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Il risentimento come reazione alla frustrazione

Tenaci-smarriti-rassegnati: diversi approcci esistenziali alla povertà

3.5. Il risentimento come reazione alla frustrazione

Come si può evincere dall'analisi finora condotta, nella situazione dei tre gruppi si evidenziano differenti propensioni: nel primo caso una tendenza virtuosa che stimola i 'tenaci' a persistere nel loro cammino; nel secondo caso, invece, un'inclinazione involutiva, che fa permanere le persone in una condizione sospesa, che rischia di condurli ad una modalità di adattamento rinunciatario (Merton 1949/2000, II vol.) e, nel caso dei 'rassegnati' una tendenza a mettere in atto strategie esistenziali tali da farli permanere in una condizione di povertà accettata perché percepita come ineluttabile.

Atteggiamento di attesa e di tipo passivo possono essere letti come orientamenti alla dipendenza, alla delega, all'assistenzialismo, sottintendendo così una riflessione

197 Maranini Introduzione a Goffman 1961/1979, 12.

198 Per empatia si intende la “capacità di immedesimarsi in un'altra persona fino a cogliere i pensieri e gli stati d'animo. (...) L'empatia richiede un assetto recettivo che consenta, come dice Mead, di <<entrare nel ruolo dell'altro>> per valutare il significato che la situazione che evoca l'emozione riveste per l'altra persona, nonché l'esatta interpretazione verbale e non verbale di ciò che in essa si esprime.” (Galimberti 2006, 332).

implicita di tipo morale che parte dal presupposto che stare in questa posizione può risultare funzionale per ricevere aiuti199. A quest'ottica di lettura si può contrapporre un'altra che vede nella posizione non attiva la paura - data dalla scarsa fiducia e stima in sé, dall'insicurezza di sé e della propria vita e dalle esperienze precedenti - del reiterarsi di un'esperienza di fallimento.

Va, tuttavia, rilevato che in diverse interviste, in modo trasversale, vi è la tendenza a cercare 'il capro espiatorio' o meglio ad individuare delle cause esterne non controllabili generali e in qualche misura responsabili della situazione di difficoltà che la persona vive. Una delle cause è attribuita all'attuazione del sistema monetario in euro che, a detta di molti intervistati, ha fatto retrocedere il livello di vita. Ma l'attribuzione di responsabilità più forte è nei confronti degli stranieri ritenuti responsabili di portare via lavoro, di convogliare gli aiuti assistenziali.

“Ma io ascolto molto, alla mattina, quando mi sveglio, accendo la televisione (omissis) è gente che telefona da tutte le parti. Gli immigrati hanno tutti i privilegi che possono avere; chiama gente da Bolzano che hanno le villette che pagano, gli immigrati, 27 Euro al mese con tanto di assegno e sono mantenuti praticamente! Dove io che ho lavorato, come me hanno lavorato tanti di loro, hanno la pensione minima e riescono andare avanti e allora ecco qua! (omissis) E allora, con gli immigrati siamo noi che dobbiamo soccomber e… Io vedo questo! La povertà, sì, con l’euro che è cambiato siamo diventati tanti poveri, e cosa possiamo fare? Dare la colpa agli stranieri che vengono qua a portarsi via quello che si è fatti noi, allora!” (Jolanda)

“se realmente le persone volessero aiutare non guardano le tende, non guardano la pulizia, non guardano niente ma guardano veramente dentro le persone, guardare come vivono, come si trovano, come stanno, insomma … si arriverebbe un pocchettino più ad aiutare, invece, vengono aiutati tutti meno che i triestini, siamo onesti!” (Renata)

“ (omissis) e l’extracomunitario che viene qua e ha 40 euro al giorno? Lavato, vestito, stirato, faccio io la firma! Faccio io il passaporto albanese, mi date 40 euro al giorno? Io le dico, no, capisce? Perché dobbiamo pensare tanto a questi e non pensare ... ci rompiamo tanto la testa per la fame nel mondo, bella roba, aiutiamo, capisco i poveri bambini del Chiapas ma pensiamo ai nostri poveri che “Xè qua drio el canton”200 se non siamo pronti ad aiutare tutti!” (Ugo)

199 Il tema relativo al problema della dipendenza assistenziale viene ripreso in II.4 e II.5. 200 Locuzione dialettale chesignifica: è qua dietro l'angolo.

Ciò che preme qui sottolineare è che non si tratta meramente di un problema di scarsa (o distorta) informazione ma che la questione è più ampia ed articolata. Si tratta di un processo di semplificazione di un fenomeno complesso, quale quello dell'immigrazione, e la conseguente stereotipizzazione dello straniero visto come colui che preda risorse che non gli appartengono. Alcuni problemi reali (il processo di inserimento, le risorse utili a tale processo, l'accrescere della manodopera disponibile e, conseguentemente, il verificarsi di una situazione di competitività sul mercato del lavoro, ecc.) vengono trasformati dall'effetto distorcente delle aspettative stereotipiche201.

