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Le problematiche relative alla valutazione della relazione bancaria

APPROCCIO FUNZIONALISTA

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5. Le problematiche relative alla valutazione della relazione bancaria

Il progressivo affermarsi di un nuovo approccio alla misurazione e gestione del rischio di credito, fondato su una sua formalizzazione differente rispetto al- la tradizionale definizione, introduce una maggiore attenzione ai driver del ri- schio e alle modalità di minimizzazione dello stesso. In realtà, negli anni no- vanta non si sviluppano solo delle nuove tecniche di gestione del rischio. Infat- ti, si assiste ad una graduale affermazione di una nuova visione creditizia che capitalizza alcuni concetti della filosofia tradizionale ma attribuisce una conno- tazione maggiormente finanziaria alla gestione del credito e ai rischi connessi. La visione creditizia tradizionale tende a distanziare la gestione del portafo- glio prestiti rispetto alla gestione del singolo prestito, raccordando le due logi- che attraverso la definizione dei criteri di valutazione dei fidi e attraverso l’indicazione di una serie di linee guida funzionali al raggiungimento di una specifica composizione e di un dato volume obiettivo. La gestione dei prestiti tende, sostanzialmente, a valutare due variabili: il volume del prestito e il tasso. La prima risente del contesto ambientale e del rapporto plurimo fra banche e imprese, in cui la logica del frazionamento e di gestione assicurativa dei prestiti risulta pregnante nella definizione del fabbisogno finanziario da soddisfare. La variabile prezzo deriva dalla sostanziale assenza di una misurazione del rischio puntuale e dall’applicazione di tassi che variano in relazione a fattori legati: al rapporto, alla conoscenza diretta, al ramo di attività, alla situazione specifica della banca in termini di incidenza dei prestiti e delle sofferenze, con una ridot- ta razionalità sotto un profilo economico (Corigliano, 1998)38. Questa logica si definisce e si consolida nell’ambito di un’attività bancaria specializzata, orga- nizzata secondo modelli di natura funzionale che frazionano i processi decisio- nali. Il processo di affidamento non è presidiato da un unico responsabile e, so- prattutto, alcune interdipendenze reciproche e complesse non sono riconosciute e gestite adeguatamente. Tutto ciò crea situazioni di dissonanza organizzativa, decisionale e gestionale che conducono a modelli di intermediazione, valuta-

nanziarie e oggettive al contrario delle piccole banche , più protese all’interpretazione delle ca- ratteristiche del debitore.

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zione del rischio e pricing non ottimali rispetto alla tipologia del cliente, alla natura della relazione esistente e alle informazioni disponibili (Cosma, Fabbri, 2000). Si individuano tre tipologie di limiti nella gestione del rischio di credito delle banche italiane nell’impostazione tradizionale39

: i limiti tecnici, connessi all’assenza di un’adeguata metodologia di misurazione del rischio e al ridotto ricorso a sistemi di credit scoring e rating; i limiti gestionali, legati all’assenza di un orientamento verso una gestione di portafoglio del rischio di credito e all’assenza di un effettivo controllo della redditività di cliente; i limiti organiz-

zativi, dovuti alla frammentazione dei centri di istruttoria e di delibera dei pre-

stiti, al sistema delle deleghe decisionali per volume di fido e alla filosofia an- tagonista che viene promossa fra le differenti unità coinvolte nel processo cre- ditizio al fine di ridurre possibili comportamenti troppo inclini ad una logica più commerciale che creditizia.

La new view considera l’attività creditizia come un momento unitario, di na- tura finanziaria e relazionale, di gestione del credito e, in particolare, del ri- schio di credito, si affianca e si integra con la più ampia gestione del portafo- glio d’investimenti bancario e con i complessivi rischi finanziari e operativo- strategici della banca. Essa si sviluppa in un contesto di vigilanza prudenziale e sta giovando di una sensibile e sostanziale accelerazione nell’ambito della tran- sizione verso una vigilanza consensuale. La riduzione della distinzione inter- pretativa esistente fra sfera creditizia e sfera finanziaria conduce verso una vi- sione più integrata dell’attività bancaria all’interno del risk management. Ciò richiede che la gestione dei prestiti e del rischio di credito vengano attuate in modo da poter misurare l’impatto prodotto dall’attività creditizia sul patrimo- nio attraverso la stima della massima perdita potenziale (value at risk) o, in al- tre parole, del rischio assunto in relazione alla dotazione di patrimonio disponi- bile40.

