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Relationship banking e piccole e medie imprese: il rating creditizio

APPROCCIO FUNZIONALISTA

TOP DOWN

1. Relationship banking e piccole e medie imprese: il rating creditizio

Nel capitolo precedente è stato posto in evidenza come possa rivelarsi fun- zionale e qualificante il miglioramento delle modalità di valutazione degli ef- fetti relazionali attraverso una migliore strutturazione del processo e il coinvol- gimento organizzativo del relationship manager o della figura organizzativa di- rettamente coinvolta nella gestione del cliente. La considerazione degli aspetti più qualitativi e meno disponibili nell’informazione pubblicistica migliora il processo di rating su base oggettiva, contestualizzandolo all’interno di una si- tuazione aziendale più specifica e qualificando meglio la stima della probabilità d’insolvenza. Foglia, Laviola (2000)1

dimostrano come una gestione del rischio di credito fondata su una valutazione specifica della probabilità d’insolvenza delle singole posizioni sia migliorativa rispetto ad una valutazione basata sui tassi medi di insolvenza. Infatti, la perdita inattesa risulta più contenuta nelle situazioni in cui si produce uno sforzo valutativo maggiore. Nonostante la cau- tela dei due autori, i risultati emersi incoraggiano a valutare o, quanto meno, a

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Foglia A., La viola S., 2000, “Probabilità di insolvenza individuali e rischio di portafoglio” in “Modelli per la gestione del rischio. I ratings interni”, Banca d’Italia, Tematiche Istituzionali, Aprile

verificare il contributo della considerazione delle variabili qualitative a mag- giore contenuto relazionale sulla misurazione e sulla gestione della probabilità di default, sulla perdita attesa e, indirettamente, sulla perdita inattesa.

Un problema rilevante deriva dalla articolazione del processo di affidamento lungo unità organizzative che associano competenze e attività differenti in rela- zione alla valutazione del rischio e del rendimento. In particolare, possono es- sere individuati tre soggetti distinti:

– il front office che gestisce la relazione e possiede le informazioni mi- gliori inerenti l’impresa richiedente cui si attribuisce una connotazione sostanzialmente commerciale, dati gli obiettivi gestionali e organizzativi che lo caratterizzano;

– l’analista finanziario che valuta il rischio del debitore e l’opportunità dell’operazione attraverso l’utilizzo di una serie di informazioni qualita- tive di natura oggettiva e soggettiva e dei dati quantitativi provenienti dalla Centrale rischi, dai dall’andamento del rapporto con la banca; – il decisore che, sulla base di quanto emerso nelle fasi di valutazione del

rischio verifica l’opportunità e la possibilità dell’affidamento.

Questa impostazione tradizionale si fonda sul presupposto che la logica commerciale del front office, più emotiva e soggetta alle distorsioni provenienti dal contatto e dalla gestione del cliente, debba essere in qualche modo corretta e bilanciata dalla ragione creditizia che valuta in modo oggettivo e asettico il rischio e la convenienza dell’affidamento. La maggior parte del momento dia- lettico che si sviluppa fra Area fidi e front office non è presidiato sotto un profi- lo organizzativo ed è affidato alle attitudini e ai rapporti personali dei soggetti coinvolti: tutto ciò, da un lato, sembra ridurre il rischio assunto, mentre dall’altro riduce l’efficacia relazionale poiché non ottimizza le informazioni di- sponibili (Cosma, Fabbri, 2000).

Nell’ambito di questo lavoro si fatto, spesso, riferimento ad una figura or- ganizzativa definita relationship manager a cui viene deputata la gestione del cliente e, con specifico riferimento, del cliente corporate di medio-piccole di- mensioni. Questa figura è il risultato dell’evoluzione della tradizionale visione dell’organizzazione del processo di affidamento, a cui ha fatto seguito la fattiva tendenza organizzativa delle principali banche italiane. La suddivisione dei processi finanziari destinati alle differenti tipologie di clientela ha prodotto una coerente organizzazione del front office e del sistema di erogazione del servi- zio. Infatti, sono state individuate competenze distintive per la gestione dei clienti corporate rispetto ai segmenti più retail, e sono state formate specifiche figure professionali, spesso attingendo nei ruoli più elevati delle filiali tradizio- nali. Nella prassi operativa, a ciascun gestore2 di portafoglio corporate è stato

