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L’oblazione: definizione, natura giuridica, ambito applicativo

L’istituto, disciplinato dall’art. 145-bis, consente al notaio di prevenire o interrompere il procedimento disciplinare a suo carico, pagando una somma corrispondente ad un terzo del massimo previsto per la infrazione contestata, cioè del massimo della pena editale, oltre le spese del proce-dimento.

Le condizioni, per poter richiedere l’applicazione di tale istituto, sono tre: deve trattarsi di un illecito disciplinare che prevede come sanzione la sola pena pecuniaria; l’interessato deve versare una somma pari al terzo della misura massima della pena pecuniaria oltre le spese; infine il richie-dente non deve essere recidivo. Pertanto «l’oblazione non è consentita per le infrazioni punibili con la sospensione, anche se per esse sia stata irrogata una sanzione pecuniaria a seguito della concessione delle attenuanti»334.

Quanto alla natura giuridica, secondo la tesi tradizionale, l’istituto in esame avrebbe carattere amministrativo processuale335. Invece, come più volte evidenziato, sembra più corretta una qualificazione in termini di vera e propria causa di estinzione dell’illecito disciplinare, mutuato dal diritto processuale penale (art. 141 disp. att. c.p.p.; artt. 162 e 162-bis c.p.). Ad ogni modo è innegabile comunque una sua qualificazione in termini di diritto potestativo personalissimo del notaio, tale per cui va esclusa una sua applicazione d’ufficio.

Il limite temporale entro cui può essere presentata la richiesta di obla-zione è rappresentato dalla “decisione definitiva”. Ciò vuol dire che l’oblazione potrà intervenire sia prima dell’instaurazione del procedi-mento disciplinare, che durante. In tale ultimo caso però, a prescindere dal grado in cui sarà pervenuto il giudizio disciplinare, è necessario che non si sia giunti ad una pronuncia passata in giudicato, sebbene il termine

333 Cfr. Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte generale, cit., p. 433 ss.

334 Cfr. Cass. 23.3.2012, n. 4720, in Vita notarile, 2012, 2, p. 896; id. 20.2.2006, n. 3660, in Vita notarile, 2006, 3, 1, p. 1515.

“definitiva” si riferisca alla pronuncia che chiude il procedimento. In que-sto caso quindi il notaio si sottometterà alla decisione della Commissione. Secondo la costante giurisprudenza, la richiesta può essere avanzata «anche in pendenza del giudizio di Cassazione non potendosi estendersi in via analogica a tali violazioni i limiti fissati dagli artt. 162 e 162-bis c.p. per l’ammissione all’oblazione in sede penale»336.

La richiesta di oblazione deve contenere una dettagliata elencazione delle infrazioni che il notaio intende oblare, nonché deve essere allegata la quietanza comprovante il pagamento delle relative somme all’archivio notarile distrettuale competente per l’ispezione.

Sotto il profilo della competenza a ricevere la richiesta e a pronunciare l’estinzione dell’illecito disciplinare, bisogna operare alcune distinzioni a seconda che il procedimento sia o meno iniziato, nonché al fatto che l’ille-cito sia stato o meno riscontrato in sede di ispezione ex artt. 128 e 132.

In linea generale, per quanto concerne gli illeciti rilevati in sede di ispe-zione ordinaria biennale (art. 129) o di ispeispe-zione straordinaria (art. 132), la competenza è del capo dell’archivio notarile del distretto al quale il notaio è iscritto. Se, nelle more, il notaio viene trasferito presso una sede di altro distretto notarile, la competenza spetterà comunque al capo dell’archi-vio notarile del distretto al quale il notaio risultava iscritto al momento della commissione dell’infrazione, considerato che allo stesso compete: il controllo dell’attività notarile, l’iniziativa del procedimento disciplinare e il ricevimento del pagamento delle sanzioni pecuniarie concernenti le infrazioni rilevate, comprese le somme pagate in misura ridotta a titolo di oblazione (art. 145-bis, comma 3).

Ove si versi in un’ipotesi diversa da quella poc’anzi analizzata, ad esempio perché vi è stata violazione di una disposizione deontologica, o comunque se il procedimento è già iniziato, sarà sempre e comunque competente l’organo innanzi al quale si procede.

Infine, nonostante il tenore letterale del 2 comma dell’art. 145-bis, secondo l’interpretazione prevalente e conforme all’obiettivo di sem-plificazione perseguito, la competenza del capo dell’archivio notarile «riguarda le infrazioni rilevate nelle ispezioni, ma anche quelle rilevate nel corso di altri controlli demandati allo stesso capo archivio dalla legge»337.