La scomposizione del rischio di credito nelle sue differenti componenti permette di individuare e quantificare il livello di perdita attesa e di stimare la variabilità della perdita attesa cioè la perdita inattesa. La concezione più spic- catamente finanziaria della new view tende ad accentuare il ruolo attribuito alla gestione del portafoglio prestiti, oltre che alla gestione del pricing e del proces- so di selezione. La diversificazione dei prestiti permette di ridurre la perdita inattesa attraverso l’ottimizzazione delle correlazioni esistenti fra i singoli pre- stiti, senza esercitare alcun effetto sul livello di perdita attesa.

La gestione della perdita attesa riguarda il rischio specifico del prestito: la probabilità di default attesa e la capacità di recuperare la maggior parte possibi-

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De Laurentis (1998)

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Su questi temi si veda diffusamente Saita F. (2001) e con riferimento al rischio di credito si veda Sironi A., 1998, “Dalla probabilità di insolvenza al VAR di un portafoglio: obiettivi, ap- procci alternativi e applicazioni” in Sironi A., Marsella M., (1998)

le dell’esposizione passata a sofferenza. In definitiva, la perdita attesa può esse- re gestita attraverso la migliore stima possibile della PD, la minimizzazione della LGD e la possibilità di controllo della EAD (exposure at default). La mi- surazione e la gestione del rischio specifico permettono, da un lato la riduzione del livello complessivo di rischio assunto dalla banca, dall’altro l’adeguata co- pertura del rischio di credito attraverso un pricing più coerente all’effettivo li- vello di rischiosità e al costo del rischio di credito assunto.

La tendenza verso una visione di risk management della gestione del credito introduce la necessità di superamento della tradizionale classificazione dicoto- mica del merito creditizio in “affidabile” e “non affidabile” e della misurazione semplicistica del rischio di credito in crediti vivi, incagli e sofferenze. Occorre classificare tutte le singole posizioni in modo ordinale rispetto al livello di ri- schio di credito evidenziato, esplicitando per ciascuna di esse il tasso di default atteso. La necessità di implementare un processo di risk assignment pone in evidenza una serie di problematiche legate alle caratteristiche del processo, alla metodologia adottata e agli strumenti utilizzati. Il punto di partenza deriva, co- me sottolinea De Laurentis (2001b)41, dal fatto che l’internal rating based

(IRB) approach è una modalità per superare la visione diadica relativa alle fi-

nalità gestionali e alle finalità regolamentari della misurazione del rischio. Nei processi di rating, deve essere esclusa l’ipotesi di un “doppio binario” ai fini del risk management rispetto ai processi di selezione, controllo e monitoring. Il processo di attribuzione di un rating e di quantificazione del rischio di credito deve compenetrarsi all’intero sistema gestionale della banca, seguire e ispirare la medesima filosofia gestionale e fondersi progressivamente con i valori della cultura della banca. Il Comitato di Basilea (2000)42 ha indicato esplicitamente due sostanziali necessità per l’orientamento verso un IRB approach nel princi- pio n.10: “Le banche sono incoraggiate a sviluppare e utilizzare un sistema di

rating interno nella gestione del rischio di credito. Il sistema di rating deve es- sere coerente con la natura, la dimensione e la complessità della attività della banca.” Il sistema di rating interno viene riconosciuto come un importante

strumento di controllo sia della qualità dei singoli crediti sia della qualità dell’intero portafoglio e si configura come uno strumento apprezzabile nel dif- ferenziare il rischio di credito delle esposizioni creditizie.

