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Segue: la disposizione di chiusura

Vi è infine la norma di chiusura, cioè il divieto di ogni altro mezzo «non confacente al decoro ed al prestigio della classe notarile».

Si è già capito che, a parere di chi scrive, è inaccettabile qualsiasi mec-canismo classista per il quale la professione notarile, esattamente come quella forense e qualsiasi altra, possa costituire un mezzo per creare cate-gorie professionali cui spettino diritti diversi di quelli che la legge e le fonti sovraordinate attribuiscono ad ogni cittadino.

Se non si possono avere più diritti, è facile replicare, si possono però avere più doveri, il che è certo: il segreto professionale (art. 622 c.p.), ad es., è tipico delle professioni mentre invece normalmente, nella vita pri-vata, i segreti vengono raccontati senza disturbo perché non c’è divieto.

Tuttavia nell’art. 147 si postula un divieto la cui violazione derivi da com-portamenti che non si confanno alla classe, essendo però questa nozione di

313 Per es. il Giurì di autodisciplina pubblicitaria 13.3.2006, n. 38 (in Dir. ind., 2006, p. 376), «l’utilizzo di un testimonial riconducibile al mondo del cinema hard comporta una lettura univoca di determinati giochi di parole o metafore (ad esempio «pata-tina» per intendere l’organo sessuale femminile); il riferimento al cinema hard enfa-tizza la volgarità del messaggio e comporta la violazione della dignità della persona, perché – al di là della libera scelta soggettiva delle attrici di partecipare a tale tipo di cinema – l’universo di riferimento di certe pratiche e di un certo tipo di linguaggio è rigorosamente maschilista e sessista», anche se nella pronuncia 5.11.1996, n. 256 (ivi, 1997, p. 425) ha anche precisato che «il nudo in sé preso non ha necessariamente carat-tere sessuale oppure offensivo e, quando negli annunci mancano la strumentalizza-zione della donna, la provocastrumentalizza-zione e l’arbitrarietà, la rappresentastrumentalizza-zione del corpo nudo non è di per sé lesiva della dignità della donna».

classe a risultare problematica, in quanto dovrebbe imporrebbe divieti od obblighi ulteriori rispetto a quelli già indicati aliunde, ma di cui non è parso possibile indicare i confini salvo riferirsi al suo predicato: appunto la “classe”.

Anche qui, infatti, avremmo di fronte i principi di libertà, qui di inizia-tiva economica, cui si contrappone il divieto di esercizio di questa libertà perché ritenuto contrario «al decoro ed al prestigio della classe notarile».

Un caso che compare di frequente nei repertori è quello dello studio secondario che di fatto diviene quello principale.

A seguito della riforma operata dal D.L. n. 1/2012, il comma 2 dell’art. 26 ha previsto il diritto di «aprire uno studio secondario nel territorio del distretto notarile» del notaio.

Nemmeno prima si dubitava di tale facoltà314 ma ora è parola di legge il fatto che lo studio ulteriore debba essere uno solo, secondario e nell’ambito territoriale del distretto; le prescrizioni ulteriori sono conte-nute nella sezione II del capo II dei principi315.

Il problema è che nel passato la giurisprudenza ha ripetutamente affer-mato la illegittimità della trasformazione dello studio secondario in stu-dio primario316 ed ha altresì rilevato come tale comportamento possa dar vita ad atti di concorrenza sleale317.

314 In realtà i dubbi sono stati superati solo con la riforma dei principi operati nel 2003, ad evitare le questioni che derivavano da taluni contrasti di giurisprudenza; la rico-struzione delle alterne vicende si legge in Casu, voce Recapito notarile, in Dizionario

giuri-dico del notariato, cit., p. 828 o in Lops e Placa, in La legge notarile, cit., sub art. 26, p. 170 ss.

