A parte quanto appena indicato nel paragrafo precedente, c’è un pro-filo che non viene mai preso in considerazione delle decisioni: ovvero la
219 Cass. 12.11.2013, n. 25408.
220 Cass. 28.8.2015, n. 17266, che richiama testualmente Cass. 23.3.2012, n. 4720, in
Vita notarile, 2012, p. 896.
221 Anche se non la pensa così Crotti, I temi deontologici più attuali analizzati alla luce
delle recenti pronunce emesse in materia notarile, in Vita notarile, 2017, p. 507, per il quale
invece «esistono anche dei casi, e sono molto più frequenti di quanto si possa pensare, in cui il consiglio notarile calca infondatamente la mano».
222 Si veda la brillante analisi che ha fatto di quel caso Poma, Riflessioni
nozione di classe notarile intesa come gruppo che meriti una considera-zione particolare nell’ambito della società civile.
Affermare in un ordinamento democratico che vadano specificamente tutelati gli interessi di una “classe”, appare francamente infatti quanto-meno antistorico: nemquanto-meno i notai, al pari delle altre professioni, sono una classe che meriti considerazione a sé, termine quello ripudiato anche dalla costituzione, nel cui art. 3 ha trovato ingresso, ma per garantire la parità di trattamento e non per assicurare una protezione diversa, solo la condizione sociale.
Che poi si ritenga necessaria un’interpretazione adeguatrice della parola, riferendola non ad uno status differenziatore ma come sineddoche al gruppo professionale dei notai, è ipotesi certamente percorribile ma che non porta a risultati diversi, giacché quel che si dovrebbe dimostrare è la necessaria appartenenza, a questo gruppo, di situazioni giuridiche parti-colari che meritino una specifica protezione.
La condizione sociale del gruppo professionale, si è appena detto, non può essere portatrice di un decoro e di un prestigio diversi, come se a tutti gli altri spettassero invece un prestigio ed un decoro di intensità minore: questo non è accettabile.
La specificità di una tutela più intensa non ha ancora trovato dimostra-zione se si esca dall’accettadimostra-zione fideistica delle parole: in concreto non c’è prova alcuna che esistano le condizioni per dover garantire, al di fuori di privilegi odiosi, una protezione ad hoc di un insieme di professionisti, notai o altro che siano.
Le belle parole con cui di recente si è detto che decoro e prestigio non sono sinonimi, perché il decoro attiene alla condizione di nobiltà morale e dunque alla sfera dell’essere ed il prestigio all’autorevolezza dei rapporti esterni e quindi alla sfera dell’apparire223, sicché la violazione in esame dovrebbe riguardare entrambe le situazioni224, sicuramente aiutano a con-figurare una nozione non odiosa della disposizione, senza però trovare un criterio di configurazione dei concetti, in quanto mancano nella legge e rimangono indefiniti perché ognuno ne traccia un significato personale.
Né d’altro canto occorre proteggere la condizione dei notai in aggiunta alla repressione della condotta che comprometta la reputazione del sin-golo: infatti gli illeciti che si esaminano compromettono sempre la reputa-zione del notaio e tanto basta per colpirlo con la sanreputa-zione di legge.
223 Poma, Riflessioni sull’inventario di eredità e sugli articoli 147 lett. a) e 136 l.n., cit., p. 1090; v. anche ivi, p. 1091.
Si pensi ad un caso utilizzato per indicare il decoro della classe nota-rile ovvero al notaio che si avvalga dell’opera di terzi che gli procurino clienti: si è detto che il comportamento di questi soggetti sarebbe diretto ad orientare i clienti verso un determinato notaio, con disdoro della classe notarile225. Non è però così perché l’art. 31, lett. f), dei principi parla di vio-lazione del principio di imparzialità, che attiene alla persona del singolo notaio, non alla collettività dei notai, al di là delle diverse considerazioni che si faranno oltre.
