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La prestazione economica tra carità e diritto

L'analisi della ricerca: aspetti trasversali

2.9. La relazione cittadino-sistema socio-assistenziale

2.9.3. La prestazione economica tra carità e diritto

Si presentano qui di seguito alcune osservazioni degli intervistati rispetto alla loro immagine della prestazione economica, se cioè la provvidenza economica viene percepita come un diritto148 che spetta alla persona o, viceversa, come un'elargizione. E' interessante notare che, in linea di tendenza, le persone ritengono che chi è in situazione di necessità vada aiutato dagli enti pubblici, previa verifica delle effettive condizioni, nonché valutano che il diritto può esistere solo con un contestuale impegno dei cittadini attraverso il prelievo fiscale.

“in questa situazione io non riesco a capire se questo possa essere un diritto, il diritto all’assistenza; certo se versassimo tutti quanti dieci lire in più delle nostre tasse a favore di questo fatto qua e, che siano naturalmente amministrate bene, queste lire qua, questi soldini messi da parte, allora si può pretendere un diritto ma se all’interno delle tasse stesse che paghiamo al comune non c’è nessuna voce di prelievo in funzione di questo ho l’impressione di no (omissis). Dovrebbe essere vincolato a questo fatto qua. Finora non ho versato nulla, non posso pretendere che il comune pensi al 100% a me, ci sono cento modi perché il comune possa pensare a

me ma, non come diritto mio nei loro confronti … non come obbligo, penso, nonostante io sia in questa situazione” (Giordano)

“io come cittadino vado e chiedo questi soldi … è giusto che il comune, o la regione, chiunque sia, dia un contributo economico perché se la persona che chiede ha una serie di documentazione, di carte e ci si rende conto che la persona ha necessità in qualche modo bisogna, comunque, aiutare. Però, i problemi bisogna risolverli all’origine! (omissis)” (Maria)

“certamente uno che ... ha bisogno ... per motivi, ma per motivi validi si trova in difficoltà, per motivi non dovuti alla volontà sua e non perché gli piace essere in difficoltà, penso che sia giusto che ci sia qualche aiuto di questi enti, di queste cose” (Ugo)

Alcuni intervistati sottolineano la necessità di una maggiore informazione: “Non si sa quale è il tuo diritto, forse non sono al corrente, non so cosa posso aspettarmi e cosa no (omissis) Non sai quello che ti aspetta e cosa no, quali sono i tuoi diritti e i doveri lo sai che ce li hai e i diritti non sai quali sono” (Jolanda)

Ed altri rimarcano l'esigenza che vi sia maggiore equità nella distribuzione delle risorse assistenziali:

“o’ben’ per tutti i cittadini una cosa equa, giusta, per tutti quanti o non è giusto che a certi date e ad altri no” (Irene)

Le persone intervistate rilevano, inoltre, una serie di nodi critici relativi alle prestazioni assistenziali così come vengono oggi erogate quali: l'entità contenuta degli aiuti, i tempi lunghi nell'assegnazione, l'indeterminatezza della risposta (circa l'effettiva assegnazione, l'entità e il tempo), la prassi burocratica troppo farraginosa, l'insufficienza dello strumento dell'Indicatore di Situazione Economica Equivalente, denominato ISEE149, quale strumento di controllo della effettiva situazione reddituale. C'è, anche, chi ritiene questi controlli come troppo intrusivi:

“E certo! Certo! Bisogna dimostrare perché si è in difficoltà ... e tante robe! Si viene esaminati fino in fondo .. .e quello che mi disturba...” (Walter)

149 L’indicatore di situazione economica equivalente (ISEE) permette un’analisi sia della situazione reddituale che patrimoniale del soggetto richiedente, considerando congiuntamente anche la composizione del nucleo familiare cui lo stesso soggetto appartiene, sia in termini di numerosità sia di caratteristiche. Si tratta di uno strumento rappresentativo del benessere della famiglia, che consente di effettuare confronti diretti anche tra nuclei familiari diversi per composizione e caratteristiche. L’ISEE è stato introdotto dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449 e relativi provvedimenti attuativi (Decreto Legislativo n. 109 del 31 marzo 1998, come modificato dal Decreto Legislativo n. 130 del 3 maggio 2000). L'at. 59, co. 51 L. n. 449/97 introduce i criteri unificati di valutazione della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni o servizi sociali o assistenziali non destinati alla generalità dei soggetti o comunque collegati nella misura o nel costo alla situazione economica familiare.