315 A tal fine va ricordato che per Tar Toscana 9.5.2000, n. 811, in Trib. amm. reg., 2000, I, p. 3235, è legittima e conforme alla ratio dell’art. 26, L. 16.2.1913, n. 89 e alle regole deontologiche dettate dal consiglio nazionale del notariato, la deliberazione di un con-siglio notarile provinciale con la quale viene disposta la riduzione della percentuale ordinaria dal quaranta per cento al venti per cento degli onorari prodotti da ciascun notaio presso il recapito notarile in rapporto al totale degli oneri prodotti nell’ufficio della sede, e viene precisato che tale limite riguarda anche i notai esercitanti la loro funzione in forma associata. Tuttavia per Cons. Stato 14.2.1990, n. 84, in Vita notarile, 1990, p. 93, è illegittima la deliberazione con cui un consiglio notarile distrettuale disci-plina restrittivamente la possibilità dei notai di operare mediante «recapito» al di fuori del comune nel quale hanno la sede, in difetto di una specifica attribuzione legisla-tiva di potestà regolamentare e della competenza (spettante, viceversa, al tribunale civile) di infliggere le sanzioni previste per le violazioni della normativa.

316 Questo è ribadito anche di recente ad es. da Cass. 19.6.2015, n. 12732: costitui-sce illecito disciplinare, da parte del notaio, invertire di fatto l’importanza tra sede di assegnazione e ufficio secondario, svolgendo nel secondo attività professionale di gran lunga maggiore che nella prima. Sulla regola v. altresì id. 17.4.2013, n. 9358; id. 25.7.2002, n. 10881, in Vita notarile, 2002, p. 1634 ecc.

Dal profilo puramente formale c’è da rilevare che, anche dopo la riforma del 2012, la violazione dell’art. 26 è rimasta colpita sempre dal capoverso dell’art. 137, ovvero sempre con sanzione pecuniaria che può essere oblata ex art. 145-bis, sicché anche la trasformazione dello studio secondario in studio principale trova ora in tale specifica disposizione la propria disciplina.

Questo per dire che la violazione non può ricondursi ad altra ipotesi sanzionatoria (l’art. 147 in commento appunto) solo perché la si voglia colpire in modo più duro e senza dimenticare che la violazione di legge è quella dell’assenza dallo studio, nulla dicendo la legge sul divieto di svol-gere più attività, ma nei giorni liberi, presso lo studio secondario.

Né può valere in senso diverso la circostanza che il notaio che inverta gli uffici violerebbe anche la nozione di ufficio secondario che si potrebbe estrapolare dai principi, al fine di contestare la violazione dell’art. 147, lett. b), giacché la sanzione è già stata decisa dal legislatore e, come già detto in precedenza, non potrebbe essere aggravata dal consiglio notarile nazio-nale.

In fondo l’unico obbligo è quello di aprire lo studio principale nel ter-mine indicato dall’art. 24 e di assisterlo nei giorni indicati dall’art. 26, sul resto la legge tace sicché l’inversione tra studio principale e studio secon-dario, nel rispetto dei giorni, è a tutto concedere violazione dell’art. 26, non di altre regole.

D’altro canto, ancora, l’art. 4 indica il numero dei notai del distretto e quindi la modifica dell’ufficio principale e di quello secondario non incide su tale determinazione, perché sono sempre uffici del medesimo distretto.

Orbene dove stanno gli appigli per affermare oggi che un tale com-portamento sia da considerare concorrenza sleale agli effetti disciplinari, dato che la concorrenza si svolgerebbe nel rispetto dei giorni di presenza obbligatoria e all’interno del medesimo distretto?

Ricondurlo all’art. 147 è un modo di dare atto che gli articoli da 9 a 13 dei principi, che parlano appunto dello studio secondario, nulla hanno sta-bilito in proposito, che l’art. 14 che tratta della concorrenza pure è silente e quindi che si è cercata una soluzione pur che fosse ad un problema che si è voluto sottrarre alla regola in essere, perché pare troppo blanda.

Si tratta dunque di una soluzione autoreferenziale.