In altra recente ipotesi la medesima violazione è stata rilevata perché il notaio ha rogato un atto per una società a favore della quale aveva pre-stato fideiussione; qui si è detto che «la commistione tra l’esercizio della funzione notarile e lo svolgimento di attività negoziali che, seppur di per sé non illecite, lo divengono allorché vengano compiute dal notaio, al quale, non solo è precluso in via di principio e per statuto professionale lo svolgimento di attività di impresa o commerciale, ma altresì vietato in particolare creare legami di natura negoziale-commerciale con gli stessi soggetti ai quali egli è poi chiamato a rendere prestazioni notarili»226.
Di questo discorso si può comprendere il senso quando richiama il decoro del singolo per quell’atto specifico, ma non il riferimento al pre-stigio dei notai in generale, se non per dire che lo svolgimento di attività di impresa o commerciale rivestirebbe minor considerazione sociale che i notai devono ben guardarsi dal compiere, lasciando che tocchi ad altri occuparsi di attività disdicevoli, «seppur di per sé non illecite».
Che possa trattarsi di oggetto di uno specifico divieto di legge, se esi-stente, è un conto; che si tratti invece di attività indecorose per quanto lecite è francamente inaccettabile.
Un terzo caso è quello dell’accordo tra il notaio sospeso ed altri notai per fare in modo che la struttura del notaio sospeso funzioni tramite gli altri notai: accordo questo certamente illegittimo perché contrario al buon costume, ma con il quale i notai colpevoli hanno compromesso la loro dignità individuale, non quella del notariato in generale, che è avulso da comportamenti simili.
E lo stesso va detto per il notaio che frazioni il pagamento dell’ono rario con assegni uno dei quali sia intestato ad un terzo, per evadere le imposte, quando nel caso la fattura dell’intera somma sia stata rilasciata solo dopo insistenze del cliente227 o per quello del notaio che sia responsabile di
225 Lops e Placa, in La legge notarile, cit., sub art. 147, p. 820. 226 Cass. 20.12.2016, n. 26369.
«omissioni e ritardi nella denuncia di fatti penalmente rilevanti; consegna alle parti di certificazioni relative ad atti mai stipulati; omessa custodia di documenti e del sigillo notarile; prosecuzione dei rapporti professionali con soggetti che il notaio aveva individuato essere autori di furti di docu-menti e di uso fraudolento del sigillo»228.
Quando poi un notaio denigri un collega con mail inviata ad altri notai, egli non lede certo il decoro della “classe notarile”, essendo invece il suo un comportamento che lo macchia individualmente e del quale deve rispondere a questo titolo229.
Troppe volte – se non sempre – si è quindi affermata la violazione di un prestigio mai descritto di una classe professionale in modo autoreferen-ziale ed apodittico230, laddove i comportamenti attengono invece sempre alla dignità e reputazione del singolo, di cui deve quindi rispondere a tale specifico titolo.
Ed infatti proprio questo modo di procedere consente poi di ritenere che quel prestigio e quel decoro non siano violati «né dalla richiesta, ancor-ché reiterata, di accesso ai documenti acquisiti nell’esercizio, da parte del consiglio notarile, della funzione di vigilanza, né dalle successive azioni giurisdizionali contro i relativi dinieghi»231.
Quel che manca è quindi la consistenza di un concetto utilizzato per motivare una sanzione, che comunque si può infliggere, concetto il quale in realtà è ineffabile ed inespresso con parole convincenti.
Un senso diverso da attribuire alla nozione in esame potrebbe emer-gere se la compromissione fosse invece riferita a ciò che i notai (e non la comunità sociale) al proprio interno percepiscano: non è però questa la nozione che normalmente viene data del c.d. strepitus fori232, che si riferisce
228 Cass. 12.11.2013, n. 25408.
229 Invece per Cass. 25.9.2014, n. 20260, «nel solco di tali pacifici principi, per cui, in sintesi, a) la comunicazione con più persone può avvenire anche in un limitato ambito di propalazione, e b) il diritto di critica non ha efficacia esimente ove si traduca nell’attribuzione di un fatto specifico non verificato che arrechi oggettivo discredito, deve affermarsi che in tema di illecito disciplinare, il notaio, il quale sia pure implicita-mente attribuisca ad altro notaio, indipendenteimplicita-mente dall’essere questi investito anche di cariche istituzionali, la violazione di un obbligo sia penale sia deontologico, pone in essere una condotta che, se effettuata comunicando con più persone, ha carattere denigratorio e, quindi, rilievo disciplinare in quanto lesiva del prestigio (oltre che del notaio denigrato, anche) della stessa categoria professionale».
