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Il lavoro evanescente

L'analisi della ricerca: aspetti trasversali

2.5. Il mercato immaginario e il lavoro che non c’è

2.5.3. Il lavoro evanescente

Modifica del lavoro, modifica della classe lavoratrice, modifica dei vincoli sociali e della solidarietà fanno sì che si crei una situazione di incertezza perché:

 lavorare per vivere è diventato oggi per molte persone estremamente difficile proprio per la scarsità del 'bene lavoro' che è diventato un bene poco disponibile sul mercato e, pertanto prezioso:

“Ero ispettore qui in Friuli e poi sono passato all’area manager e poi ci sono state delle divergenze con la direzione e ho mollato … (pausa) subito dopo ho aperto un’attività di artigianato, artigianato artistico, decorazioni su vetro (omissis). Sì, molto bello ma non dà da mangiare, dà da mangiare molto, molto poco (omissis) ho continuato per conto mio però non andava bene, per cui ho intrapreso contemporaneamente un’attività, visto che sempre ho avuto la vendita nel sangue, una attività di vendita con una azienda con cui ho fatto per tre anni l’agente. Anche lì non andava bene perché questi hanno un turnover, vogliono soltanto giovani con cui ruotare velocemente“ (Giordano)

“Un po’ di tutto, ho lavorato in fabbrica, la cameriera, la banconiera, le pulizie, insomma quello che c’era! (omissis) E’ sempre un ‘tira para e mola’130 con questi lavori!” (Irene)

“Indifferente, cosa fare! Fare la segretaria mi piacerebbe tantissimo perché comunque ho fatto corsi serali anche di computer, diciamo, ho studiato per quello e mi piacerebbe farlo. Adesso cercano tutti laureati o cose del genere ed è molto più complicato trovare un lavoro di quel genere però, insomma, diciamo, che quello che trovo mi va bene, insomma, con la crisi che c’è in giro se vai a fare anche lo schizzinoso siamo a posto!”

(Irene)

 vi è un elevato rischio di perdita dell’occupazione:

“Sì, ma non facevo il muratore, lavoravo dentro le navi, facevo il punteggiatore, quella roba là, dopo il nostro padrone ci ha detto che c’è poco lavoro e ha buttato via cinque persone, così e tra quelle cinque io ero in mezzo … da quel giorno cerco ma non ho trovato niente …“

(Mohammed)

 il problema della crisi occupazionale e del rischio di licenziamento investe nuove fasce sociali:

“… c'è questa fascia media che sicuramente è più a rischio e, assolutamente noi, come istituzione, non siamo in grado di ... accogliere”

(Focus group - Esperto 3)

“… nel passato una persona che aveva un lavoro poteva uscire dal circuito assistenziale mentre adesso ci troviamo con persone che hanno un lavoro e che entrano nel circuito assistenziale e questo è un punto di svolta per i servizi sociali …” (Focus group - Esperto 7)

 si assiste ad una forbice tra coloro che hanno ancora il lavoro garantito (e hanno una serie di garanzie salariali e contrattuali) e coloro che vivono nella precarietà (e che sono privi di qualsiasi forma di tutela);

“(omissis) questo qui cambia continuamente il personale e quindi, sentendo anche gli altri, mi hanno detto: “sì, questo ti tiene fino ad agosto e poi ti molla via!” (Irene)

“Dipende prima di tutto dalla ditta, perché se è cooperativa non è tutto in regola, pagano la metà dei contributi, non si ha la liquidazione, non si ha le ferie, lavoravo già 9 anni in una cooperativa …” (Carla)

“Dopo l'incidente sì, ho lavorato ma dando sempre il libretto di lavoro ma “nessun che me notava e i lo teniva sempre nel cassettin”131. Dopo ho lavorato anche in una casa di riposo, che proprio parlavamo ieri, che tutti i datori di lavoro non mi hanno pagato e adesso è assai dura per l’INPS perché mancano tanti anni … “ (Renata)

 la massa di persone cosiddette vulnerabili cioè a rischio di perdere il lavoro o di non avere un lavoro la cui retribuzione sia sufficiente per vivere è in forte aumento.

