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APPROCCIO FUNZIONALISTA

Riquadro 3.1 – Alcune classificazioni della fiducia

3. Il rating: aspetti definitori e struttura

Il rating rappresenta un processo che comprende tutte le attività e le meto- dologie finalizzate alla valutazione del rischio di credito dei prenditori. Esso coadiuva la gestione del rischio attraverso la costruzione di classi di merito creditizio, discrete e ordinali, in cui vengono classificati i differenti progetti da finanziare e i soggetti richiedenti credito10. A ciascuna classe di rating corri- sponde uno livello di rischio omogeneo che permette una migliore gestione del portafoglio prestiti, un più adeguato pricing dei finanziamenti e una migliore e più puntuale gestione dei processi di selezione, revisione e controllo degli affi- damenti. Il credit scoring, invece, rappresenta una modalità di misurazione e valutazione della qualità creditizia di un debitore. Esso permette di esprimere un giudizio sintetico e puntuale del grado di rischio che caratterizza la singola operazione e la specifica impresa richiedente, attraverso l’attribuzione di un de- terminato valore alle singole informazioni input e a specifiche combinazioni delle stesse, elaborate per mezzo di algoritmi e metodologie più o meno com- plessi. In questo senso, essa si integra con i processi di credit rating di cui co- stituiscono una modalità operativa di misurazione del rischio di credito

L’analisi del rating si focalizza, visti gli obiettivi del lavoro, sulla fase di as- segnazione del rating (rating assignment), relativa alle modalità, alle proble- matiche e alle tecniche su cui si fonda l’assegnazione di un prestito o del debi- tore ad una classe di rating. Ad essa appartengono l’ampia gamma di metodo- logie di produzione e di determinazione del rating. Nell’ottica dell’Accordo di Basilea, questa è la fase più critica nella realizzazione del sistema di rating in- terno, perché su questa si costruisce l’equilibrio fra la esigenza di garantire un’ampia autonomia alle scelte gestionali interne delle banche e la necessità di definire una soglia minima di omogeneità ai sistemi regolamentari.11 La fase di valutazione della tasso atteso di default (rating quantification) costituisce la se- conda parte del processo di rating in cui si stima la probabilità di insolvenza che caratterizza ogni classe di rating12. La fase di assegnazione si caratterizza per l’analisi della qualità creditizia della singola operazione e/o per la valuta- zione complessiva del merito creditizio del soggetto richiedente.

Con il nuovo Accordo di Basilea è stata sottolineata la differenza fra rating

esterno e rating interno:

– i rating esterni sono elaborati dalle agenzie specializzate, e costituisco- no un giudizio sintetico sull’affidabilità e la solvibilità di un soggetto in

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De Laurentis G., 1999, “I processi di rating e i modelli di scoring” in Sironi A., Marsella M., (a cura di) “La misurazione e gestione del rischio di credito. Modelli, strumenti e politiche” Bancaria Editrice, Roma

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De Laurentis, Giacomo. 2001. “I riflessi sui processi di concessione e revisione dei crediti della nuova proposta di Basilea.” in “Bancaria”, Aprile 2001.

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termini di capacità di adempiere alle proprie obbligazioni finanziarie, in considerazione dei fattori di rischio rilevanti;

– i rating interni sono elaborati dalle banche, a differenza di quelli esterni rappresentano un giudizio non pubblico sulla probabilità che si verifi- chino insolvenze nei crediti verso l’affidato.

Tale giudizio è: quantitativo, poiché rappresenta una probabilità che accada un evento; rigoroso, perché individua fra la moltitudine degli eventi possibili quello specifico che affligge le ragioni creditorie, ritagliandolo fra l’insieme dei giudizi che possono essere formulati sull’oggetto esaminato; oggettivo ed omo-

geneo, poiché deve essere confrontabile e distaccato da valutazioni personali13. Storicamente le banche esprimono all’interno dei loro sistemi interni due ti- pologie di rating, a seconda dell’oggetto analizzato: il rating del debitore e il

rating dell’operazione. Il rating del debitore è focalizzato sulla probabilità di

