L'analisi della ricerca: aspetti trasversali
2.8. Chi è il povero? L'immagine allo specchio
2.8.3 La soglia del non ritorno
Rispetto a come le persone hanno vissuto il processo di caduta nella povertà è interessante osservare come gli intervistati pongano l'accento sull'aspetto processuale del fenomeno, e come questo avvenga in modo graduale ma inesorabile senza che loro riescano ad arginare in alcun modo:
“non avevo più lacrime per piangere, un certo momento, dopo, 2 anni che non entravano soldi (omissis) dopo piano, piano ci si adegua a qualcosa, ma penso quasi che se uno ha un crollo, così, dal giorno alla notte, penso che sia più dura! Si comincia lentamente, pian piano, neanche non si accorge, va, va, va e … non si rende conto che ... è sempre peggio, diciamo, prima ci si adegua, ad esempio si elimina una gita, si elimina una cena (omissis) E’ così sono queste storiette, non posso dire quanto possa essere traumatico, non lo so, ma quanto? Non so! Non ha un peso specifico, se
bisogna misurare un chilo lo sappiamo tutti ma ... il dolore quanto lo si misura ... la disperazione quanto la si misura ... sa dirmi lei? No, non si sa! Ma bisogna passare di là; per me può essere pesantissima ma per lei di meno, uno neppure se ne accorge, qualcuno si suicida, qualcuno vive, come le spiego, adesso, quanto è stato traumatico, come lo faccio a spiegare ...”
(Ugo)”
“e si è cominciato ad andare giù, giù, giù, giù, sempre giù, sempre giù mai su, mai fermarsi neppure ... si è stretto, si è stretto (mima cone le mani un passaggio che si restringe) però la discesa era ... (emozionato) non ero un tuffo fuori della finestra, era un andare giù per le scale ma era sempre un andare in giù ... (omissis) “ (Walter)
Pertanto il cosiddetto 'punto di svolta' nella povertà, così come emerso anche nel focus group, può essere costituito da un evento traumatico: la morte di un congiunto, la malattia, la perdita del lavoro o la trasformazione del rapporto di lavoro, la separazione, ma possono essere anche eventi che gradualmente portano ad una situazione di insicurezza di vita e, conseguentemente, di povertà, quali ad esempio la discontinuità lavorativa, il contrarre debiti ma anche il pensare all'oggi in modo 'onnipotente', lo sperpero. Qualora vi sia già una situazione di fragilità, tali eventi possono essere decisivi nell'innescare un processo di degrado (Gui, L. 1995) e diventare quindi dirompenti141. Si veda, rispetto a questi ultimi aspetti cosa afferma un intervistato:
“(sospira) avrei voluto avere – adesso me ne accorgo, prima no – carattere istriano o fare come le formiche: metter da parte e non l'ho mai fatto (tono di voce un po' triste )... e, insomma, al vecchio modo di dire triestino che il triestino è sempre stata una persona balorda: ho sperperato, avevo le mani bucate, mai un controllo, mai niente! Mai pensare per il futuro! Mi sentivo potente, mi sentivo tutto! Mi dicevo: “il mare mi darà, la mia forza mi darà!” Ed ecco la mia forza! ... Questa è la mia grande colpa che mi faccio, a me me la faccio non agli altri ... che non ho saputo pensare al mio futuro ecco perché adesso c'è la mia grande vergogna di chiedere perché avevo....” (Bruno)
I temi del lavoro e della precarietà e del rapporto con il denaro sono stati trattati nei paragrafi I.2.5 e I.2.6, qui si desidera richiamare l'attenzione sul fatto che la mancanza di una rete in grado di sostenere chi vive un periodo di difficoltà acuisce il senso di solitudine delle persone e ostacola l'attivazione di processi di fuoriuscita dalla situazione critica. Ad esempio: la morte di un congiunto sul quale si basava fortemente il sostentamento affettivo e l'economia domestica può determinare una situazione di crisi che, rapidamente, può coinvolgere le diverse sfere di vita della persona, specie se