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Il gestore di portafoglio imprese deve possedere competenze tecniche di tipo commerciale, finanziario e relazionale allo scopo di combinare la funzione fidi e la funzione commerciale. Il

assegnato un numero non elevato di imprese da seguire, al fine di poter svilup- pare e consolidare un presidio fattivo ed efficace del cliente e della relazione. In particolare sono stati ridisegnati alcuni processi operativi e, di frequente, è stato preferito un canale distributivo preferenziale e specializzato per questa ca- tegoria di clienti attraverso la costituzione di filiali corporate.

Nell’ambito del processo di affidamento si pone la necessità di una serie di scelte di armonizzazione dell’organizzazione delle attività (relative a valuta- zione, selezione, controllo e revisione), delle competenze decisionali, del grado di delega, degli obiettivi aziendali e personali e, soprattutto, delle leve manage- riali e operative possedute per perseguirli. In sostanza, il relationship manager possiede una specializzazione funzionale e professionale che permette una maggiore interazione con l’area di valutazione e misurazione del rischio di cre- dito. Questa maggiore specializzazione dovrebbe aumentare l’efficacia valuta- tiva dell’impresa, attraverso una riduzione del ruolo attribuito agli interessi di- vergenti dell’area credito e dell’area commerciale, e attraverso la creazione di interessi più allineati e finalizzati al perseguimento negoziale di un medesimo obiettivo: l’ottimizzazione del trade off rischio-rendimento.

Nei primi capitoli, sono stati messi in luce le determinanti dell’incertezza comportamentale, le implicazioni sul rischio di credito di un rapporto di finan- ziamento e i suoi meccanismi di gestione negli scambi finanziari isolati e ripe- tuti. La teoria delle asimmetrie informative individua i fondamenti del transac- tional banking e del relationship banking, evidenziando i rischi delle asimme- trie informative verticali e orizzontali sul rapporto banca-impresa. Nell’analisi dei rapporti transazionali, il focus si pone sui meccanismi (incentive devices) e sulle strutture contrattuali che permettono di limitare e, per quanto possibile, eliminare l’incertezza connessa alle decisioni e ai comportamenti. La compren- sione delle dinamiche di relationship banking impone un attenta riflessione sul- le modalità di gestione dell’incertezza, in grado di creare le condizioni affinché emerga un interesse condiviso e credibile ad operare per massimizzare il risul- tato della relazione. Sotto un profilo teorico, stanti tutti gli aspetti precedenti, divengono particolarmente importanti gli effetti “biunivoci” dell’asimmetria informativa verticale. Ai fini di una relazione, sia il finanziato che il finanziato- re risultano esposti ai medesimi rischi della non perfetta conoscenza dell’altrui

costante dialogo con il cliente consente la raccolta di informazioni riservate utili ai fini della va- lutazione del successo strategico dell’impresa e quindi del rischio redditizio ovvero dell’individuazione delle più appropriate forme di assistenza creditizia e finanziaria. Le caratte- ristiche della domanda, intesa come l’ampiezza, la complessità ed il livello di personalizzazione dei servizi richiesti, possono rendere necessario l’intervento di ruoli specialistici come gli spe-

cialisti di prodotto nell’attività consulenziale e di commerciale, gli analisti finanziari nella valu-

tazione dei rischi di credito dei clienti. Sulla centralità del ruolo del client manager si veda De Laurentis G. “La valutazione dei fidi e l’assistenza alle imprese nel corporate banking relaziona- le” in Baravelli M. “Le strategie competitive nel corporate banking”, EGEA, Milano, 1997, cap4

comportamento, in modo vicendevole e dipendente dal periodo di osservazio- ne. La necessità della fiducia deriva proprio dall’esigenza di gestire l’aspettativa interattiva dell’altrui comportamento.