insolvenza, concentrandosi sostanzialmente sul primo argine del rischio di cre- dito (De Laurentis, 2001). Nell’assegnazione del giudizio di rating del debitore le variabili fondamentali sono le condizioni economico-finanziarie attuali e prospettiche dell’impresa, la qualità del management, le prospettive di evolu- zione del settore produttivo e della congiuntura economica; spesso esistono al- tre variabili che fungono da fattore di aggiustamento di up-down grading.14 Il

rating del debitore non è in grado di esprimere il livello di perdita potenziale

associato al prenditore, poiché è scevro di qualsiasi tipo di considerazione sulla quota non recuperabile in caso di default ( LGD ). Questa dipende dalla forma tecnica del debito e dalla natura delle garanzie per cui il rating del debitore non consente di esprimere un giudizio connesso alle caratteristiche specifiche e “nominali” dello strumento15

.

Il rating dell’operazione invece, prende in considerazione, oltre alla proba- bilità di insolvenza, anche il tasso di recupero associato al valore dell’impresa. Esso è in grado di incorporare il valore delle garanzie reali, delle garanzie per- sonali e dei diritti di priorità sul credito (seniority). Le garanzie apposte a pre- sidio delle singole operazioni, incidono in modo rilevante sulla perdita in caso di insolvenza, così come la seniority del credito, anche se occorre verificare at- tentamente la correlazione esistente fra il rischio dell’attività garantita e quella del garante (con il cosiddetto rischio del double default effect )16.

13

Masera R., 2000. “Il rating interno e la gestione dei rischi bancari nei gruppi creditizi”

14

Crouhy M., Galai D., Mark R., 2001. “Prototype risk rating system” in “Journal of bank- ing & Finance”, Gennaio.

15

Resti A., Omacini C., 2000, “Come verificare la coerenza dei rating interni bancari? Un esercizio empirico basato su modelli statistici.” in “Bancaria”, Marzo.

16

Fabbri A., 2001.“Il trattamento delle tecniche di mitigazione del rischio di credito nella proposta di Basilea.” in “Bancaria”, Aprile.

La maggior parte delle banche tende verso la formulazione di un rating del debitore, mentre meno numerose sono le banche che esprimono un rating sull’operazione e, ancora meno sono le banche che esprimono separatamente un rating del debitore e dell’operazione17.

La varietà dei risultati dell’osservazione delle principali esperienze interna- zionali impone una riflessione sugli aspetti caratterizzanti e più problematici di un processo di rating18 riguardanti:

– la definizione del concetto di default;

– la definizione dell’orizzonte temporale del rating; – il numero e la natura delle classi di rating;

– l’impostazione e le metodologie di analisi delle informazioni.

Un aspetto fondamentale di un sistema di rating è legato alla definizione del

concetto di default. La definizione troppo estesa del concetto di default, anco-

rata alla semplice conoscenza da parte dell’analista di “fondati elementi pre- giudizievoli sulla controparte” consente di intercettare per tempo le possibili patologie creditizie, ma si presta ad interpretazioni troppo soggettive che pos- sono comprometterne l’applicazione19. Al contrario, un definizione “ristretta” rischia di cogliere in ritardo o di non cogliere affatto il verificarsi di fenomeni di deterioramento, di stress e di crisi del debitore. La banca, data la natura dei rapporti e la possibilità di verificare indirettamente l’evolvere dei fenomeni fi- nanziari aziendali, può orientarsi verso un’accezione di default meno ampia, evitando il rischio di cogliere anche fenomeni solo transitori. Le scelte delle aziende di credito stanno identificando la classe di default con il passaggio a sofferenza di una posizione, in modo da far coincidere la classe peggiore con un evento caratterizzato da un certo grado di gravità e definitività20.

La definizione proposta dal Comitato di Basilea prevede che la clientela venga classificata in default in presenza di almeno uno dei seguenti eventi:

a) l’impossibilità per il debitore di pagare per intero i suoi debiti;

b) la presenza di un evento creditizio come ristrutturazione del debito che comporti la rinuncia o il posponimento della quota interessi e/o del capitale;

c) un ritardo del debitore di oltre 90 giorni dal pagamento dovuto; d) la dichiarazione in bancarotta o istituti simili del debitore.

