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Gli 'smarriti': padroni di un tempo passato e di uno spazio vuoto vuoto

Tenaci-smarriti-rassegnati: diversi approcci esistenziali alla povertà

3.3.3. Gli 'smarriti': padroni di un tempo passato e di uno spazio vuoto vuoto

Anche questo gruppo di intervistati sembra mettere in atto processi di attribuzione causale simili a quello dei 'tenaci' ma, a differenza di quest'ultimi, queste persone esprimono un senso di fallimento e, pur riconoscendo di avere delle risorse interne, valutano le proprie competenze come scarsamente 'spendibili'. L'immagine del futuro è opaca mentre il passato fa sentire la sua presenza in termini di nostalgia e di rimpianto condizionando così anche il presente, che non viene percepito come un'opportunità per sperimentare in modo diverso le proprie risorse. Sono persone che non riescono a riequilibrare i costi oggettivi che hanno subito (ad esempio la perdita del lavoro, i problemi di salute), costi che non pare siano sufficientemente bilanciati sul piano soggettivo (la rete relazionale). Questa situazione di incertezza sul da farsi li rende estremamente vulnerabili. Oltre a ciò, il servizio sociale non pare essere considerato come un punto di riferimento e di sostegno ed il rapporto stabilito è legato prevalentemente alla prestazione ricevuta.

L'immagine di sé di queste persone è fortemente influenzata dalle esperienze vissute in precedenza. Il sentimento di delusione è dominante perché è sentita fortemente la differenza tra ciò che si era e ciò che si è diventati; il senso di perdita che ne consegue è vissuto intensamente e condiziona diversi aspetti della vita: dall'immagine corporea (come ad esempio nell'intervista a Jolanda) a quella sociale. Il sentirsi senza prospettive condiziona fortemente la quotidianità ma soprattutto la modalità di porsi verso sé, il mondo e il futuro.

“Alle volte, veramente, mi trovo a discutere con della gente e mi do dei punti da morire ... (omissis) quindi io mi rendo conto di avere, veramente non lo dico con presunzione, ma mi rendo conto di avere una cultura commerciale e di vita abbastanza superiore a tanta gente, ce n'è tanta che mi dà dei punti ma ce n'è tanta che rimane a bocca spalancata di fronte alle mie osservazioni. Ma nessuno mi vuole a lavorare...” (Giordano)

“Una persona orgogliosa e delusa, semplicemente, che aveva ben diverse prospettive e dopo cadi troppo in basso e sei così, cosa vuoi fare? ... Non è facile ... tirarsi fuori delle stampelle perché è un po' per l'età e un po' per le circostanze ... non puoi immaginarti diversamente, anzi, ti vedi sempre peggio (omissis) e dopo, piano piano, ti vedi che sei derelitta, andare alla deriva, ma cosa vuoi fare?” (Jolanda)

“(omissis) No, no, io non ho mai avuto niente perché io sono nata ... uno nasce con la camicia, io sono nata nuda e stranuda, non ho mai avuto ...(omissis) invece qua, adesso, ti trovi, un ammalato come me, qua, sei sola,

sei sola, (omissis) emarginata! Emarginata!” (Luciana)

L'immagine di sé come sconfitto, perdente, permea la modalità complessiva della persona di affrontare la vita. La persona tende ad attestarsi su una posizione di attesa, quasi non avesse le forze interne sufficienti per reagire ed aspettasse qualcuno che la possa accompagnare. A differenza del gruppo dei 'tenaci' che appaiono tesi nel sottolineare che non sono sopraffatti dalla situazione, sembra, invece, che gli intervistati del gruppo degli 'smarriti' non riescano ad individuare nuove modalità per affrontare la situazione di vita, sembrano bloccati in una posizione dalla quale hanno difficoltà ad uscire, come se abitassero uno spazio sospeso. Sembrano consapevoli di possedere delle competenze (si vedano ad esempio le interviste a Giordano e Jolanda) che, però, non pare utilizzino appieno. Sono persone che, per il momento, non si rassegnano ma, contestualmente, sono fermi in una posizione di attesa.