“insomma, essere sfruttata sì, ma fino a un certo punto! C’è un limite a tutto! (omissis) mi va bene lavorare, mi va bene fare la mia fatica, però, insomma, è giusto che anche la mia retribuzione sia … sia quella … giusta, insomma!” (Irene)

131 Lo tenevano sempre nel cassettino. La signora intende dire che nessun datore di lavoro faceva un’assunzione regolare.

 le opportunità lavorative sono condizionate anche alla differenza di genere; le donne, specie se con figli, pare abbiano meno possibilità di trovare un'occupazione e di mantenerla nel lungo periodo. Spesso, infatti, i tempi di lavoro ed i tempi da dedicare alla cura familiare non coincidono se non, addirittura, contrastano e ciò condiziona sia l'ingresso nel mercato del lavoro che la permanenza in esso. Inoltre, il tempo dedicato alla cura può non aver consentito lo sviluppo di professionalità e ciò ha una ricaduta negativa qualora la donna decida di rimettersi nel mondo del lavoro. Accade, infatti, che debbano adattarsi a lavori sotto-remunerati perché prive di una qualifica professionale. Le donne possono, inoltre, essere escluse dalle opportunità che il mercato del lavoro offre, causa il carico familiare e la mancanza di una rete di supporto. Tale fatto appare essere condizionato dalla cultura del contesto sociale e dalla situazione del mercato del lavoro (Bernardi, Layte, Schizzerotto, et al. 2000)132.

“c’è una donna, per esempio, una donna con tre bambini non va lo stesso come io (omissis) E’ peggio perché è più peggio trovare lavoro ... perché trova lavoro pagato molto meno” (Zoran)

“… c'è la situazione delle donne con figli che si separano, ho tanti casi di questo tipo, sono persone, giovani donne, che avevano un lavoro che poi, con il figlio, hanno lasciato; si separano e rientrare al lavoro implica una serie di difficoltà perché magari non hanno un parente, una rete familiare che possa tenere il figlio e non ci sono servizi; il datore di lavoro dice: ‘o ritorni o te ne vai’ e c’è il problema di dove sistemare il bambino e la persona spesso perde il lavoro e questo la fa entrare immediatamente nel circuito assistenziale”(Focus group - Esperto 1)

Da parte di una intervistata viene sottolineata l'importanza che si acquisisca una formazione professionale perché questo consente di avere maggiori possibilità ed anche di costruirsi un futuro.

“Il fatto di sapere un mestiere è molto importante perché se ti serve lo adoperi se no pazienza! Invece se non lo sai fare non lo sai fare! E allora il campo si restringe… “ (Jolanda)

Risulta molto interessante la testimonianza di un'intervistata (Ines)che, all'età di 58 anni, ha deciso di licenziarsi dalla cooperativa dove lavorava anche a seguito di pesanti

132 Gli Autori così affermano: “Of course, the actual impact of labour market regulation is either reinforced or weakened by the features of a country’s economy and its level of aggregate unemployment. (…) Where a traditional pattern of the domestic division of labour between genders prevails, women are the most disadvantaged social group in exiting unemployment” (Bernardi, Layte, Schizzerotto et al., 2000, 237).

difficoltà relazionali con il suo superiore per realizzare un progetto di imprenditoria attraverso la fondazione di una piccola cooperativa (tre soci di cui due donne) per l'apertura di un solarium. Tale iniziativa ha avuto il sostegno del “Progetto imprenditoria femminile” finanziato da Fondi sociali europei.

“(omissis) io da persona timidissima che ero, ho dovuto tirare fuori i denti, allora probabilmente, o per deformazione professionale o perché, forse, anch'io caratterialmente sono una che non mi spavento, anzi non ho trovato difficoltà, proprio perché come donna, quindi, si sa le difficoltà che hanno le donne, ho visto che il discorso imprenditoriale sta più favorendo le donne che gli uomini e in questo l'ho visto riflesso in mio figlio. Mio figlio non ha avuto gli aiuti e tutte le cose che come imprenditoria femminile invece abbiamo avuto noi; mio figlio tutta questa roba non ha potuto richiedere: primo perché è un uomo; secondo perché, mi sembra, come età può essere fino a=non so se 29 o 30 anni, considerata imprenditoria giovanile, lui è oltre e quindi lui ha dovuto fare tutto da solo! Quindi io come donna non ... anzi! Mi sono trovata agevolata sul fatto imprenditoriale su altre cose non lo so, sul fatto imprenditoriale sì! Peròh, ritorno a ripetere, è un discorso mio personale perché ho delle amiche, delle persone che tutto questo … le spaventa o le hanno spaventate e io mi sono sentita dire (ride) che non avrebbero avuto mai il coraggio di farlo (ride) però, dopo penso che viene comunque fuori a livello caratteriale” (Ines)

 si sta affermando una forte competitività tra lavoratori sia al fine di ottenere un'occupazione anche precaria che per salire i gradini della scala sociale.

