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Il quadro teorico di riferimento: le condizioni di scambio perfette e imperfette

APPROCCIO FUNZIONALISTA

DIFFERENZIAZIONE E TIPIZZAZIONE INTERMEDIAR

4. Il quadro teorico di riferimento: le condizioni di scambio perfette e imperfette

Nell’ipotesi di perfezione dei mercati19

, gli scambi vengono posti in essere da individui o da imprese caratterizzati da una razionalità illimitata e da com- portamenti ottimizzanti, senza restrizioni di sorta, all’interno di mercati concor- renziali definiti perfetti. Sotto queste ipotesi, la situazione d’equilibrio si confi- gura in corrispondenza di un prezzo che permette agli operatori di scambiare esattamente le quantità che corrispondono alle proprie preferenze e alla massi- mizzazione della propria funzione d’utilità, in un dato momento temporale e per quel determinato livello di prezzo. L’economia walrasiana assume, quindi, mercati senza frizioni e senza imperfezioni, in cui l’azione individuale decen- tralizzata, di un numero considerevolmente alto di operatori, sia consumatori che produttori, conduce alla determinazione di un prezzo di equilibrio che per-

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Sulle condizioni di mercato perfetto si veda, diffusamente, Cozzi T., Zamagni S., 1989, “Economia politica”, Il Mulino, Bologna. Varian Hal R., 1993, “Microeconomia” (Terza Edi- zione), Cafoscarina, Venezia. Dornbusch R, Fischer S., 1992, “Macroeconomia”, Il Mulino, Bo- logna. Samuelson P.A., 1985, “Economia”, Utet, Bologna.

mette lo scambio delle quantità programmate che massimizzano, rispettiva- mente, il profitto e l’utilità.

La condizione di base per il raggiungimento dell’equilibrio economico ge- nerale20 si fonda sul meccanismo dei prezzi e su un meccanismo concorrenziale basato su uno schema di contrattazione competitiva21. Detto ciò, qualsiasi for- ma di interazione fra operatori deve passare per il mercato e, soprattutto, qual- siasi scambio deve soddisfare il principio dello scambio volontario22.

Le condizioni che determinano l’esistenza di un mercato perfetto à la Wal-

ras possono essere sintetizzate: nell’assenza di gruppi organizzati che bloccano

o sostituiscono i meccanismi concorrenziali di mercato; in una presenza mini- malista dello stato nell’economia; nel comportamento massimizzante degli operatori, nell’interazione atomistica; nell’informazione perfetta, nell’assenza di qualsiasi limitazione all’agire economico; nella numerosità elevata degli operatori; nell’assenza di condizionamenti delle decisioni degli altri operatori presenti sul mercato. Inoltre, in tale contesto non si verifica alcuno scambio prima che il mercato raggiunga l’equilibrio, significando l’assenza di qualsiasi variazione delle quantità per livelli di prezzo differenti da quello di equilibrio. Infine, affinché si possa parlare di equilibrio di tipo walrasiano, occorrono, ne- cessariamente, due condizioni: il comportamento ottimizzante dell’imprenditore, che tenta di ottenere in continuazione dei profitti, che in equilibrio sono nulli, e un banditore di mercato che permette la fissazione del prezzo di equilibrio, mediante una contrattazione competitiva, a cui scambiare ex-post le quantità desiderate.

Nelle ipotesi neoclassiche, in equilibrio generale tutti i mercati raggiungono l’uguaglianza fra quantità domandate ed offerte. Sul mercato dei capitali, l’equilibrio si forma intorno al tasso di rendimento (i) che eguaglia il saggio marginale di produttività del capitale fisso finanziato per l’impresa e il saggio marginale di preferenza intertemporale23. Tali ipotesi di perfezione dei mercati

20

L’equilibrio economico generale presuppone il raggiungimento di una situazione di equi- librio sugli n mercati esistenti.

21

Lo scambio può avvenire anche mediante altri meccanismi di tipo non competitivo. E’ l’ipotesi della contrattazione negoziale, dove domanda e offerta si incontrano in corrispondenza di livelli di prezzo differenti, pur giungendo a scambiare tutte le quantità desiderate e a eguaglia- re le quantità offerte con le quantità domandate.

22

Il principio dello scambio volontario presuppone che ogni operatore, supposto razionale, non procederà in nessun caso, ad uno scambio che non ne migliori la posizione rispetto lo stato precedente, ciò implica che uno scambio comporta un aumento di benessere per entrambi i sog- getti che vi partecipano.

