può essere manifestata in

53 Il tema delle emozioni ha avuto molte interpretazioni e diversi tentativi di definizione. L’emozione viene intesa come “reazione affettiva, intensa con insorgenza acuta di breve durata determinata da uno stimolo ambientale. La sua comparsa provoca una modificazione a livello somatico, vegetativo e psichico”. Genera reazioni fisiologiche, viscerali, espressive e psicologiche (Galimberti 2006, 326 e segg.). “(…) dovrebbe indicare stati affettivi intensi di breve durata, con una causa precisa, esterna o interna, un chiaro contenuto cognitivo e la funzione di riorientare l’attenzione” (Cattarinussi, 2000, a, 15).

modo fisiologico (rossore, palpitazione, ecc.) e con varie forme espressive, verbali e/o analogiche. Le emozioni, quindi, possiedono un proprio lessico (Arcuri (cur.) 1995) e possono essere manifestate in modo diverso in relazione alla loro durata ed intensità ed alla valenza per chi le esprime.

Già i filosofi greci si erano posti l’interrogativo sulla dicotomia emozione-ragione ed è con Spinoza che si arriva all’idea che le emozioni sono importanti come supporto alla mente-ragione (nous, la facoltà che genera le idee)54. “Non sono soltanto il carburante che alimenta il meccanismo psicologico di una creatura ragionante; sono parti, altamente complesse e confuse, del ragionamento stesso di questa creatura." (Nussbaum 2001/2004, 19).

Pertanto, le emozioni sono elementi fortemente informativi, sono “marcatori di senso” (De Sandre 2000, 50) e in sede di intervista ne va tenuto conto, anche se possono assumere un carattere di ambiguità interpretativa. Il collegarle con l’evento che le ha suscitate è un’importante chiave di lettura, che però non sempre è sufficiente: ad esempio un tono di voce più basso su un argomento triste può indicare commozione ma anche desiderio di evitare l’argomento.

Le emozioni investono sia l’intervistatore che l’intervistato. È necessario che l’intervistatore sia in grado di ‘guardarsi’ durante l’intervista, di cogliere la risonanza emozionale che il contenuto dell’intervista, oltre che le modalità con cui viene narrato, suscitano in lui e di decodificarla. La narrazione coinvolge perché, come tutte le narrazioni, ha un suo fascino: “ci chiude entro i confini di un mondo” (Eco 1994/2003, 95). L’implicazione emotiva personale da parte dell’intervistato può verificarsi soprattutto quando gli argomenti di cui si tratta hanno un forte impatto: ad esempio, parlare di povertà comporta che la persona narri la sua storia nella povertà, storia che può, come si può evincere dalle interviste svolte, essere costellata da eventi drammatici. Ascoltare le espressioni di dolore, di sfiducia, di smarrimento è un’esperienza solitamente molto toccante che può coinvolgere l’intervistatore fino ad inibirlo. L’implicazione emotiva personale dell’intervistatore può indurlo a riferire ai propri valori e significati ciò che l’altro sta raccontando ed in tal modo può proiettare il suo modo di vedere nel cogliere il messaggio dell’interlocutore. Se da un lato vi può essere il rischio dell’invischiamento emotivo, dall’altro lato si può verificare la reazione opposta e cioè prendere emotivamente le distanze, mettere in atto un distacco emotivo

54 A differenza di ciò che riteneva Platone che affermava la netta separazione tra ragione ed emozioni e che metteva all’erta sull’arte quale attività seducente che sottrae alla ragione.

quale meccanismo di difesa per ‘proteggersi’ dall’emotività che la situazione di intervista suscita. Ciò può provocare l’assunzione di una modalità comunicativa scarsamente empatica. Non essere implicato non comporta essere indifferente, bensì significa operare un decentramento da se stessi e porre un livello di attenzione che consenta sia di recepire ciò che l’altro esprime, a livello verbale e analogico, sia se stessi, sia la dinamica che si sta verificando nella relazione intervistato-intervistatore.

Le emozioni dell’intervistato possono essere inerenti a ciò che viene narrato, ma anche al contesto dell’intervista che è carico di contenuti emozionali. Il disvelare, di fronte ad un estraneo, la propria storia di vita è un’attività che impegna cognitivamente ed emozionalmente la persona non solo per lo sforzo mnestico compiuto ma per il significato che la persona attribuisce a tale sforzo mnestico. Il ricordo non è solo un rammentare ma, riguardando eventi per la persona significativi, è qualcosa di solido, che persiste nel tempo, che lascia nella persona un’impronta e il suo recupero porta con sé una partecipazione emotiva poiché nella azione di recupero vengono ri-vissuti i sentimenti che hanno accompagnato il fatto. Ricordo e memoria, infatti, sono strettamente connessi: la memoria è lo strumento che consente al ricordo di affiorare. Le emozioni fanno emergere le fratture che si sono verificate nel percorso biografico della persona, percorso spesso connotato da momenti di rottura. La memoria autobiografica della persona (intesa nella narrazione di chi siamo e della nostra esperienza) può essere rappresentata in modo da offrire un’immagine di coerenza, come se fosse una linea continua, un’ideologia biografica (Bertaux 1998/2005, 53). Ciò accade anche perché il narrare di sé in un contesto di intervista si trasforma in una intenzionalità riflessiva (Bichi 2002, 39) per l’intervistato, che nell’atto di auto-rappresentarsi la propria esperienza, riflette su essa55. Inoltre, parlare di sé è un po’ come guardarsi allo specchio: spesso l’immagine che se ne ricava, specie quando si vive in condizioni di difficoltà, non è un’immagine che gratifica, che risponde alle proprie aspettative. L’intervistatore, quindi, deve porre attenzione a come tratta i contenuti della narrazione in quanto sono oggetti delicati.

55 A tale proposito Colaianni (2004, 80) afferma che le letture possibili sono molteplici che ”non sono date una volta per tutte quali rappresentazioni di contenuti pre-esistenti nell’azione, ma si vanno costituendo in ogni nuova occasione di descrizione, a ogni nuova narrazione, come evento”.