Le modalità di determinazione e formulazione del rating richiedono una se- rie di scelte relative al processo di rating assignment e di rating quantification. Nell’ambito delle differenti tipologie di analisi si pongono molteplici problemi relativi all’analisi dell’impresa, del suo merito creditizio e della probabilità di

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De Laurentis G., (2001) «I riflessi sui processi di concessione e revisione dei crediti della nuova proposta di Basilea” in Bancaria , n.4

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default. In relazione alla differente tipologia del richiedente fido, le tipologie di

analisi variano la loro efficacia poiché alcune informazioni non riescono ad es- sere incorporate all’interno di dati oggettivi. Il segmento delle piccole e medie imprese pone delle difficoltà poiché non riesce ad essere valutato compiuta- mente attraverso la tradizionale elaborazione dei dati di natura economico- finanziaria, dei dati provenienti dalla Centrale dei rischi, dei dati andamentali derivanti dall’osservazione dei flussi finanziari attivati dall’impresa con l’utilizzo dei vari servizi bancari e dell’andamento settoriale ed ambientale.

Le difficoltà sono di duplice natura e rimandano, da un lato, alla stessa teo- ria dell’intermediazione finanziaria che legittima e spiega l’esistenza della ban- ca, dall’altro ai limiti e alla significatività delle varie tecniche di analisi utiliz- zate in relazione alla natura dei dati.

Il primo problema deriva dal ruolo della relazione con il cliente ai fini della riduzione dei rischi legati alle asimmetrie informative alla luce dei limiti esi- stenti nei processi di socializzazione delle informazioni e delle competenze va- lutative nella banca. Questi limiti contribuiscono a consolidare l’asimmetria in- formativa istituzionale fra banca e impresa perché l’organizzazione del proces- so di gestione relazionale del cliente concentra tali informazioni presso il front office e, ancora più frequentemente, in capo allo specifico relationship mana-

ger. L’interazione continuata con l’impresa, la conoscenza sempre più appro-

fondita e la creazione di process-based trust riducono l’asimmetria informativa esistente fra gli effettivi partecipanti alla relazione. Sono informazioni riserva- te, relative a situazioni specifiche dell’impresa, che contribuiscono a spiegare e contestualizzare alcune situazioni economico-finanziarie; a ciò si aggiungono le informazioni di natura esperenziale che riflettono la profondità e la solidità della relazione, esprimono il grado di fiducia e di mutual commitment e contri- buiscono a individuare il rapporto di causa-effetto che caratterizza determinati comportamenti finanziari e gestionali dell’impresa43. Molto spesso queste in- formazioni non sono condivise con la banca e non possono essere utilizzate se non dalle persone direttamente coinvolte.

Il secondo problema è legato alla necessità di valutare gli aspetti tipici di un’impresa che emergono nel corso della relazione e si caratterizzano per una pluralità di informazioni che qualificano meglio il richiedente prestito e che, spesso, non riescono ad essere incorporate nei dati tradizionalmente analizzati.

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Si vedano le osservazioni di Caselli (2000) sui fattori relativi alle determinanti demand si-

de del comportamento finanziario, proprietario e manageriale delle PMI che contribuiscono a

rendere nebulosa e incerta la valutazione di una situazione economico-finanziaria; i fattori indi- viduati da Ruozi, Zara (2001) per una migliore comprensione delle determinanti dei bisogni del- la PMI e delle strategie coerenti di gestione del rapporto banca-impresa e delle politiche crediti- zie; Forestieri (1997) per una sintesi dei fattori che persistono nel rendere opaco e disomogeneo il rapporto fra banche e imprese in Italia.

La valutazione di questi aspetti è di natura fondamentalmente soggettiva e si fonda su variabili e caratteristiche qualitative che non riescono a possedere l’oggettività e la continuità di misurazione dei dati quantitativi. La natura delle informazioni e la loro irriducibile subordinazione al giudizio del gestore della relazione o, comunque, del front office, impongono la necessità di giungere ad un loro considerazione omogenea che permetta di completare il rating com- plessivo dell’impresa.

Le osservazioni compiute sulla difficoltà di istituzionalizzare la fiducia fra banca e impresa, sotto un profilo informativo, insieme al riconoscimento dell’importanza informativa del gestore della relazione e della rilevanza delle variabili qualitative nella formulazione del rating, impongono di individuare una modalità attraverso cui includere il valore di tali variabili nel rating e gesti- re la partecipazione del relationship manager alla valutazione. I modelli di analisi su base statistica difficilmente incorporano dati qualitativi soggettivi a causa dell’assenza di serie storiche significative e dell’impossibilità di verifica- re la rilevanza delle variabili inserite nel processo. Come si è visto, i modelli statistici tendono ad allontanarsi il più possibile dalla individuazione soggettiva delle variabili e del loro peso sul giudizio finale dato che l’introduzione di va- riabili soggettive potrebbe alterare la funzionalità del modello e la significativi- tà dell’output.