336 Cfr. Cass. 21.9.2010, n. 19969.

337 Cfr. Circolare del Ministero della Giustizia del 27.2.2007, Disposizioni in materia

di pagamento in misura ridotta delle sanzioni pecuniarie e di riscossione delle sanzioni pecu-niarie da parte degli archivi notarili, in https://www.giustizia.it. Tale orientamento si fonda

Quanto all’ambito applicativo, l’art. 145-bis semplicemente afferma che la domanda può riguardare solo infrazioni punibili con la sanzione pecu-niaria, ma nulla viene detto con riferimento ad eventuali limiti quantita-tivi degli atti oblabili. Pertanto sorge spontaneo un quesito: che fare se il notaio intende procedere all’oblazione, ma il numero di atti sia tale da far ritenere violato l’art. 147, lett. a) o, a seconda, lett. b)?

Una tesi338 è che, stante il divieto di bis in idem, il conservatore debba trasmettere gli atti al consiglio, il quale potrà valutare se sussiste o meno la violazione dell’art. 147 e decidere di proporre l’azione discipli-nare. La soluzione proposta serve ad evitare che il notaio si liberi dal problema con l’oblazione. Tale soluzione sembra però eccessivamente semplicistica e in contrasto con la lettera dell’art. 145-bis. Un’alternativa, allora, sarebbe quella di rilevare il concorso di violazioni, consistenti una nell’infrazione che può essere oggetto di oblazione, l’altra nella violazione sistematica delle regole deontologiche di cui all’art. 147, che non è oblabile e sul cui merito la prima valutazione spetta al consiglio distrettuale. Conseguentemente, non vi sarà bis in idem perché le fatti-specie sono diverse.

47. La recidiva

L’art. 145 è laconico: si ha recidiva se il notaio commette nuovamente la stessa infrazione entro cinque anni dalla condanna; è dunque recidiva specifica, non generica.

L’infrazione deve essere la stessa e quindi si dovrà accertare a che titolo il notaio sia stato condannato e ciò con riferimento al fatto e non alla disposizione che lo contempla339, giacché ad es. l’art. 51 contiene una serie

su un’interpretazione sistematica dell’art. 153, comma 1, lett. c). Detta disposizione prevede infatti che l’iniziativa del procedimento disciplinare spetti al Capo dell’archi-vio notarile territorialmente competente per l’ispezione ex art. 128, limitatamente alle infrazioni rilevate durante le ispezioni ex artt. 128 e 132 o nel corso di altri controlli demandati allo stesso capo dell’archivio dalla legge, nonché al conservatore incaricato

ex art. 129, comma 1, lett. a) secondo periodo.

338 Cfr. Venturo, L’ispezione ordinaria notarile. Start up dell’azione disciplinare e sue

problematiche, in Vita notarile, n. 1/2011, pp. 575-576.

339 È convincente l’indicazione (che non riguarda i notai) di Cass. 9.11.2000, n. 14555: «la recidiva non può essere contestata con il mero richiamo alla sua natura generica o specifica, ma richiede una contestazione che faccia riferimento a fatti speci-fici, individuabili nella loro materialità».

di prescrizioni diverse e dunque la recidiva sussiste se si violi il medesimo obbligo; si tratta di un’applicazione del favor rei340.

La recidiva deve essere contestata espressamente341 ma la legge non dice se la contestazione debba essere contenuta nella richiesta di proce-dimento disciplinare o se la commissione possa rilevarla d’ufficio, ad es. cercando tra i propri precedenti.

Ora poiché la recidiva attiene al disvalore del comportamento del notaio, connotando la gravità del suo atteggiamento, questa non può ritenersi inclusa nel potere di semplice diversa valutazione di maggior gravità dei fatti che spetta alla commissione ex art. 156 comma 8: dunque la commissione non potrà rilevarla d’ufficio. È ben vero che questa disposizione richiama la possibilità di infliggere una sanzione più grave, ma a patto che i fatti siano i medesimi e ciò non può ritenersi quando quei fatti siano la reiterazione di altri avvenuti nei cinque anni precedenti, perché nel fatto è incluso anche l’elemento psicologico342, la cui gravità emerge proprio dalla recidiva.

La condanna precedente, per potersi qualificare tale agli effetti della recidiva, diventa stabile nel momento in cui passa in giudicato la deci-sione che la infligge343, ovvero da quando diventa definitiva l’ultima

340 Celeste, Le infrazioni disciplinari, in Tenore e Celeste, La responsabilità

discipli-nare del notaio e il relativo procedimento, cit., p. 138.