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Tale affermazione è equivalente alla negazione dell’influenza di qualsiasi forma esterna al mercato sulla determinazione del tasso di interesse, unicamente legato alle decisioni di investi- mento e alle decisioni di risparmio (non consumo) degli operatori.

hanno influenzato nella sostanza sia la teoria della finanza d’impresa che la teoria dei mercati finanziari, impedendo per molti anni la formulazione di una teoria compiuta degli intermediari e la creazione di un interesse verso i modelli di comportamento degli intermediari finanziari (Onado, 1992).

Sia la teoria della finanza che la teoria dei mercati finanziari e, in generale, la teoria finanziaria tradizionale, muovono dal comune assunto di mercati per- fetti e di comportamenti ottimizzanti e razionali. La teoria della finanza assume che un operatore può effettuare le sue scelte in ordine alla massimizzazione della sua utilità, in termini di rischio e di rendimento24, e raggiungere detta po- sizione mediante il ricorso al mercato, non lasciando alcuno spazio ad una le- gittimazione teorica degli intermediari finanziari25. Con riferimento agli inter- mediari finanziari si hanno due conseguenze. Da un lato, l’assenza di giustifi- cazione teorica della loro esistenza e dell’attività posta in essere, dato che essi producono, sostenendo un costo, un’attività o dei servizi che gli individui pos- sono produrre da sé stessi senza sostenere alcun costo d’intermediazione. Dall’altro, l’affermazione che la struttura finanziaria non esercita alcun effetto sul valore delle azioni, se per le imprese non finanziarie sancisce la sostanziale distinzione fra scelte d’investimento e di finanziamento, per le imprese finan- ziarie implica l’impossibilità della spiegazione della loro fondamentale partico- larità, dovuta alla stretta correlazione e interrelazione esistente fra scelte di fi- nanziamento (o di raccolta), scelte di investimento e mantenimento dell’equilibrio di liquidità e di solvibilità26

.

Le teoria della finanza27 non riesce, quindi, a spiegare l’esistenza degli in- termediari finanziari poiché nega la loro valenza produttiva28, configurandoli

24

Si ricordino I famosi contributi di Modigliani F., Miller M.H., 1958, “The cost of capital, Corporation Finance and the Theory of Investment” American Economic Review, 48; e 1961, “Dividend Policy, Growth and the Valuation of Shares” in Journal of Business, 34.

25

Santomero (1996), pag. 2, “…In the traditional Arrow-Debreu model of resource alloca- tion, firms and household interact throught market and financial intermediaries play no role. […] household can construct portfolios which offset any position taken by an intermediary and intermediation cannot create value.

26

Si veda Forestieri G., Mottura P. (1994) in Ruozi R., (a cura di), 1994, “La gestione della banca”, (Quarta edizione), Egea, Milano.

27

La teoria del portafoglio elaborata da Markowitz (1952), successivamente ripresa e appro- fondita durante gli anni sessanta, ha posto in evidenza la possibilità di raggiungere, mediante opportune scelte di portafoglio, la massimizzazione della propria utilità attesa in relazione alla propria propensione al rischio. La teoria del portafoglio e il capital asset pricing model, ricon- ducono tutte le problematiche di comportamento degli operatori alle scelte interpretate in termi- ni di media, quale indicatore del rendimento atteso, e di varianza, quale indicatore del grado di rischio, evidenziando come operando su queste due variabili, risulti possibile assumere le posi- zioni di indebitamento e di portafoglio caratterizzate dai profili di rischio e di rendimento am- messi dalle proprie preferenze do consumo e di risparmio. Gli operatori, inoltre, possono indebi-

come entità di puro scambio che acquistano titoli delle imprese e si finanziano con la vendita di propri titoli presso il pubblico, negando l’esistenza di un pro- blema di liquidità nelle scelte di composizione del portafoglio.

In un’ottica funzionalista, la teoria della finanza non riesce a spiegare l’esistenza degli intermediari poiché riduce o annulla le funzioni che tali istitu- zioni possiedono nei confronti del sistema. L’alternativa funzionale risulta es- sere costituita dal mercato finanziario, che possiede tutte le funzioni necessarie al sistema economico.