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Comitato di Basilea, 2000, “Range of Practice in Banks’ Internal ratings systems” Discus- sion paper, January

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Laviola S., 2000. “Il funzionamento dei sistemi di rating interni. I risultati di un indagine condotta all’interno dei sistemi internazionali.” in AA.VV. “Modelli per la gestione del rischio di credito. I ratings interni.” Banca d’Italia. Aprile 2000.

19

Resti, Andrea. 2001. “La previsione del rischio di insolvenza.” in Resti, A., “Misurare e gestire il rischio di credito nelle banche.”

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Questo potrebbe rivelarsi un problema per le banche italiane poiché risulta troppo ampia le definizione e, soprattutto, il termine dei 90 giorni di ritardo dal pagamento risulta disallineato dall’orizzonte temporale che caratterizza il pas- saggio a sofferenza, nonostante l’introduzione del concetto di sofferenza rettifi- cata21.

L’orizzonte temporale è un concetto inscindibile da qualsiasi tipo di misura

della probabilità di default. Nelle modalità di valutazione del rating, la scelta del orizzonte temporale riguarda il periodo di validità del rating e la considera- zione dell’evoluzione congiunturale. L’estensione temporale deve essere ade- guata alla natura del prestito e alla tipologia di rapporto esistente con il debito- re. L’occasionalità del credito sposta l’attenzione verso la durata del prestito, la continuità degli affidamenti e l’esistenza di un rapporto consolidato tende a far coincidere il rating con un orizzonte temporale più adeguato alle necessità re- lazionali22. Inoltre, strettamente legati al problema dell’orizzonte temporale ap- paiono due approcci: il Point-In-Time e il Through-The-Cicle.

Il primo approccio è focalizzato prettamente sulle condizioni correnti (e cor- rentemente prevedibili) di solvibilità del debitore. Esso si riferisce alle condi- zioni di solvibilità di un debitore in un’ottica breve-medio termine: i rating PIT si modificano al cambiare delle condizioni del prenditore, lasciando stabile nel tempo la probabilità di default associata ad ogni classe di rating.

Il secondo approccio, utilizzato principalmente dalle agenzie di rating, con- sidera le condizioni del debitore nella fase basse del ciclo economico previsto, in un’ottica di medio-lungo periodo: i rating TTC hanno il pregio di esprimere la probabilità di default associata ad ogni classe di rating nel tempo ma variano più lentamente al variare delle condizioni del prenditore23

I sistemi di rating giungono alla distribuzione dei debitori in un numero li-

mitato di classi di rischio omogenee, ciascuna con una data frequenza di de- fault attesa. Queste classi vengono poi rapportate fra loro su di una scala, in cui

i rating di alta qualità presentano una più bassa frequenza di default; tale fre- quenza cresce quando ci si muove verso l’estremità inferiore della scala. La classe di default assume il significato di ultimo stadio da cui il soggetto non dovrebbe riemergere. Le classi cosiddette fail riguardano posizioni con situa- zioni problematiche ma che presentano caratteristiche di presumibile tempora- neità. Esse dovrebbero comprendere anche classi in cui i clienti senza aver avu- to comportamenti irregolari, non presentano le caratteristiche necessarie ad ot-

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Bagella M., Caiazza S., 2001, “L’accordo di Basilea 2001: verso una nuova regolamenta- zione dei requisiti del capitale bancario”, Bancaria, n.4

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De Laurentis, 2001

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Laviola, Sebastiano. 2000. “Il funzionamento dei sistemi di rating interni. I risultati di un indagine condotta all’interno dei sistemi internazionali.” in AA.VV. “Modelli per la gestione del rischio di credito. I ratings interni.” Banca d’Italia. Aprile 2000.

tenere un nuovo affidamento24. Verso l’estremità superiore, sono collocate le classi pass che associano una probabilità di default decrescente. Il numero delle classi adottate nei sistemi di rating non è uniforme. E’ fondamentale che il nu- mero delle classi previste permetta un’adeguata differenziazione delle posizio- ni, evitando che i debitori si concentrino in una o due classi25 e migliorando le possibilità operative delle politiche di pricing.