230 Cass. 5.5.2016, n. 9041.
231 Cass. 23.1.2014, n. 1437, in Foro it., 2014, I, c. 1085. 232 V. la sentenza cit. alla nota che segue.
invece al clamore sociale del comportamento illecito233 e che comunque non sembra idonea a sorreggere l’idea di una protezione attribuita ad una professione in quanto tale.
In altre parole se per prestigio e decoro della classe notarile si intenda il sentimento dei notai al proprio interno, che considerino oltraggioso per tutti loro il comportamento del notaio a prescindere dal fatto che, nell’ambiente sociale, il caso sia passato inosservato, si correrebbe il rischio di dar corpo di bene protetto alla suscettibilità di alcuni, magari non con-divisa da altri e senza alcuna utilità concreta.
Anche in questa diversa chiave di lettura, infatti, mancano i riferimenti su questo sentimento, che è troppo legato alle idee personali che ognuno ha, di ciò che per lui sia condivisibile o meno: si esamini la casistica del par. successivo e si vedrà come ciò che per alcuni sia accettabile senza pro-blemi, per altri è invece davvero indecoroso e questo senza dimenticare il problema della pubblicità, che è vissuto in modo completamente diverso dai notai anche in relazione all’età.
In tale insuperabile contrasto sono o la regola scritta nel dettaglio o l’accertamento concreto dell’esistenza di un sentimento proclamato, seb-bene non determinato dalle regole, che possono costituire il vero criterio di individuazione del sentimento collettivo.
Non va dimenticato, infatti, che qui si parla di sanzioni, rispetto alle quali la suscettibilità dell’uno non deve giungere a colpire l’altro: al che si può rimediare solo se i fatti di cui si parla e che, giova ripetere, non sono inclusi tra i principi di deontologia, siano in qualche modo documentati per poter verificare che davvero siano comunemente condivisi dai notai tutti.
Vi è però un secondo profilo troppo spesso trascurato dalle belle parole astratte: ovvero come si possa dimostrare che un comportamento nega-tivo del notaio, che sicuramente può compromettere la sua dignità perso-nale, infetti automaticamente anche la reputazione dei notai in generale. Infatti anche ad ammettere per amore di discorso l’esistenza della “classe” notarile, si dovrebbe poter provare prima di tutto che esista, nell’ambiente sociale collettivo o, in seconda ipotesi, in tutti i notai, una considerazione
233 Ne parlano ad es. Cass. SS. UU., 18.2.2015, n. 3184 e id. 1.12.2014, n. 25369 per i comportamenti degli avvocati, Cons. Stato 10.9.2015, n. 4226, in Foro amm., 2015, p. 2274 per quelli dei promotori finanziari, Cass. SS. UU., 6.11.2014, n. 23677 per i magistrati, Corte Conti, sez. I giur. centr. app., 14.10.2008, n. 426/A, in Dir. e prat. amm., 2008, p. 83 per i fatti dei pubblici dipendenti ecc., sempre con riferimento all’eco che il comportamento produce nell’ambiente sociale (ad es. quando «testimoniato da articoli di stampa apparsi sui quotidiani»: Cass. SS. UU., 13.11.2012, n. 19711).
specifica dei notai come “classe” che possa subire un tale vulnus, ciò che si può forse affermare stando con i piedi sotto la scrivania ma non dimo-strare nei fatti.
A questo dovrebbe poi seguire l’ulteriore dimostrazione che l’illecito del singolo diventi attribuzione di infamia della categoria, con un rap-porto di causalità che nessuno è mai riuscito a provare ma solo ad affer-mare apoditticamente.