L’ipotesi di perfezione dei mercati29

, rende impossibile legittimare teorica- mente l’esistenza degli intermediari come alternativa funzionale più efficace dei mercati finanziari nello svolgimento di particolari funzioni, dato che il per- fetto funzionamento del meccanismo dei prezzi non lascia spazio ad alcuna forma alternativa di governo degli scambi, misurata lungo la dimensione dell’efficienza. In effetti, il mercato finanziario riesce a svolgere tutte le attività necessarie ai bisogni finanziari espressi dal sistema economico e risulta più conveniente dato che non impone al sistema economico il costo derivante dall’esistenza di un entità di intermediazione quale si configurerebbe l’intermediario finanziario e creditizio.

All’interno di questo filone teorico, sulla spinta delle numerose critiche di ipotesi troppo stringenti e irrealistiche, nel corso del tempo si sono introdotti e

tarsi o investire risorse al tasso di interesse puro ed effettuano le proprie valutazioni sul rendi- mento atteso che sconta il premio per il rischio. Markowitz H.M., 1959, “Portfolio Selection: Efficient Diversification of Investment”, Yale University press, New York. In questo senso, l’attività degli intermediari finanziari intesa nelle funzioni individuate nel primo capitolo, perde senso dato che, sotto queste ipotesi, non riescono a creare valore aggiunto per gli operatori del mercato, né con riferimento alle posizioni di rischio, né con riferimento alla massimizzazione dell’utilità. Coerentemente alle ipotesi sottostanti ai modelli precedentemente illustrati, l’option

pricing model, formulato da Black e Sholes (1973), sottolinea come qualsiasi operatore, utiliz-

zando il mercato delle opzioni, possa raggiungere la posizione di rischio-rendimento preferita, che ne massimizza l’utilità. In condizioni di mercato perfetto, l’acquisto o l’emissione di opzio- ni permette di posizionarsi insieme ad una compravendita di titoli, in equilibrio, e di avere una posizione completamente coperta, ad un tasso pari al tasso d’interesse puro. Ai nostri fini, ciò costituisce un’ulteriore espressione dell’assenza di attività creatrici di valore svolte da un inter- mediario finanziario che non possano essere poste in essere direttamente dagli operatori median- te il mercato, unicamente con l’ausilio di attività finanziarie primarie o secondarie Black F., Scholes M., 1973, “The pricing of options and Corporate Liabilities”, Journal of Political Eco- nomy”, n.81.

28

L’intermediario non può creare valore dato che la componente produttiva

dell’intermediario finanziario viene vista come attività di puro scambio, al limite come portafo- glio unitario composta da attività e passività, quest’ultime considerate come attività a rendi- mento negativo.

29

Nella teoria della finanza tradizionale, ferme restando le ipotesi di perfezione dei mercati e di comportamenti razionali, gli intermediari non trovano alcun antecedente causale in grado di giustificare e spiegare la loro presenza.

studiati gli effetti di specifiche imperfezioni del funzionamento del mercato che, in alcuni ambiti lasciavano spazio per la presenza di particolari e contin- genti forme di intermediazione finanziaria finalizzate unicamente a gestire più efficacemente e rimuovere o compensare tali fattori, al fine di ripristinare le condizioni di mercato perfetto30.

La legittimazione teorica degli intermediari finanziari implica la risposta all’interrogativo: gli intermediari possiedono delle funzioni nei confronti del sistema finanziario? Qual è il nesso logico e la rispondenza fra dette funzioni e le funzioni possedute dal sistema finanziario per il sistema economico? In ter- mini più dinamici quali sono i bisogni del sistema economico che determinano l’esistenza degli intermediari finanziari, il loro ruolo e la loro evoluzione?

Qualsiasi impianto teorico che continui ad assumere l’ipotesi di mercati per- fetti impedisce di attribuire una qualche funzione positiva agli intermediari, quale modalità di coordinamento fra bisogni dei datori e prenditori finali di ri- sorse finanziarie migliore rispetto il mercato. Tali istituzioni si configurerebbe- ro sempre come alternative funzionali ridondanti, non riuscendo ad esprimere nessun livello di efficienza ed efficacia superiore nello svolgimento di alcuna funzione.

La rimozione dell’ipotesi di mercati perfetti consente di pensare gli inter- mediari come organismi in grado di offrire al sistema economico e finanziario un “output” con un livello di efficienza non replicabile da alcun altro elemento del sistema finanziario esistente, almeno in un dato momento. Ciò significa l’abbandono della connotazione di intermediario quale portafoglio di attività e/o passività finanziarie di mercato e il riconoscimento della natura di impresa, in grado di creare valore, sorta come alternativa al mercato (Arrow, 1974)31 e capace di superare il sistema del meccanismo dei prezzi quale unico meccani- smo di coordinamento (Coase, 1937).