Ciò che differenzia gli 'smarriti' ed i 'rassegnati' dai 'tenaci' in questo caso è l'invasività dell'emozione provata. Infatti, nei primi due gruppi, il risentimento202, che si produce “in modo cumulativo, attraverso successive stratificazioni di desideri invidiosi, di collere trattenute, di progetti di vendetta” (Cattarinussi 2000 b, 160), trova origine nel senso di fallimento e di sconfitta (Girard Prefazione a Tomelleri 2004). Il prevalere di tali sentimenti sposta il posizionamento dello sguardo da sé all'Altro come competitore responsabile. L'aspirazione ad accedere a delle forme di aiuto (dall'alloggio all'aiuto economico) e la frustrazione di non trovare piena soddisfazione a tale aspirazione può indurre nelle persone sentimenti di invidia nei confronti di coloro (in questo caso ad esempio gli stranieri) che vengono ritenuti in qualche misura i responsabili, la causa, del mancato possesso di un bene, quale l'aiuto economico, (o della mancata possibilità di fruire di un bene quale ad esempio l'alloggio) il cui possesso non è di loro spettanza (Scheler 1955/1975). Il senso di impotenza che si accompagna a tali sentimenti sottolinea in modo più incisivo la posizione di scarsa contrattualità nel contesto sociale che la persona sente di avere (Scheler 1955/1975)203. Utilizzando le categorie proposte da Girad (1976/1999) gli 'smarriti' sembrano oscillare tra posizioni solipsistiche (per il marcato senso di solitudine ed individualismo) ed anticonformiste

201 Stereotipo: “indica opinioni <<precostituite>> su una classe d'individui, di gruppi, di oggetti; dunque opinioni che non derivano da nuovi giudizi di ogni singolo fenomeno, ma sono una specie di forma schematica della percezione e del giudizio” (Arnold, Eysenck & Meili (curr.) 1980/1996). Sul tema dello stereotipo si rinvia all'ampia letteratura in materia in quanto non oggetto di studio nel presente lavoro. 202 Scheler utilizza il termine ressentiment e lo definisce come una “esperienza vissuta e rivissuta di una determinata reazione emozionale di risposta ad un'altra esperienza dalla quale quell'emozione ricava un approfondimento ed una penetrazione incrementati nel centro della personalità nonché un progressivo allontanamento dalla zona di espressione e di azione della persona. (...) È un rivivere l'emozione stessa: un andarle dietro col sentire, un risentire. (...) la parola dice implicitamente che la qualità di questa emozione è negativa, implica cioè un moto di ostilità.” (Scheler 1955/1975, 27).

203 Per la precisione l'Autore afferma che: “il risentimento (...) quanto ad ambito è limitato innanzi tutto a coloro che sono perennemente servi e dominati, a coloro che invano lusingano alla rivolta contro il pungolo di un'autorità” (Scherler 1955/1975, 35).

(per il fatto di percepire l' Altro come rivale la cui sola presenza offende ed umilia). I 'rassegnati', invece, tendono ad assumere una modalità che Girad (1976/1999) definisce minimalista in quanto lo stile con cui si approcciano alla vita è ridotto all'essenziale, non solo per gli scarsi mezzi che possiedono ma per la visione della vita che hanno fatto propria.204

Nell'altro gruppo, questo aspetto, pur se segnalato da qualcuno, non sposta la valutazione della persona rispetto a sé, agli eventi che l'hanno portata all'attuale situazione di vita e ai suoi progetti futuri. Se si parte dal presupposto che i fatti sociali vanno considerati come relazioni il fenomeno, in questo caso il risentimento, è 'dentro' ad un contesto relazionale e ne è, a sua volta l'artefice (Donati 1991). Pertanto, tale fenomeno non si situa solo 'all'interno' della persona ma anche 'all'esterno', nel mondo, e nelle interazioni. Il risentimento non è, quindi, solo dentro alle persone ma anche tra le persone (Tomelleri 2004). Il clima e la cultura della competitività non sembrano perciò caratterizzare esclusivamente la dimensione del mercato ma anche quella della povertà. Il senso di incertezza che permea la vita di queste persone e che influisce nelle loro capacità progettuali, è acuita dall'attuale situazione socio-economica, peraltro connotata da valori di riferimento centrati sul successo, sulla capacità di autoaffermazione, ecc. La scarsità di risorse assistenziali atte a rispondere ai bisogni vitali delle persone inducono una sorta di 'competizione tra poveri' per l'accesso a tali risorse. Tale competizione pare essersi intensificata in relazione alla crescente richiesta di aiuto. Contestualmente, si assiste ad una richiesta di maggiore equità205 nella distribuzione di tali risorse. Paradossalmente, è proprio la richiesta di 'maggiore uguaglianza' che può indurre una modalità competitiva di rapportarsi con l'altro. Il senso di rivalità che ne consegue può, da un lato, alimentare la frustrazione per ciò che si è e dall'altro lato, favorire un’attitudine conflittuale verso l’altro, se non addirittura distruttiva (Tomelleri 2004). A tale proposito, secondo Girard (1976/1999) il risentimento è un'emozione che può essere vissuta in contesti differenti. Tale modalità di rapporto può anche essere connotata da un atteggiamento di sfiducia nei confronti delle istituzioni, considerate come poco tutelanti dei propri diritti. “Il sentimento di incertezza si trasforma in un sentimento di frustrazione e di ingiustizia, e il fallimento personale tende a essere vissuto con un sentimento di ingiustizia di fronte al successo dell'altro. Dall'incertezza