341 Celeste, cit., p. 137; Tenore, Il procedimento disciplinare innanzi alle commissioni

regionali di disciplina, cit., p. 176. Per altre materie v. ad es. Cass. 27.3.2014, n. 7282:

nella determinazione della sanzione da irrogare a un sanitario per una violazione disciplinare non si può tenere conto della recidiva, se non è stata contestata all’incol-pato; invece secondo Cass. 20.2.2012, n. 2433, la preventiva contestazione dell’addebito deve, a pena di nullità del provvedimento disciplinare, riguardare la recidiva soltanto ove essa integri elemento costitutivo dell’infrazione e non anche quando costitui-sca mero criterio determinativo della sanzione che si ritiene proporzionata. Invece secondo Cass. 23.12.2002, n. 18294. la preventiva contestazione dell’addebito al lavo-ratore incolpato deve riguardare, a pena di nullità della sanzione o del licenziamento disciplinare, anche la recidiva (o comunque i precedenti disciplinari che la integrano), ove questa rappresenti elemento costitutivo della mancanza addebitata.

342 Indica ad es. Cons. Stato 8.8.2014, n. 4232 e id. 9.3.2011, n. 1488, che in base alle regole riguardanti la recidiva i fatti acquistano una maggiore gravità, in quanto commessi dal dipendente già incorso in una precedente sanzione. V. altresì App. Bolo-gna 12.6.2008, in Arg. dir. lav., 2009, p. 545: in materia di licenziamento disciplinare è possibile valutare gli specifici precedenti disciplinari del lavoratore, anche se non contestati come recidiva, non quali cause aggiuntive ed autonome di recesso, ma quali circostanze confermative della condotta contestata, al fine di apprezzarne la congruità rispetto al provvedimento inflitto.

343 Patrocina questa soluzione Celeste, op. cit., p. 139, dando però atto che la giu-risprudenza formatasi nell’impego privato e pubblico è in senso diverso. Peraltro

decisione od ordinanza resa nel giudizio disciplinare, tenendo conto del termine per appellare o per ricorrere in Cassazione, mentre le sentenze del supremo collegio in camera di consiglio344 sono subito definitive, giac-ché la loro eventuale revocazione ex artt. 391-bis e ter c.p.c. costituisce un mezzo straordinario di impugnazione, che non influisce sul loro passag-gio in giudicato.

Tuttavia quando la condanna viene inflitta, costituisce una valutazione negativa di un certo comportamento, sulla quale il notaio certamente può dolersi impugnandola, ma essendo comunque avvertito del disvalore che è stato attribuito, ancorché provvisoriamente, a quel suo comportamento.

In altre parole, se la funzione della recidiva è di aggravare la sanzione in quanto la condotta del notaio è percepita dalla collettività come mag-giormente lesiva di principi e valori condivisi345 oppure e più realistica-mente, senza credere che la collettività conosca la precedente condanna, se il notaio recidivo merita una sanzione più grave appunto perché reni-tente ed impenireni-tente, allora non occorre attendere il giudicato, beninteso purché la sanzione resista alle impugnazioni346.

Da ciò la conseguenza che si ha recidiva quando la violazione venga reiterata nel quinquennio che decorre dalla condanna e non dal suo pas-saggio in giudicato347.

In letteratura si è detto però che la decisione della commissione non è esecutiva e quindi non può valere come indice di riferimento348 ma l’art. 145

secondo Cass. SS. UU., 4.7.1989, n. 3195, «presupposto della recidiva, anche in tema di azione disciplinare, è l’esistenza, al tempo del nuovo illecito, di una pronuncia di condanna irrevocabile, ma ciò non esclude che l’organo disciplinare possa valutare, anche se il precedente procedimento disciplinare non si sia ancora esaurito, di valutare il comportamento del sanitario indagato nella sua globalità e nell’intero arco tempo-rale della sua attività professionale pregressa, ai fini dell’applicabilità della sanzione». 344 Sebbene l’art. 375 c.p.c. dica che la Cassazione quando decide in camera di consiglio pronuncia ordinanza, la forma della sentenza è prevista dall’art. 26 D.Lgs. n. 150/2011.

345 Lops e Placa, in La legge notarile, cit., sub art. 145, p. 796.

346 Contra Lops e Placa, in La legge notarile, cit., sub art. 145, p. 796; Santarcangelo,

Il procedimento disciplinare a carico dei notai, cit., p. 85.