Altro potrebbe semmai essere il rapporto civilistico con i notai che subiscano tale concorrenza318, ma in realtà ciò potrà dirsi se vi siano anche

318 Sulla legittimazione degli altri notai a far valere il danno ingiusto da illecita con-correnza v. Cass. 10.11.2000, n. 14629, in Corriere giur., 2000, p. 1589: l’interesse di un

altri comportamenti che eccedano la mera inversione di importanza tra gli studi e che possano appunto qualificare ulteriormente in tal senso l’atti-vità dello studio secondario319; tuttavia qui la violazione assumerà anche natura deontologica, proprio per la presenza di tale quid pluris.

C’è poi un ulteriore profilo problematico: è stato detto che la modi-fica dell’art. 26 consente sia l’apertura dello studio secondario, sia l’eser-cizio dell’attività all’interno del distretto della Corte d’Appello, ma nella seconda ipotesi ciò non può mai avvenire in strutture attrezzate320.

Ovviamente questo serve ad evitare che il notaio abbia uno studio secondario al di fuori del distretto di appartenenza e da questo profilo, finché la regola rimane scritta così, la soluzione è corretta per quanto rife-rita allo studio secondario.

notaio, assegnato ad un comune ove sia prevista una sola sede notarile, a che altri notai non esercitino nel comune medesimo la propria attività professionale se non in modo accessorio sotto il profilo funzionale e secondario sotto quello economico rispetto al proprio ufficio-studio, posto in altro comune, è ritenuto meritevole di tutela dall’ordi-namento, che ad esso appresta, pertanto, tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c.

319 Questo era stato detto sulla base della precedente disciplina da Cass. 25.7.2002, n. 10881, in Vita notarile, 2002, p. 1634: il notaio può aprire, in una sede diversa da quella assegnatagli, un recapito, che presenti i caratteri – individuati anche in base ai principi di deontologia professionale approvati, a norma della L. n. 220/1991, dal consiglio nazionale del notariato il 24.2.1994 – dell’accessorietà funzionale e della secondarietà economica rispetto all’ufficio-studio; qualora il recapito presenti caratte-ristiche eccedenti e integri pertanto un secondo ufficio-studio, il notaio vìola il precetto dell’art. 26 L. n. 89/1913, sanzionato dall’art. 137, comma 2, l.n.; allorquando all’aper-tura del recapito si accompagni qualcuno dei comportamenti tipici o atipici (alla cui individuazione concorrono i principi di deontologia professionale enunciati dal con-siglio notarile) di cui all’art. 147 l.n. e 14, R.D.L. n. 1666/1937, il notaio compie atti di illecita concorrenza; così anche id. 16.2.1995, n. 1698, in Vita notarile, 1995, p. 952; id. 24.3.1995, n. 3427; id. 21.6.1989, n. 2947, ma è giurisprudenza consolidata. Su tali com-portamenti ulteriori v. ad es. Cass. 30.3.1995, n. 3816, in Vita notarile, 1995, p. 1543: il notaio che, dopo il trasferimento in altra sede ubicata nello stesso distretto, mantenga nella sede precedente, nonostante l’immissione del suo successore, uno studio e cioè una struttura organizzativa per lo svolgimento in modo stabile e continuativo dell’atti-vità professionale, così contravvenendo al disposto dell’art. 26, L. 16.2.1913, n. 89, incorre nella più grave infrazione disciplinare contemplata dall’art. 147 della legge medesima, qualora il fatto, in relazione alle circostanze del caso concreto, si traduca in concorrenza illecita con possibilità di sviamento della clientela in danno dell’effettivo titolare di quella sede, essendo consentito al medesimo di predisporre nell’ambito del distretto, al di fuori della sede assegnatagli, semplici recapiti, destinati ad una sua pre-senza non continua, né con orari prestabiliti, ma meramente occasionali su richiesta di volta in volta degli interessati.

Tuttavia che accade se al notaio venga chiesto di recarsi più di una volta in una struttura attrezzata che sia la sede di un cliente? Se una banca chiede al notaio di rogitare i mutui anche in una filiale che è al di fuori del suo collegio, ciò è permesso?

La soluzione è certamente positiva, come si è detto supra trattando il problema dei procacciatori d’affari; resta invece negativa se i locali siano di terzi e risulti il compenso pagato ai medesimi.

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