L’introduzione di sistemi di rating volti alla misurazione e valutazione del rischio di credito e, quindi, dell’incertezza comportamentale può essere inter- pretata, ai fini del discorso, come la costituzione di importanti meccanismi ope- rativi di comunicazione, integrazione e coordinamento, volti al completamento dell’evoluzione del processo di affidamento. Il differente comportamento di questi sistemi nei confronti dei contenuti sviluppati e perseguiti nell’ambito delle relazioni bancarie e la considerazione attribuita alle informazioni qualita- tive hanno un importante effetto organizzativo e gestionale.

La non validazione sostanziale delle informazioni emerse e della fiducia creatasi nel corso della relazione rischia di annullare l’avvicinamento organiz- zativo fra la logica relazionale, insita nell’area commerciale e orientata alla soddisfazione del cliente, e la logica creditizia, insita nell’area fidi e tesa alla valutazione oggettiva del rischio. Un avvicinamento compiuto attraverso la creazione di un sistema di erogazione ad hoc per la clientela corporate e della figure del relationship manager a cui non si accompagnano meccanismi opera- tivi coerenti.

La considerazione strutturata dei contenuti della relazione e della migliore qualificazione di tutte le informazioni provenienti da coloro che conoscono l’impresa, invece, permette di completare la riorganizzazione dell’intermediazione creditizia e di avere nuovi strumenti per orientare e con- trollare i comportamenti organizzativi attraverso i sistemi di programmazione e controllo, il sistema incentivante, il raccordo fra gli obiettivi personali e collet- tivi3 e, soprattutto attraverso lo sviluppo di una credit culture allineata al dise- gno organizzativo.

Le piccole e medie imprese italiane sono caratterizzate da un modello pro- prietario accentrato, molto spesso di carattere familiare che determina una certa tendenza alla commistione dei due ambiti (Comana, 2001)4. La ridotta capita- lizzazione, la tendenza a sfruttare i meccanismi di leva finanziaria e le difficol- tà di accesso diretto al mercato, sia per la scarsa economicità di tale ricorso a causa della dimensione ridotta e dei volumi contenuti dei fondi richiesti che per la forte propensione a mantenere il controllo proprietario, hanno attribuito al credito bancario un ruolo di catalizzatore dello sviluppo dell’imprenditoria nel

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De Laurentis, 2001

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La Banca d’Italia ha stimato che questa tipologia di imprese con una struttura proprietaria familiare e con compagini sociali caratterizzate da forti vincoli socio-parenterali siano più del 50% dell’intero sistema imprenditoriale (Desario, 1999)

nostro paese ed di perno della finanza delle imprese5. Molto spesso, gli aspetti citati, insieme all’avversione all’ingresso di nuovi partner e all’accentramento di tutte le attività manageriali-decisionali in capo all’imprenditore-proprietario conducono a ricorrere stabilmente a forme di finanziamento su garanzia perso- nale dell’imprenditore, giungendo a qualificarsi, nella sostanza economica, come forme ibride di ricapitalizzazione temporanea o di tipo prolungato6.

Un ulteriore tratto caratteristico è legato alla ridotta attività finanziaria delle imprese e alla scarsa diffusione della funzione finanza, spesso inclusa e identi- ficata nell’area amministrativa (Bisoni, Landi, 2000). Ciò produce una scarso ricorso alla pianificazione finanziaria, una ridotta valorizzazione del momento finanziario all’interno delle decisioni di investimento, prevalentemente valutate secondo una logica reddituale (Fortis, Bassetti, 2000)7, un abituale ricorso ver- so fonti finanziarie di breve termine anche per fabbisogni finanziari di più lun- go termine (Comana, 2001)8. Questi elementi insieme alla sensibile dipendenza dell’impresa dalla discrezionalità dell’imprenditore-proprietario, hanno condot- to ad una certa opacità del sistema impresa, al rafforzamento dell’asimmetria informativa e alla naturale tendenza verso modelli di transactional banking, di frazionamento dei finanziamenti e verso l’utilizzo elevato di meccanismi di ga- ranzia9.