Non esiste infatti alcun documento né statistico né sociologico che possa dare la prova dell’esistenza concreta di una reputazione professio-nale collettiva soggetta a tali forme di aggressione234: il che non nega la reputazione dei notai come loro diritto, ma contesta la possibilità di dimo-strare che il fatto negativo del singolo possa macchiare, nella coscienza collettiva o dei notai tutti, l’immagine del notariato in generale.
Tale problema crea poi un contenzioso inutile: a fronte di chi nega la necessità che il comportamento di disdoro della classe notarile sia perce-pito nell’ambiente sociale, sebbene affermi che il falso del notaio nell’at-testare l’ora di chiusura di un atto ingeneri negli utenti «una caduta di prestigio dell’intera classe notarile»235, vi è al contrario chi ritiene che il notaio possa dimostrare di aver egli stesso impedito il “riverbero esterno” degli effetti del proprio comportamento236; con ciò accedendo alla prima nozione di decoro della classe notarile, cioè nell’ambito della collettività sociale, non all’interno del notariato.
È ovviamente ed appunto un problema di prova, che però deve essere affrontato in concreto, non con astrazioni da cui poi si voglia legittimare una sanzione disciplinare.
Il caso concreto prima accennato, molto ben criticato, ne fornisce la dimostrazione: è conosciuta da tutti i notai la sentenza del S.C. che ne ha sanzionato uno per le modalità con cui ha eretto l’inventario di un’accet-tazione beneficiata: siccome non ha effettuato un controllo diretto dei beni inventariati, limitandosi a riportare a verbale le dichiarazioni
234 Poma, op. cit., p. 1091 ricorda ad es. la definizione di prestigio intesa quale «reputazione o estimazione di cui il pubblico ufficiale gode presso gli altri»: nozione che si potrebbe anche condividere se di questa fosse possibile una verifica empirica che invece non esiste: nessuno è in grado di documentare la consistenza effettiva di questo prestigio.
235 App. Torino 3.10.2013, in Run Notartel, doc. n. 10705, che richiama Cass. 13.10.2011, n. 21203, in Vita notarile, 2012, p. 366.
236 E così App. Milano 17.12.2014, in Run Notartel, doc. n. 10480 ha escluso l’ipotesi della lett. a).
dell’erede, per ciò solo avrebbe violato appunto il decoro ed il prestigio della classe notarile237.
Non importa qui affrontare le problematiche di come si debba proce-dere con il verbale, ma la sanzione inflitta, consistente appunto nell’affer-mata violazione del prestigio e del decoro della classe notarile, che il S.C., nella lunga e complessa decisione, ha motivato giustificandola sul fatto che l’art. 147 «individua con chiarezza l’interesse meritevole di tutela (dignità e reputazione del notaio, decoro e prestigio della classe notarile) e determina la condotta sanzionabile in quanto idonea a compromettere l’interesse tutelato, condotta il cui contenuto, sebbene non tipizzato, è integrato dalle regole di etica professionale e, quindi, dal complesso dei principi di deontologia oggettivamente enucleabili dal comune sentire di un dato momento storico».
Ora la puntuale ed attentissima analisi operata sul caso specifico ha dimostrato che il comune sentire dei notai (dunque non dell’ambiente sociale), ricavato dall’analisi della letteratura in tema di inventario e dalle poche sentenze in materia, deponeva del tutto a favore del comporta-mento del notaio invece sanzionato, essendo isolata ed antica l’unica tesi in senso contrario238.
È chiaro allora che si deve anzitutto decidere di quale ambiente sociale si parli: possono essere entrambi o uno solo dei due, ma questa ambiguità è rimasta irrisolta, mentre le sanzioni invece vengono inflitte; da questa decisione preliminare discende poi il tema della prova.
Ora se per accertare la correttezza del comportamento occorre verifi-care in concreto quale sia il sentimento condiviso dal comune sentire delle persone, allora non c’è rimedio: questo non è mai stato accertato fino ad oggi e probabilmente nemmeno esiste se riferito ai notai.