347 Contra, nel passato, Cass. 7.3.1984, n. 1599, in Vita notarile, 1985, p. 407: «in tema di infrazioni disciplinari commesse da notai, ai fini della sussistenza della recidiva il termine di cinque anni previsto dall’art. 145, l. n. decorre dal giorno in cui la prece-dente sentenza di condanna è divenuta irrevocabile».

348 Celeste, op. cit., p. 139, per il quale occorrerebbe la conferma della Corte d’Appello, dato che ritiene esecutiva la sua decisione, che peraltro dopo la riforma operata con l’art. 26, D.Lgs. n. 150/2011 decide con ordinanza e non con sentenza. V. ad es. Cons. Stato 5.8.2005, n. 4169: «nel campo disciplinare, l’irrogazione della sanzione

parla del quinquennio dalla condanna, non dalla sua esecuzione, che può avvenire in ogni momento dopo che la condanna sia divenuta definitiva, purché entro cinque anni (art. 146, ultimo comma), sicché l’alter nativa per la decorrenza del quinquennio è solo tra decisione di condanna e suo pas-saggio in giudicato e qui si opta per la prima ipotesi.

È vero ed ovvio, senza dubbi, che se la condanna venga rimossa in sede di impugnazione allora la recidiva non sussisterà, ma questo non è per nulla un problema; ciò che invece va evitato è che si crei un lasso di tempo, tra la condanna ed il suo passaggio in giudicato, che può durare due o tre anni, durante il quale il notaio che insista nella stessa violazione non si veda contestata la recidiva.

È ben singolare infatti che si possa concedere al notaio di farla franca perché impugna la sanzione e commetta un secondo illecito se non anche altri, cui non si applicherebbe la recidiva solo per aver approfittato del proprio gravame!

Si parla infatti proprio di questo: del notaio che, dopo la sanzione che gli venga inflitta, pressoché sempre dalla commissione piuttosto che dalla Corte d’Appello su reclamo della controparte, commetta esattamente la stessa violazione ma non debba risponderne per ragioni puramente pro-cessuali.

Un problema va però evidenziato: qualora i procedimenti disciplinari siano ravvicinati, può essere che la commissione si trovi di fronte ad una precedente condanna oggetto di impugnazione: qui la rimozione della prima condanna inciderebbe necessariamente sulla seconda decisione e questo è allora uno dei rarissimi casi in cui occorre sospendere il procedi-mento in attesa che il primo diventi definitivo.

Ma tale soluzione non depone per la miglior bontà dell’altra, perché in un caso simile, se si ragionasse nell’altro senso, la commissione dovrebbe perfino escludere in radice la recidiva, pur essendovi la condanna, perché

si perfeziona con la sua adozione e diviene immediatamente e pienamente efficace fin dalla sua comunicazione all’interessato, senza che sia necessario attendere la scadenza dei termini per la proposizione dei rimedi giurisdizionali, amministrativi o arbitrali previsti dalla normativa, né tanto meno la conclusione e l’esito dei relativi procedi-menti; con l’ulteriore conseguenza che la sanzione, una volta applicata, è di per sé idonea a costituire presupposto per la contestazione della recidiva»; per Tar Friuli-Venezia Giulia 17.12.1994, n. 444. in Riv. giur. scuola, 1996, p. 348, in un procedimento disciplinare, in base ai principi dell’esecutorietà e della presunzione di legittimità degli atti amministrativi, possono essere prese in considerazione, ai fini della recidiva, anche precedenti sanzioni disciplinari, impugnate dinanzi al giudice amministrativo, ma non ancora annullate; cfr. anche Cons. Stato 4.7.1990, n. 1427.

occorrerebbe invece il giudicato; con il che il notaio la farebbe franca, pur già condannato, solo perché è stato abile ad impugnare per tempo la prima condanna e la coincidenza temporale lo avvantaggia.

In definitiva poiché la recidiva è una sanzione che deriva dall’aver ripe-tuto il comportamento già oggetto di condanna, il notaio che ritenga di essere nel giusto può certamente impugnare, ma in attesa dell’esito del suo gravame deve astenersi dal ripetere la violazione.

Se invece ritiene di insistere, lo fa a proprio esclusivo rischio e non dei terzi sui quali il comportamento negativo riverbera i propri effetti.

Non ci sarà invece recidiva se le infrazioni siano accertate con succes-sivi procedimenti disciplinari, quando siano state commesse dopo l’inizio di uno di questi ma prima della sua decisione.