”… chi ha tanti soldi bene o male sta sempre a galla ma questa fascia intermedia a cui può succedere anche una separazione o la momentanea perdita del lavoro, chi è abituato a ritmi di vita più elevati rispetto al proprio standard attuale difficilmente riesce a risalire" (Focus group -

Esperto 3)

Nell’attuale mondo del lavoro è ormai indispensabile essere un job surfer133 (Fabbri, 2006) cioè essere molto flessibile, possedere capacità di stare in equilibrio, di cavalcare, per poter galleggiare, una realtà molto mutevole, dove si è costretti a confrontarsi con la provvisorietà e l'incertezza.

In una società, come quella attuale fondata sulla competitività e meritocrazia, si ritiene, ancora oggi, che attraverso il lavoro si possa dare prova del proprio merito ed è anche per questo motivo che si avverte come importante cercare di ottenere sempre di più, non accontentarsi (Bauman 1998/2004).

133 Fabbri Daniela, giornalista, articolo del 25 novembre 2006 nell'inserto D del quotidiano La Repubblica, 143-144.

Dalle interviste si evince, quindi, che il perdurare in uno stato di precarietà lavorativa (si vedano ad esempio le interviste a Irene, Mohammed, Zoran) non consente alcuna progettualità, inoltre, chi è in una posizione di debolezza è più soggetto a contratti sottopagati (si vedano ad esempio le interviste a Irene e a Maria), a lavori non regolari (si veda ad esempio l'intervista a Renata), ad un reddito insufficiente (si veda ad esempio l'intervista a Lea). La precarietà lavorativa si riflette nella precarietà della vita quotidiana, nella impossibilità di immaginare il futuro ed incide sull’immagine di sé e sulla propria autostima.

La perdita di lavoro non produce solo la perdita di un'entrata economica fondamentale per la vita del soggetto ma comporta anche, come segnala Colozzi (1995), una ricaduta sulla rete relazionale che diventa più fragile. Il lavoro non è solo un'esperienza di socialità ma anche di cooperazione e di confronto con gli altri. Anche se tale aspetto può essere relativo alle condizioni occupazionali, alle mansioni svolte (di maggiore o minore qualifica professionale) ed alla cultura di appartenenza e non per tutti può rappresentare un momento di socialità costruttiva.

“Sì, sì, e non posso dire che tutti gli italiani erano buoni, è la verità, c’è gente brava e gente no; ho lavorato con loro, non mi è mai piaciuto quella gente, mai dato il mio cuore perché loro ti criticano, ti prendono in giro, perché è sempre che lavoro con loro, lavoro e basta, capito, e io con loro non parlo, è la verità, perché anch’io umano, capito, perché una persona ... perché io quando vado da un italiano e lui mi dice: “tu così, tu così!” Lui non sta troppo male, perché lui è nel suo Paese, perché se c’è qualcuno che mi dice solo una parola, anche piccola, io sto troppo, troppo male, capito, perché questa qua non è la mia terra, capito...” (Mohammed)

“Colleghi di lavoro? Non so, cambiano ogni mese, non ho fissi...” (Zoran) “Io lavoro con un collega, siamo solo noi. Con lui ho, sì, come rapporto sì, benissimo, anzi! Ma basta, finito là! (omissis) Si ferma alle otto” (Walter)

Dahrendorf definisce questo tipi di lavoratori come lavoratori di confine che costituiscono una classe non protetta, una classe che non pare avere alcuna contrattualità: “… i nuovi disoccupati sono un esercito di riserva della protesta, una fonte di malcontento, una minaccia per l’integrazione sociale – ma non sono una potenziale causa di rivoluzioni.” (Dahrendorf 1987/1988, 168) in quanto privi delle caratteristiche di classe così come intese da Marx (1890/1973). Paradossalmente, le organizzazioni sindacali, quali organizzazioni sorte per difendere i lavoratori, non sembrano riuscire a rispondere alla nuova realtà del mondo del lavoro. La flessibilità,

infatti, significa incertezza, temporaneità delle posizioni acquisite e forte mobilità sociale nonché un sistema di regole non preciso, modificabile unilateralmente (Bauman 1998/2004).