L’intermediario acquisisce una sua funzionalità nei confronti del sistema, di pari passo all’emergere e al riconoscimento delle imperfezioni che caratteriz- zano lo scambio finanziario e dei correlati bisogni del funzionamento e dell’agire del sistema economico. Il mercato e il meccanismo dei prezzi fun- zionano solo in ipotesi di scambi istantanei, caratterizzati da certezza e posti in essere da operatori razionali e numerosi, che li caratterizzi come scambi eco- nomico-simmetrici (Lindblom, 1977)32.

30

Su questo orientamento di introduzione graduale e progressiva, seppur molto spesso isola- ta, della considerazione di talune imperfezioni, si vedano Cesarini F. e Onado M. (1984) nell’introduzione al Van Horne, “Principi di finanza aziendale”, Il Mulino, Bologna.

31

Arrow, K., 1974, “The limits of organization”, New York, W.W.Norton, trad. ital. “I limiti dell’organizzazione”, Il saggiatore, Milano

32

Lindblom C.E., 1977, “Politics and markets”, New York, Basic Book,. Trad. It. “Politica e mercato”, Etas Libri, Milano, 1979.

Lo scambio finanziario, invece, è per sua natura incerto, a causa del differi- mento di una delle due prestazioni nel tempo che comporta una certa probabili- tà di variazione del valore di scambio. L’eliminazione “dell’incertezza”33

, quando possibile, impone il sostenimento di un costo, spesso rilevante, renden- do, in alcuni casi, meno efficiente il coordinamento diretto rispetto un coordi- namento intermediato.

In realtà, l’introduzione di ipotesi più realistiche nella descrizione dello scambio finanziario contribuisce alla spiegazione degli intermediari e alla comprensione delle cause della diversità esistente, legata alla varietà dei biso- gni esplicitati. Se da un lato, la letteratura si sta progressivamente allontanando dagli schemi strutturalisti che implicano un eccessivo grado di determinismo comportamentale, dall’altro si continua a considerare invariato il valore e la ri- levanza delle variabili più facilmente parametrizzabili, quali prezzi e quantità, piuttosto che dei processi d’interazione strategica e soggettiva.

In questo lavoro, la letteratura di riferimento nella spiegazione dell’intermediazione finanziaria si muove nell’ambito di un’impostazione di tipo più realista, assumendo una concezione di intermediario di derivazione economico-finanziaria piuttosto che manageriale. L’agency theory e, in gene-

rale, tutta la teoria delle asimmetrie informative, nella letteratura finanziaria,

conservano sostanzialmente l’impostazione neoclassica, focalizzandosi sull’allocazione razionale come fonte di valore.

La letteratura di riferimento e la teoria dell’intermediazione sono principal- mente d’impostazione neoclassica anche se ciò non significa l’utilizzo, sic et

simpliciter, dei modelli marginalisti e delle ipotesi sottostanti. Non sembra ne-

cessario ricordare che, ormai, gli intermediari non vengono identificati in una, seppur complessa, funzione di produzione. Tuttavia, con gradi di moderazione maggiori, si continua ad ipotizzare una razionalità comportamentale di tipo economico-naturale, l’ottimizzazione e il calcolo nella descrizione dei compor- tamenti e nella attività di decision making. L’intermediario finanziario è inteso come entità microeconomica, il cui agire è interpretato come ricerca della solu- zione a problemi complessi, e anche in situazioni di incertezza o di informazio- ne incompleta e asimmetrica, il suo comportamento viene assunto ottimizzante e calcolatore, quantunque occorra ricorrere ai contratti formali o impliciti per poter ridurre o dominare l’incertezza, con il minimo costo possibile.

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Occorre precisare che si sta utilizzando il termine incertezza in un’accezione molto lata, da intendersi come assenza di certezza negli scambi. Le cause di tale situazione devono essere rife- rite alle divergenze in termini di preferenze degli operatori del mercato, alle imperfezioni ogget- tive del mercato legate alla distribuzione asimmetrica delle informazioni e all’esistenza di costi di accesso e utilizzo del mercato e alle caratteristiche soggettive (neurofisiologiche) degli indi- vidui che si rivolgono al mercato.

L’analisi delle condizioni e delle caratteristiche dello scambio finanziario permette una migliore contestualizzazione delle attività degli intermediari fi- nanziari e del valore della relazione di clientela.

5. Lo scambio finanziario: definizione, caratteristiche e

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