Lo dice testualmente la legge pretendendo la condanna e la ragione è che solo la decisione che dirime la controversia sulla violazione a quali-ficare negativamente il fatto, mentre quel limite serve anche ad impedire che un notaio possa vedersi aggredito con ripetute richieste di procedi-mento, magari frazionate per anno solare, quando una verifica generale può accertare tutte le violazioni dello stesso tipo commesse dal notaio.

È certamente vero che il notaio che riceva la comunicazione del capo di incolpazione dovrebbe per ciò solo astenersi dal reiterare i fatti, almeno fino alla decisione che lo assolva, ma così è formulato l’art. 145: in questa regola di irragionevole c’è dunque l’aver fissato il momento di rilevanza agli effetti della recidiva, nella decisione di condanna anziché nella comu-nicazione di avvio del procedimento cui segua la condanna.

Va da sé che il comportamento che intercorre tra l’avviso di incolpa-zione e la prima condanna, che non può essergli contestato a titolo di reci-diva né essere sanzionato nel primo procedimento, perché non è oggetto del capo di incolpazione, potrà però essere valutato nel secondo procedi-mento in ragione della rilevanza dell’eleprocedi-mento soggettivo e del comporta-mento oggettivo, viste le diverse sanzioni che l’art. 147 contempla, se sia questa la disposizione da applicare.

L’effetto della recidiva è di aggravare la sanzione, come risulta dall’art. 138, comma 1, lett. a), potendo giungere fino alla destituzione ex art. 142, comma 1, lett. b); impedisce poi l’oblazione, come ora si indicherà in dettaglio.

Sebbene la disposizione appia di chiarezza esemplare, lascia però aperto un problema delicato, giacché l’art. 145-bis, per il caso di infrazione punibile con la sola sanzione pecuniaria, consente al notaio incolpato di prevenire il procedimento o interromperne il corso prima della decisione definitiva, pagando una somma corrispondente ad un terzo del massimo

previsto per la infrazione contestata, oltre le spese del procedimento, a condizione tuttavia «che non sia recidivo nella stessa infrazione»349.

Il punto è questo: il notaio che si sia avvalso dell’oblazione e dunque non sia mai stato condannato, può ricorrere al medesimo beneficio nei cinque anni successivi350?

L’ordinamento regola in altri settori la recidiva presupponendo che la commissione del precedente illecito sia stata accertata con sentenza, pro-prio come indica l’art. 145: così sia l’art. 99 c.p.351 sia, per gli illeciti ammi-nistrativi, l’art. 8-bis, L. n. 689/1981352.

Ora l’ammissione all’oblazione non prevede una decisione di condanna della commissione disciplinare, la quale infatti si limita a verificare se il notaio abbia pagato al conservatore dell’archivio la somma liquidata mec-canicamente sulla base della previsione dell’art. 145-bis; inoltre, una volta verificato tale pagamento, la commissione deve pronunciare l’estinzione dell’illecito, in base al capoverso dell’art. 145-bis.

D’altro canto che la commissione non possa pronunciare una condanna è effetto di quanto prevede sempre l’art. 145-bis, per il quale il notaio può appunto «prevenire il procedimento o interromperne il corso prima della decisione definitiva», dal che si ricava agevolmente la mancanza del pre-supposto per potersi parlare di recidiva: appunto l’esistenza della deci-sione di condanna.

Senonché in questo modo il notaio può decidere di violare senza pro-blemi la legge notarile tutte le volte che sia prevista una sola sanzione pecuniaria, mettendo in conto semplicemente il rischio di pagare l’obla-zione, prevenendo però il giudizio ed il rischio di recidiva.

È certamente vero che il notaio che ricorre all’oblazione rinuncia a difen-dersi nel merito quand’anche ritenga di avere ragione, ma è anche vero

349 Nel diritto penale la recidiva specifica comporta un aggravamento maggiore della pena, ex art. 99 c.p. («la pena può essere aumentata fino alla metà: 1) se il nuovo delitto non colposo è della stessa indole»).

350 Non ne ha dubbi ad es. Santarcangelo, Il procedimento disciplinare a carico dei

notai, cit., p. 89.

351 «Chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro».

352 «Salvo quanto previsto da speciali disposizioni di legge, si ha reiterazione quando, nei cinque anni successivi alla commissione di una violazione amministra-tiva, accertata con provvedimento esecutivo, lo stesso soggetto commette un’altra

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