Il modificarsi delle condizioni ambientali e di mercato hanno impresso una decisa accelerazione delle imprese verso un modello di finanziamento, più coe- rente alla maggiore dinamicità, incertezza e complessità esterna. Infatti, la reale globalizzazione di molti settori di attività, l’allargamento dei mercati geografi- ci, il drastico ridimensionamento del ruolo dell’intervento pubblico, il peso cre- scente delle regole della concorrenza e del mercato e l’emergere di nuovi fatto- ri critici di successo dell’impresa come la flessibilità, l’innovazione, la qualità delle risorse umane, la capacità di presidi dei mercati allargati hanno imposto

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Per una trattazione più approfondita si veda Caselli S. (2000), “La domanda di servizi fi- nanziari delle imprese in Italia” in Forestieri G. “Corporate & Investment Banking”, Egea, Mila- no,.

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Tagliavini G. “Costo del capitale, analisi finanziaria e corporate banking”, EGEA, Milano, 1999.

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Fortis M., Bassetti G., 2000, “Il finanziamento delle PMI. Il quadro nazionale: opportunità per il sistema lombardori“, Franco Angeli, Milano

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Per una completa rassegna della letteratura e per una sostanziale elaborazione del compor- tamento finanziario delle PMI si veda Caselli (2001).

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Come sottolineano Ruozi, Zara (2001), a cui si rimanda per una sintetica e efficace rasse- gna dei principali aspetti del rapporto banca-PMI di tipo plurimo, il multiaffidamento e il tran- sactional banking sono adeguati e coerenti ad un modello di rapporto in cui i partecipanti perse- guono obiettivi particolari legati alla limitazione della complessità e del rischio, da un lato, e alla autonomia gestionale dall’altro. Ruozi R., Zara C., 2001, “Il rapporto banca-PMI: caratteri- stiche strutturali e tendenze evolutive”, Bancaria, n.10

la ricerca di una migliore stabilità economico-finanziaria10. Il comportamento finanziario in termini di bilanciamento delle fonti finanziarie e di grado di leve- rage perseguito è stato sottoposto a due forze che hanno insistito con intensità simile ma direzione opposta: la spinta verso la riduzione del rapporto di indebi- tamento a fronte della più accentuata instabilità reddituale e di fatturato e la spinta derivante da un contesto di tassi d’interesse ridotti e sostanzialmente stabili.

L’aumento di instabilità dell’economia ha comportato un forte aumento del rischio di credito. Le banche hanno dovuto cominciare a riscontrare come il frazionamento dei fabbisogni finanziari divenisse ancora più rischioso sia per le maggiori difficoltà di previsione delle crisi e delle insolvenze, sia per il costo opportunità derivante dalla mancata comprensione della gravità della crisi dell’impresa che conduceva alla perdita di un cliente11

. Tutto ciò coincide con un significativo aumento del livello di concorrenza nel mercato del credito che si è andato accentuando a seguito del processo di integrazione europea12. Tut- tavia, la maggiore complessità ambientale non rappresenta il presupposto ma unicamente un ulteriore aspetto che rende rilevante una valutazione del rischio di credito fondato anche sulla considerazione delle variabili qualitative e di na- tura relazionale. La conoscenza diretta e approfondita dell’impresa permette di avere una visione through the cycle, in grado di giungere ad una misurazione del rischio di credito a più lungo termine. Inoltre, l’attività di concessione del credito alla clientela corporate, pur producendo margini di redditività ridotti o addirittura nulli13, ricopre ancora un ruolo fondamentale in quanto costituisce il prerequisito per l’avvio di relazioni di clientela e per la conseguente offerta alle imprese di servizi finanziari. Questo è tanto più vero, quanto più si focalizza l’attenzione sulle imprese che al di là della dimensione, evidenziano modalità operative e di business complesse, manifestano bisogni più articolati e richie-

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Forestieri G., 1997. “Lo sviluppo del corporate banking: mito o realtà?” in Baravelli M. (a cura di) “Le strategie competitive nel corporate banking”, EGEA, Milano, 1997, pag 16.