Una soluzione diffusa al problema consiste in un processo di grading in cui il gestore della relazione effettua una valutazione delle singole aree di indagine e formula una correzione migliorativa o peggiorativa del giudizio emerso dal processo di rating. L’integrazione del rating con il giudizio del relationship

manager può essere organizzato in modi differenti. Il giudizio dell’analista può

essere previsto in un area d’analisi che concorre insieme alle altre aree alla de- terminazione del rating finale (notching orizzontale) oppure esso può concre- tarsi in un giudizio progressivo che concorre a modificare il rating emerso dall’analisi dei dati quantitativi (notching verticale).

In alternativa, si può organizzare il processo di notching secondo una moda- lità sequenziale che giunge a integrare le singole valutazioni delle differenti aree di analisi con le informazioni qualitative e il giudizio del relationship ma- nager. L’intervento può essere previsto come correzione del rating oggettivo finale, attraverso un notching sintetico che interviene solo nell’ultima fase, op- pure come correzione puntuale di tutte le valutazioni che emergono dalle singo- le aree di analisi. In quest’ultimo caso, si pone in essere un notching analitico che verifica e integra tutti i giudizi emersi nelle singole fasi di formulazione e determinazione del rating44.

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L’implementazione di un sistema di rating è funzionale ad una più ampia e pervadente diffusione dei principi e della filosofia gestionale del risk manage-

ment. Nonostante la logica di risk management tenda ad avvicinarsi maggior-

mente ad una logica più finanziaria, esistono delle caratteristiche che sono ine- liminabili nella gestione del credito. L’aspetto rilevante nella spiegazione nell’esistenza delle banche è legato alla migliore capacità e alla maggiore effi- cienza con cui vengono superati i problemi e i rischi della asimmetrie informa- tive. Questo è dovuto alla capacità della banca di creare, sviluppare e gestire relazioni one to one con i propri clienti. Le piccole e medie imprese rappresen- tano un segmento in cui ciò diviene ancora più determinante a causa dell’opacità informativa e della minore delimitazione del sistema impresa ri- spetto alla proprietà e al network a cui appartiene. Le potenzialità dei sistemi

statistical based si riducono in questo ambito e richiedono l’introduzione di

moduli judgment based (constrained o destrutturati, sintetici o analitici) che permettano di cogliere alcuni aspetti qualitativi attraverso l’intervento del front office della banca.

Il ricorso ad un processo di notching accoglie tale esigenza e permette di giungere ad una soluzione ponderata e compromissoria fra la visione di porta- foglio e la logica della relazione. Ciò nonostante, la soggettività permane poi- ché esistono delle dimensioni e dei contenuti relazionali che conducono a giu- dizi specifici e personali. Sono specifici poiché riguardano un’unica impresa, derivano dalle modalità relazionali e comunicative e dalle attitudini dei parte- cipanti, si contestualizzano all’interno delle dinamiche e dei contenuti della re- lazione e hanno una particolare valenza unicamente con riferimento agli inte- ressi, alle aspettative e al commitment esistenti. Sono personali poiché sono mediati dalle percezioni e dalle aspettative dei partecipanti, dipendono dalle categorie e dalle dimensioni di giudizio del relationship manager e possono es- sere disomogenei nella valutazione attribuita da persone differenti.

L’obiettivo di collocare ciascun debitore in una classe ordinale e contigua, espressione della qualità del merito di credito potrebbe non essere ottimizzato attraverso un processo di notching per due ordini di ragioni:

– la disomogeneità di giudizio proveniente dai differenti valutatori che, al di là, dell’esistenza di una modalità di valutazione strutturata o meno, possono divergere nel valore e nel peso attribuiti a determinati elementi o aspetti, dando luogo a valutazioni eterogenee;

– la ridotta rilevanza attribuita alle variabili qualitative a causa delle mo- dalità con cui il processo di notching è formulato; infatti, al fine di iso- larne gli effetti distorsivi o eterogenei, esso rischia di essere considerato un elemento di fine tuning nella valutazione e di attenuare l’importanza del fattore relazionale e l’efficacia esplicativa dei dati oggettivi.