L’ultimo aspetto da definire riguarda l’impostazione e le metodologie di

analisi delle informazioni. La logica sottostante le modalità di elaborazione

delle informazioni influenza sensibilmente la natura delle variabili processate. Infatti, come si vedrà ampiamente nel prossimo capitolo, il tipo di approccio del processo di rating incide sensibilmente sul ricorso alle informazioni quali- tative e quantitative. Il processo di rating può fondarsi su tecniche e metodolo- gie statistiche (statistical-based process), su modelli strutturati di valutazione degli esperti (constrained expert judgement-based process) oppure su analisi e valutazioni da parte di analisti specializzati (expert judgement-based pro-

cess)26. Le citate categorie, utilizzate dal Comitato di Basilea, rappresentano tre punti di un continuum di soluzioni possibili che articolano il processo di rating in modo estremamente variegato.

Le potenzialità delle differenti soluzioni risultano differenziate in relazione alla tipologia di cliente e alla complessità della situazione da analizzare. Il segmento retail, cioè privati e small business, per la sua ridotta differenziazio- ne, per la semplicità della situazione da analizzare e per la disponibilità di in- formazioni quantitative, sintetiche della situazione economico-finanziaria, si presta ad un utilizzo di tecniche statistical based, in cui il possesso di determi- nati requisiti conduce all’attribuzione ad una classe di rating. Il segmento cor-

porate, piccola e media impresa e grande impresa, non permette un utilizzo ef-

ficace di tecniche statistical-based, a causa della necessità di contestualizzare meglio le informazioni quantitative, di valutare la rilevanza di molteplici ele- menti qualitativi e di dare riscontro alla natura relazionale del rapporto con il cliente27.

Il processo judgement-based deriva da una valutazione più soggettiva, stret- tamente collegata al giudizio di un analista e articolata sulla base della situa- zione contingente del debitore. Le agenzie di rating utilizzano un approccio di questo tipo; l’impresa viene valutata sulla base dei giudizi attribuiti da un team

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Sironi, Andrea. 2000. “I rating interni e i modelli per la gestione del rischio di credito.” in AA.VV. “Modelli per la gestione del rischio di credito. I ratings interni.” Banca d’Italia

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Comitato di Basilea, 2000, “Range of Practice in Banks’ Internal ratings systems” Discus- sion paper, January

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Comitato di Basilea, 2000, “Range of Practice in Banks’ Internal ratings systems” Discus- sion paper, January

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di analisti alle caratteristiche economico-finanziarie, competitive e organizzati- ve dell’impresa28

. Questi giudizi sono successivamente esaminati da un comita- to che ne verifica la valutazione; ciò avviene attraverso un confronto con il ma- nagement dell’impresa valutata e un’analisi della coerenza con le prospettive e i piani di sviluppo dell’impresa. Il risultato finale è un rating, articolato su una serie di commenti ma standardizzato in termini di spendibilità e comprensibili- tà esterna29. In scala ridotta, questo processo riprende numerose fasi del proces- so di affidamento articolato nella tradizionale istruttoria di fido, in cui, però, il risultato era costituito da un giudizio argomentato e non da una valutazione della probabilità di insolvenza.

La forma intermedia, rappresentata da processi contrained judgement-based, fonde alle modalità della valutazione soggettiva una maggiore strutturazione sia analitica che di elaborazione delle informazioni, facendo ampio ricorso a sistemi di credit scoring di varia natura. In questo ambito, ricadono molteplici processi di rating in cui ad una valutazione di tipo statistico degli aspetti quan- titativi si aggiunge un momento di verifica e di up/down grading da parte di un analista in grado di rendere più aderente la valutazione all’impresa considerata.

4. Modelli di elaborazione delle informazioni: criticità nella

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