Se tale valutazione può essere connessa, da un lato, al non desiderare che vi siano troppi accertamenti, dall'altro lato può essere anche il segnale di un disagio correlato al fatto che per ricevere la provvidenza economica non basta fare una richiesta scritta e presentare una documentazione attestante, come nel caso di prestazioni connesse alla posizione di lavoratore dipendente quali, ad esempio, gli assegni familiari. È necessario invece svelare la propria vita, mettersi a nudo e ciò, in particolare per chi sente di aver fatto un percorso in discesa, viene vissuto come molto umiliante e come conferma del proprio degrado:

“Certo! Io sono andato in ditta, l'altro giorno, mi hanno dato un modulo, io l'ho riempito, mia moglie l'ha firmato e ho fatto la domanda” R: E ha fatto la domanda ma anche per il sussidio è necessario fare la domanda... I: ... ma là è più facile (intende dire nella ditta) (omissis) Da una parte mi sembra di chiedere la carità dall'altra parte è un diritto (tono di voce deciso)” (Walter)

Da parte degli intervistati vengono anche formulate delle proposte, quali: la necessità che siano effettuati maggiori controlli per accertare l'effettivo stato di necessità, che vi sia maggiore informazione circa le prestazioni ed i servizi offerti, che sia fatta una distinzione tra chi è meritevole e chi non lo è.

Un'intervistata, in relazione alla propria esperienza, sottolinea l'importanza di distinguere tra progetti volti alla sopravvivenza della persona e progetti volti al

cambiamento, finalizzati a creare prospettive future:

“Il pagamento della bolletta diciamo che è sopravvivenza e il pagamento di un corso è creare un futuro” (Ines)

Emerge quindi che l'intervento di aiuto può andare in più direzioni. Può avere un carattere emergenziale volto a tamponare situazioni di criticità ma può anche essere volano di un processo virtuoso e cioè, attraverso l'intervento economico, promuovere un percorso di crescita verso la fuoriuscita della situazione di difficoltà. In questo secondo caso si pone in essere un approccio delle capacità che, come afferma Sen (1992/1994, 182) “si fonda su una attenzione primaria verso la libertà di acquisire (inclusa la capacità di funzionare)”. La medesima intervistata evidenzia, inoltre, la necessità di compiere due valutazioni ai fini dell'assegnazione dell'aiuto economico ed operare delle distinzioni e precisamente:

“avere due valutazioni fatte: chi veramente ha bisogno e chi gli comoda vivere in quella maniera” (Ines)

Questa affermazione riporta al tema dell'immagine della povertà e del giudizio implicito che spesso grava sul povero, giudizio che ha antiche origini nell'assistenza. Per poter superare il rapporto assistenziale, che è un rapporto che si basa sul dare-ricevere e impostare una modalità di intervento che promuova le competenze delle persone, che le aiuti effettivamente ad essere cittadini attivi, è necessario ri-pensare al sistema assistenziale in modo organico, superare gli interventi a pioggia (che talvolta possono assumere connotazioni di tipo clientelare) e passare da un sistema di carità ad un sistema di co-responsabilità. La connessione di quanto emerso dalle interviste in merito a questi temi con la parte teoria viene approfondita in II.4. e II.5.

CAPITOLO 3

Tenaci-smarriti-rassegnati: diversi approcci esistenziali alla