Se invece lo si riferisce ai notai in generale, come collettività professio-nale, allora a certe condizioni può essere soggetto a verifica, ma a tal fine bisogna da un lato che esista davvero la possibilità di una verifica opera-tiva e concreta, come si è ben fatto in quella ipotesi e, dall’altro, che si tratti di un sentimento pacificamente esternato da tutti, giacché se si comin-ciano a trovare opinioni discordanti e non isolatissime, allora manca pro-prio il fondamento del «comune sentire di un dato momento storico».
Come è stato ben detto in quell’analisi, «la violazione deve essere grave e ritenuta tale da tutti i consociati; la condanna, da parte degli appartenenti ad un determinato gruppo sociale, deve essere unanime
237 Cass. 28.8.2015, n. 17266, in Vita notarile, 2015, p. 1379.
(id est: comune sentire)»239. Con la conseguenza, logicamente derivante da questo corretto e pienamente condivisibile assunto, per cui «se una condotta è riconosciuta come disonorevole per la classe notarile non dall’intera comunità ma solo da una parte di essa, non potrebbe più par-larsi di oggettiva lesione (…) al decoro e al prestigio della categoria»240.
Ecco allora un caso che ha consentito la prova del comune sentire dei notai (ma non della collettività sociale) su un certo argomento, che denota tuttavia il limite intrinseco all’accertamento, mai visto nella realtà dei giu-dizi disciplinari, incluso quello del caso in esame: ovvero che deve potersi verificare in concreto quale sia il comune sentire, senza affidare la verifica alle parole astratte delle formule stereotipate delle decisioni o dei com-mentari.
Quante altre volte si può arrivare ad una tale verifica?
Quale commissione di disciplina o giudice di merito l’ha mai fatta? A parte i problemi di prova, va sottolineato perché è argomento in cui siamo isolati anche se convinti, sono davvero al limite i casi in cui la disposizione possa applicarsi ad una nozione aggiornata di “classe” nota-rile, perché dovrebbe trovare un ambito operativo autonomo, diverso da ipotesi espressamente vietate, in cui il bene protetto siano i notai intesi appunto collettivamente come professione.
Una tale ipotesi potrebbe concretizzarsi se il notaio pubblicasse uno scritto in cui denigrasse gli altri notai, descrivendoli come categoria pro-fessionale di parassiti: ipotesi facile da formulare sulla carta ma che rap-presenta un semplice caso di scuola, non di vita; non sono infatti casi come questi ad essere utilizzati per formulare una nozione inconsistente di classe notarile.
Un’ipotesi concreta, ma non riferito ai notai, è stata quella del pubblico funzionario che ha aggiunto il commento “mi piace”, sulla pagina Face-book, alla notizia del suicidio di un altro dipendente, che in quel caso è stato ritenuto comportamento da cui poteva effettivamente «derivare un danno all’amministrazione»241.
Bene, se vi è la prova del danno che si cagioni alla collettività, allora la sanzione può essere inflitta, ma a patto di avere una prova rigorosa del rischio di danno, non della suscettibilità di qualcuno circa il comporta-mento di altre persone.
239 Poma, op. cit., p. 1084. 240 Poma. ibidem.
241 Purtroppo il caso è appena riassunto in poche righe nell’ord. Tar Lombardia 3.3.2016, in Foro it., 2016, III, c. 504, da cui si traggono pochi dati.
Altro è invece se accada che siano i mezzi di comunicazione a trarre, da un comportamento negativo del singolo, un giudizio generale sulla professione, qualificando negativamente il gruppo professionale a causa dell’illecito individuale.
Qui però non è il notaio che sbaglia a gettare discredito sugli altri, ma è la falsa “informazione” ad essere censurabile e proprio per ciò non è sanzionabile il notaio, cui si chiederebbe altrimenti di rispondere per i cattivi comportamenti degli altri e dunque per fatti che non commette lui. Insomma, siamo convinti che di tutto ciò si possa fare a meno senza elimi-nare le sanzioni ai comportamenti riprovevoli, come subito diremo.