La necessità di strutturare questa fase di determinazione del rating attraver- so un percorso uniforme lungo cui articolare il processo di grading deriva da osservazioni sulla realtà creditizia.

In primo luogo, le variabili qualitative sono molteplici, hanno natura molto eterogenea e riguardano tutta l’impresa nella sua complessità; fra esse si ritro- vano le variabili relative all’andamento del settore o dell’area di business in cui l’impresa opera, la coerenza della formula imprenditoriale rispetto all’area stra- tegica d’affari e all’organizzazione dell’impresa, la valutazione del grado di ef- ficienza del processo produttivo, dell’adeguatezza della catena del valore, la valutazione dell’assetto proprietario e dei rapporti che legano l’impresa agli stakeholder, la qualità del management, il livello di opportunismo che contrad- distingue il decisore dell’impresa, l’importanza relativa dell’impresa per la banca in termini di valore atteso e orizzonte temporale della relazione, la quali- tà della relazione e il livello di commitment. Questi aspetti richiedono una competenza specifica e, come avviene nei processi di rating, dovrebbero essere analizzati da soggetti competenti e esperti nei differenti ambiti. Nelle banche l’impossibilità di ricorrere a soggetti esterni specializzati, i vincoli di conve- nienza e, soprattutto, le difficoltà informative conducono ad utilizzare il gestore della relazione quale soggetto in grado di percepire e valutare, in modo più o meno compiuto, gli aspetti qualitativi dell’impresa, i cambiamenti in atto e il significato di tali cambiamenti. Tutto ciò conduce il relationship manager a formulare giudizi su aspetti e variabili che conosce e gestisce in modo puntua- le, insieme ad aspetti su cui non possiede una competenza valutativa specifica e una conoscenza puntuale della dinamica aziendale.

In secondo luogo, il giudizio espresso dall’analista è di natura soggettiva e, sebbene integrato con un giudizio oggettivo proveniente dall’analisi dei dati quantitativi, esso pone due problemi legati: da un lato, al peso da attribuirgli nell’ambito della valutazione complessiva, dall’altro all’omogeneità valutativa esistente fra i differenti relationship manager che potrebbe alterare la determi- nazione della probabilità di default all’interno delle singole classi di rating.

In terzo luogo, nonostante il ruolo dell’analista sia ritenuto imprescindibile con riferimento alla valutazione delle PMI, occorre individuare delle modalità che favoriscano la socializzazione e l’armonizzazione delle competenze e del know how di analisi. Senza un’adeguata strutturazione del processo e senza un’articolazione cognitiva della valutazione, si rischia di relativizzare eccessi- vamente il giudizio finale affidandolo alle intuizioni, alle percezioni e alle con- vinzioni dei singoli. Questo conduce al rischio che all’interno della banca non si sviluppi una cultura del credito adeguata alle logiche di credit risk manage-

ment e che non si attivi un processo collettivo di apprendimento che conduca a

sedimentare la best practice nell’ambito della knowledge aziendale.

In quarto luogo, la formulazione di giudizi contingenti relativi alla singola impresa nell’ambito del notching, anche se confluiscono nel processo di rating,

non permettono di sviluppare un database informativo di natura qualitativa che permetta di valorizzare fattivamente il ruolo della relazione nell’ambito del processo creditizio45; ciò è necessario sia sotto un profilo di produzione delle informazioni e di condivisione e riutilizzo delle stesse, sia sotto un profilo più manageriale, attraverso la possibilità di un’attività di controllo e miglioramento del processo di valutazione e la verifica dell’opportunità di attivare fonti infor- mative esterne per gli aspetti meno efficaci.

In quinto luogo, un processo di notching non strutturato non riduce la situa- zione di asimmetria informativa esistente fra banca e front office poiché non risolve completamente il problema della trasformazione delle informazioni esperenziali e personali in informazioni organizzative. Questo impedisce sia il

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