204 A tale proposito si rinvia a I.3.3.5. 205 Si veda I.2.9.3.

di un'identità sociale mai pienamente compiuta e realizzata, si approda al risentimento, che tende a diffondersi nel tessuto sociale.” (Tomelleri 2006, 14).

Tale sentimento è, in questo caso, rivolto a chi vive una situazione di forte difficoltà e che è 'ugualmente' povero ma è un modo per porsi su una posizione superiore (Bitetto 2000). Il risentimento non riesce a tramutarsi in forza di mobilitazione, 'coscienza di classe' da parte di chi è più svantaggiato nei confronti di chi è più abbiente; tenendo conto, come afferma Bauman (1998/2004) che benestanti e poveri condividono una cultura comune: quella cioè del consumo, cultura che però va a vantaggio di chi è agiato. In tal modo il divario tra ricchi e poveri cresce in modo esponenziale. Lasch (1999/1999, 32) sostiene che “siamo in una società bipolare in cui pochi privilegiati monopolizzano i vantaggi della ricchezza, dell'educazione e del potere”. Sembra quindi che la dinamica del mutamento sociale caratterizzato dal conflitto di classe così come è stato teorizzato da Marx (1890/1973) stia tramontando e le classi deboli, che non appartengono ad una classe sociale specifica in quanto non esclusivamente connesse alla dimensione del lavoro, sono qualcosa di aspecifico che non ha forza di coesione né di contrasto206. La mancata 'coscientizzazione' della 'classe dei poveri' è connessa secondo Dahrendorf (1987/1988, 46) al fatto che “gli emarginati non costituiscono una categoria sociale sistematica (...) molti di loro vivono il loro destino come un fatto individuale. La loro solidarietà è sporadica”. La società individualizzata (Bauman 2001/2002) esalta le capacità individuali e la libertà del singolo attribuendogli così la responsabilità del proprio destino. Il senso di colpa che il soggetto può vivere per i suoi insuccessi può, quindi, essere il riflesso di quanto la cultura sociale gli trasmette.

A tale proposito si rileva che, nel caso del gruppo degli 'smarriti', l'interazione tra esterno ed interno operata dal Sé pare avere un carattere difensivo rispetto alla propria integrità, quasi che una maggiore riflessività possa avere un effetto detonatore dell'unità della persona. Tale modalità è maggiormente accentuata nel gruppo dei 'rassegnati'. Condurre una vita consapevole, 'riflessiva', è percepito come fonte di ulteriore sofferenza e non come una risorsa che consente di progettare il domani (Damasio 2003). L'autocoscienza del soggetto, che riguarda l'insieme degli atteggiamenti verso gli altri e la comunità come tale207, sembra sollecitarlo ad assumere

206 Si veda quanto affermato in I.2.5.

207 “...ciò che noi intendiamo con il termine autocoscienza consiste in un risveglio in noi stessi del gruppo di atteggiamenti che noi facciamo sorgere negli altri, specialmente quando si tratta di un importante insieme di risposte che contribuiscono alla formazione dei membri della comunità. (omissis) La coscienza, nel senso in cui il termine è frequentemente usato, si riferisce semplicemente al campo

una posizione di adattamento passivo, se non, addirittura, di immobilismo, nonché a vedere l'altro come 'predatore' di diritti che non li competono e 'causa' del permanere della propria condizione. Ne scaturisce una configurazione sociale percepita come iniqua208 (si veda a tale proposito la richiesta di maggiore equità espressa da alcuni intervistati) e alla quale non viene attribuita fiducia in quanto vissuta come parziale.

dell'esperienza, mentre l'autocoscienza si riferisce alla capacità di sollecitare in noi stessi un insieme di risposte determinate che sono proprie degli altri individui del gruppo. (omissis) Noi non possiamo essere noi stessi se non siamo anche membri di una società in cui esiste una comunanza di atteggiamenti che regola gli atteggiamenti di tutti” (Mead, 1934/1966,178).

CAPITOLO 4