“Perché io ancora non sono definitivamente uscito, adesso sto, pian piano, risalendo questa china e non riesco ancora, non riesco a trovare da lavorare, non riesco ancora ad andare in pensione, sono in una fase di stallo” (Giordano)

“Un bel momento ti trovi come in un vicolo cieco, non hai uscite, cosa fai? La depressione abbonda, i nervi sono quelli che sono, non sei capace di andare avanti!” (omissis) “la depressione, quando entri dentro non sei capace di venirne fuori!” (omissis) “non si vuole invecchiare, no! Perché si sa che il destino è questo, non si può lottare contro il tempo (omissis)”

(Jolanda )

Anche le storie narrate da queste persone danno spaccati di vita difficili: alcune sono connotate da fratture familiari (divorzio, rottura relazionale con i figli) altre sono caratterizzate da gravi problematiche (relazioni disturbate nella famiglia d'origine) ed anche di salute.

Analizzando quali sono gli eventi che le persone ritengono aver innescato il punto di svolta nella povertà emerge una situazione non omogenea. Come si evince in particolare dalle interviste a Giordano ed a Jolanda il punto di svolta nella povertà segna la persona anche sotto il profilo delle aspettative personali e della propria immagine sociale. Avere un certo lavoro e svolgere un certo ruolo sociale dava 'lustro' alle persone perché le collocava su un livello più alto della scala sociale, lo scarto avvertito tra lo stile di vita precedente e quello attuale è sentito in modo molto forte e pesa ancor più sul vissuto della persona.

“invece di guadagnare fino a 7 milioni al mese e poi a perderli …… prima di tutto un rapporto economico e poi tutto il resto! Ti devi dare una ridimensionata su tutto! Io viaggiavo, viaggiavo come un matto, avevo una macchina in dotazione, un Bmw, e…… sono dovuto andare a piedi!”

(Giordano)

“ho fatto sempre la rappresentante (omissis) casalinghi (omissis) non sono dispiaciuta perché l’ho fatto volentieri (si anima) anche perché non avendo studiato non potevo fare granché, questo grazie al mio non studiare mi ha fatto fare qualcosa che era di più piuttosto che andare in fabbrica, andare in ospedale a lavorare o qualcosa di simile, mi ha dato qualcosa in più, però adesso ho il meno. Se andavo a lavorare in una fabbrica adesso avrei avuto di più pensione, però quella volta non si sapeva queste cose qua, e allora, e dopo, (omissis) allora ti gratificava perché insegnavi qualcosa … era così! (Jolanda)

Per l'altra intervistata il punto di svolta sembra essere invece connesso alla sfera familiare ed ha avuto un effetto pesante perché ha amplificato una situazione di fragilità.

b) famiglia:

“No, io sono sola, ormai, già dall'anno scorso, dal 23 di giugno dell'anno scorso perché è morto il mio convivente che eravamo trent'anni insieme, è morto lui di tumore, mi muore mia madre un mese dopo di tumore e mi muore mia suocera in settembre, il 17 settembre, perché lei era rimasta, mia suocera, da sola; così l'anno scorso ho fatto tre … sepolture, logico io mi sono un po’ ... abbattuta, un po’ ... e così ... io ho sempre vissuto con questo ... problema del mio polmone da tanti anni, ancora nel 2000 ho avuto di nuovo la TBC, si è riacutizzata e ... insomma…” (Luciana)