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Aumentano la complessità e le difficoltà del gioco del fiammifero: “il meccanismo diviene simile al gioco del fiammifero acceso: si scotterà l’ultimo detentore del credito, mentre tentano di rimanere indenni coloro che più tempestivamente escono dal novero dei finanziatori”. Coma- na M. 1992 “Grandi fidi e rapporto banca-impresa” in Banca e Banchieri, n.9,

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Sul cambiamento dello scenario competitivo si veda Mottura P. “Nuove strategie e riorga- nizzazione dell’attività di credito”, in Bancaria, n.2/2000.

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Bombonato, Buzzi, Goos, 2000, hanno rilevato che attualmente le banche, in media, ot- tengono uno spread di 220 basis point sugli impieghi, ma per erogare e gestire gli attivi devono sostenere costi operativi quantificabili in 60 basis point; se si detrae il costo del rischio atteso si ottiene un margine pari a 70-80 basis point; tale margine viene quasi completamente assorbito dal costo del capitale investito: ne deriva che il risultato netto dell’attività creditizia si riduce a zero. Bombonato C. Buzzi V. Goos E. 2000, “Modelli e soluzioni innovative per la gestione del rischio di credito: alle soglie di una nuova era”, in Bancaria, n.2.

dono servizi bancari e finanziari sofisticati. In questo ambito, la relazione non è solo una modalità strategica di corporate banking ma diviene il presupposto per poter attivare un’offerta adeguata alle caratteristiche di questa tipologia d’impresa (Ruozi, Zara 2001) a cui devono essere affiancati meccanismi opera- tivi coerenti.

La dimostrazione della rilevanza delle variabili qualitative nella valutazione del rischio di credito e, in particolare, la dimostrazione dell’importanza degli aspetti della relazione che contribuiscono a discriminare meglio le imprese con un rischio di credito ridotto costituisce l’obiettivo dei prossimi paragrafi. Infat- ti, l’introduzione di un sistema di valutazione di queste variabili e il riconosci- mento organizzativo della relazione esplicito e non solo dialettico o negoziale, rappresentano un tassello importante per la coerenza fra ambiente e il mercato di riferimento, strategia perseguita dalle banche e organizzazione, non solo in- tesa come disegno strutturale della divisione del lavoro quanto come insieme di meccanismi operativi e processi trasversali.

L’importanza delle variabili qualitative nel rapporto con le piccole e medie imprese può essere ricondotta a tre aspetti fondamentali:

– la ricerca e la verifica dell’esistenza di una relazione e del grado di commitment, richiedono una risposta coerente e fattiva della banca che consideri anche questi aspetti nelle decisioni. La relazione non potrà mai svilupparsi e consolidarsi a causa dell’impossibilità di creazione di fidu- cia relazionale. Non ci si può aspettare l’emergere di aspettative credibi- li da parte dell’impresa se le banche non considerano i risultati della re- lazione e dei comportamenti nella proprie decisioni, ancorandoli unica- mente alle variabili economico-finanziarie. Sotto questo profilo si per- dono i vantaggi di una migliore gestione dell’incertezza attraverso la creazione di incentivi di comportamento che rendano maggiori i costi di opportunismo;

– la seconda deriva dalla possibilità che l’individuazione di una modalità valutativa delle variabili qualitative oggettive e soggettive permetta un miglioramento della previsione di insolvenza, migliorando il grado di ri- schio assunto dalla banca, riducendo la perdita inattesa e il valore del patrimonio assorbito ma, soprattutto, minimizzando i costi dello short terminism;

– la terza è più strettamente legata alla considerazione che un meccanismo operativo coerente alle modalità di gestione del cliente permetta una mi- gliore integrazione del processo e delle differenti attività legate all’affidamento, migliori la possibilità di controllo dei singoli, non fru- stri la capacità commerciale della banca ponderata per il grado di rischio ed eviti l’insorgere di conflitti d’interesse che alla fine possano impatta- re sul clima aziendale e sull’efficacia valutativa e gestionale.

2. Le variabili qualitative: dalle variabili competitive alle variabili

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