questa possiede anche condizionanti problematiche di salute. In questi casi le possibilità relazionali diminuiscono drasticamente, la persona svolge una vita più isolata e ciò conferma ed accresce il suo vissuto di solitudine, le problematiche economiche diventano più pesanti, la vita nel suo complesso diventa più faticosa e più difficile da affrontare. Le persone appaiono vulnerabili in quanto prive di 'misure', di strumenti, di risorse in grado di sostenere le difficoltà qualora si presentino eventi che fanno loro perdere le sicurezze acquisite. La 'banca relazionale' di queste persone è tendenzialmente deficitaria, mutuando Di Nicola (1995) l'effetto cuscinetto della rete risulta essere insufficiente. Di fatto, una volta entrati nel circuito della povertà, diventa estremamente difficile uscirne. Diversi intervistati sostengono che risalire la china è faticoso e che si è sempre in una situazione in bilico, di rischio di ricadere. Pertanto, il passaggio da una “povertà di flusso” ad una “povertà di stato”, come affermato da Gui, L. (1995, 55) è molto forte e ciò ha come conseguenza il consolidarsi del processo di povertà. Emerge quindi un'altra caratteristica della povertà: quella della sua persistenza e della sua pervicacia, come se essa fosse un attributo che accompagna ostinatamente la persona nel suo cammino e dal quale con molta fatica e difficoltà riesce a staccarsi. La povertà si trasforma così in condizione di vita, in stigma.
Un'altra riflessione riguarda invece coloro che hanno riconosciuto nel loro stile di vita passato la 'responsabilità' della loro condizione di vita. Queste persone sembrano aver utilizzato nelle esperienze trascorse una modalità di pensiero a 'corto raggio', quella che Schütz definisce come “il vivere nei nostri atti” l'essere cioè “diretti verso gli oggetti dei nostri atti” (Schütz (Izzo cur) 1979, 171) si tratta di un modo di vivere nell'immediatezza e di vedere il futuro come l'oggi, nel presente e ciò, secondo l'Autore, induce il rischio di non avere coscienza di sé e del proprio pensiero.
Tendenzialmente, il fatto di avere un obiettivo motivante che aiuta ad immaginare il futuro e che consente di effettuare un passaggio dal “motivo a-causa-del-quale” al “motivo al-fine-del-a-causa-del-quale”(ibidem, 70 e segg.) sostiene nel mantenere un'immagine positiva di sé. Infatti, un approccio all'esistenza centrato sulla causa (il “motivo a-causa-del-quale”) richiama alla memoria i ricordi, le nostalgie, i rancori, le colpe, ecc. e, fondamentalmente, ostacola ogni incipiente iniziativa ed inibisce le capacità del soggetto. Invece, un approccio orientato a perseguire degli obiettivi (il “motivo al-fine-del-quale”) stimola all'azione, alla trasformazione dell'intenzione in azione concreta, è attivo, motivante. La biografia del soggetto certamente influisce su questo passaggio, ma influiscono anche le capacità di immaginare, di pre-vedere un
futuro differente e di 'vedere' (nel senso di rilevare, evidenziare) le proprie risorse ed i successi, anche piccoli, che si è riusciti ad ottenere. L'atteggiamento riflessivo supporta questo processo: in tal senso, l'esperienza effettuata, il passato, rappresentano per la persona fonti informative utili e l'esperienza presente, la relazione con l'Altro è una relazione di crescita, di apprendimento. Tutto ciò può rinforzare la stima di sé della persona e darle fiducia verso sé e il 'mondo':
“Ma, diciamo, non mi vedo proprio povera perché comunque ... le mie cose riesco a raggiungerle anche con un certo scopo. Insomma, mi impegno e le cose ce le ho, però, sicuramente ricca non mi vedo sicuramente ma, diciamo, neanche povera! Insomma, quando ho pagato le mie cose: l'affitto, il tetto, son tranquilla, però, me le riesco a pagare grazie anche a queste cose che faccio (omissis)” (Irene)