Ciò che differenzia questo gruppo dagli altri non è tanto nelle storie di vita o negli eventi che hanno portato alla povertà (di fatto diversi percorsi di vita presentano delle analogie) quanto nell'immagine di sé (come sopra evidenziato), nella rielaborazione delle esperienze di vita e nella capacità di riconoscere delle proprie risorse interne. Sembra quasi che l'incertezza e la fragilità del proprio esistere abbiano intaccato il 'bagaglio' delle sicurezze della persona. Ci si riferisce a quelle sicurezze che la persona ritiene valide e che offrono un contributo fondamentale alla costruzione di fiducia, stabilità ed identità. Lo spazio in cui vivono, il mondo della vita180 (Husserl

180 Husserl (1954-1959/1996, 77-78) afferma che l'unico mondo reale è il “mondo che si dà realmente nella percezione, [è il] mondo esperito ed esperibile – al mondo-circostante-della-vita” e considera “il <<mondo-della-vita>> in quanto <<terreno>> della via umana nel mondo” (ibidem, 182) è “il mondo in cui noi viviamo intuitivamente, con le sue realtà, così come si danno, dapprima nella semplice esperienza,

1959/1961), appare poco rassicurante perché sembrano essersi incrinate le certezze che questo offriva. Tale situazione appare essere disorientante per queste persone che hanno dimostrato, nella loro storia di vita, determinazione nel fronteggiare le avversità (si veda ad esempio il racconto biografico di Luciana) e che, anche con fatica, hanno conquistato una posizione sociale che rappresentava una sorta di riscatto sociale (si veda ad esempio la narrazione di Jolanda), anche ritenuta di prestigio (come ad esempio nella situazione di Giordano). Sono persone che nella loro vita hanno rivelato competenze risolutive, energia, coraggio:

“Sono orgogliosa, la cosa che sono riuscita nella vita è di portare avanti mio marito primo che non è andato più in galera ... con me è stato trent’anni e non ha mai ... rigava dritto e via! Solo lì mi dovevano dare il premio ... secondo mi sono tirata su tutti anche i suoi figli (omissis) ... da una malata ... tante volte si dice “Ma! Una malata!” non è vero niente!” (Luciana)

ed ora da un lato, non si rassegnano alla situazione in cui si trovano dall'altro lato, hanno la percezione di non avere strumenti sufficienti per superarla (o che gli strumenti finora adottati non siano più adeguati). La tristezza, il senso di fallimento e soprattutto la percezione di essere in una situazione di stallo (come ha affermato Giordano) pare influiscano sulla possibilità di 'riconvertire' le risorse interne.

“allora penso che sia un peso ... (omissis) Per la società anche sono un peso...”(Luciana)

Sembra quasi che queste persone avvertano la necessità che qualcuno trovi una soluzione, indichi il corretto percorso.

“Ti vedi che sei derelitta, andare alla deriva, ma cosa vuoi fare? (omissis) Non si riesce a trovare la strada che si dovrebbe intraprendere (omissis) ti senti ancora in forze e capacità di fare e ti tagliano le gambe quando ti rispondono così. E, allora, forse, non conosci la via, forse ci sarà una via ma non so quale, non sai trovarla per uscirne…” (Jolanda)

Le risorse interne sembrano essere investite nel riuscire a sopravvivere piuttosto che rappresentare elementi di energia positiva nel sostenere la persona in un atteggiamento propositivo. Ciò che si nota in queste narrazioni è l'atteggiamento passivo, di attesa delle persone, atteggiamento che può essere collegato a diversi fattori: delusione per le forti aspettative su di sé andate perdute, mancanza di strumenti culturali, avvilimento per il proprio stato, ecc. In questa condizione di solitudine e

e anche nei modi in cui spesso queste realtà diventano oscillanti nella loro validità (oscillanti tra l'essere e l'apparenza)” (ibidem, 183).

smarrimento neppure la relazione con il servizio sociale rappresenta uno spazio, un ancoraggio, ma appare come un rapporto strettamente connesso all'aspetto prestazionale. La condizione di tristezza ed isolamento che queste persone vivono condiziona pesantemente anche l'immagine del futuro.