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La lettera a): la funzione delle clausole generali ed il principio di legalità delle sanzioni

Il richiamo a metavalori indefiniti dalla norma, quali sono la dignità e la reputazione del notaio o il decoro ed il prestigio della classe notarile, dovrebbe svolgere la stessa funzione che ricoprono le clausole generali del codice civile, quali quelle relative alla correttezza (art. 1175), alla dili-genza (art. 1176), alla buona fede (artt. 1337, 1366, 1375 ecc.), all’ingiu stizia del danno (art. 2043), ovvero di fungere da strumento per il giudice, per valutare un comportamento alla stregua dei valori condivisi nel momento storico in cui avvengono i fatti.

199 Questa è la conclusione che si trae dalla lettura di Cass. 9.2.2016, n. 2592, ripor-tata infra al par. 42. La violazione contestuale dei divieti, dove si parla appunto di alter-nativa tra sospensione e censura in relazione alla gravità del comportamento, cui poi applicare le attenuanti, se ne ricorrano i presupposti.

Ciò nel senso per cui «le formule legali quando descrivono modelli di comportamento sulla base di un antico omaggio a una spesso fantomatica tradizione hanno valore tuttalpiù metaforico, discutibile quanto si vuole, eppure certamente non preclusivo di una lettura adeguata ai tempi e al caso»200.

Va infatti pienamente sottoscritta, perché potrebbe valere anche qui, l’osservazione per cui le clausole generali svolgono anche la funzione di «ricordare al diritto, e ai suoi sacerdoti, che è stato inventato per le cose di questo mondo e non di altri»201, ovvero per consentire di argomentare soluzioni concrete, purché ragionevoli, agli infiniti problemi che il diritto non può risolvere con un meccanismo nevrotico di produzione inarresta-bile di regole.

Si tratterebbe insomma di una regola che, al pari delle altre clausole generali, potrebbe attribuire al giudice, mediante una «delega a ricercare valori fuori dei rigidi confini dell’ordinamento positivo»202, uno spazio di intervento «rispondente alle sollecitazioni sociali ed alla particolarità dei casi concreti»203, laddove un’elencazione pedante delle mille e più ipotesi che il legislatore potrebbe normare risulterebbe in ogni caso insufficiente a regolare davvero i casi della vita204.

200 Breccia, Le obbligazioni, nel Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 1991, p. 241; v. ovvia-mente Mengoni, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Riv. critica dir. priv., 1986, p. 5 ss., nell’intero scritto ed anche Rovelli, nel Commentario del codice civile, a cura di Gabrielli, Torino, 2012, sub art. 1176, p. 196 ss. In materia occorre comunque rinviare all’intero di battito contenuto nella raccolta di saggi Clausole e principi generali

nell’argo-mentazione giurisprudenziale degli anni novanta, a cura di Cabella Pisu e Nanni, Padova,

1998, ove anche ampie indicazioni comparatiste.

201 Di Marzio, Ringiovanire il diritto? Spunti su concetti indeterminati e clausole

gene-rali, in Giust. civ., 2014, p. 377.

202 Rescigno, Le clausole generali: dalle codificazioni moderne alla prassi

giurispruden-ziale, in AA.VV., Clausole e principi generali, cit., p. 30 ed ivi la ricostruzione

dell’orien-tamento della giurisprudenza dalla prima metà del ’900; lo stesso invito a ricercare i valori è nell’intero scritto di Mengoni, cit.

203 Rescigno, voce Obbligazioni (nozioni), in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, p. 178. 204 Cfr. Alpa, La completezza del contratto: il ruolo della buona fede e dell’equità, in AA.VV., Il contratto e le tutele a cura di. S. Mazzamuto, Torino, 2002, pp. 239-240: «nell’Ottocento e ancor oggi molti ritengono (facendone professione di giuspositivi-smo) che il giudice non possa che rimettersi alle vedute accolte dalla maggioranza e che debba fare cioè un semplice restatement, una fotografia dei comportamenti osservati; ma questa soluzione non è accolta da quanti (a cui mi unisco anch’io) ritengono per contro che il diritto abbia una funzione direttiva del mutamento sociale e che questa funzione possa essere assolta dalla giurisprudenza (e quindi dal giudice) e dalla dot-trina (e quindi dagli interpreti) e non solo dal legislatore». Rodotà, La tecnica legislativa

In altre parole «le clausole generali servono allora a combattere quella vacua coazione a prescrivere di tutto»205 e tanto potrebbe invocarsi anche per la lett. a) dell’art. 147206, come il S.C. ha in effetti scritto anche di recen-te207, precisando che il richiamo alle ricorso alle clausole generali «non è sindacabile dalla Corte di Cassazione, il cui controllo di legittimità sull’applicazione, da parte del giudice del merito, di concetti giuridici indeterminati e clausole generali può solo mirare a verificare la ragione-volezza della sussunzione in essi del fatto concreto»208.

Da questo profilo, quindi, la circostanza che la disposizione contenga concetti non definiti nei confini, quali sono la dignità, la reputazione, il decoro ed il prestigio, potrebbe consentire di verificare se il presente si saldi i meno con il passato od imponga di abbandonare certe vedute ed aprirsi ad orizzonti nuovi209.

per clausole generali in Italia, in AA.VV., Clausole e principi generali, cit., p. 41, parla del

«problema dell’irriducibilità di tutto il reale entro schemi rigidi e predeterminati». 205 Di Marzio, ibidem; si veda ivi, p. 346 e n. 17, la citazione al pensiero di Montai-gne (oggi in Saggi, Milano, 1991, p. 1133) che, 5 secoli addietro, ammoniva sull’inutilità del moltiplicarsi delle regole per risolvere tutti i casi della vita; v. anche Rodotà, Le

fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969, p. 189; Galgano, Trattato di diritto civile,

Padova, 2010, II, p. 563 ss., spec. p. 565.

206 Così infatti Lops e Placa, in La legge notarile, cit., sub art. 147, p. 812.

207 Cass. 20.12.2016, n. 26369: «la norma punisce il notaio che “compromette, in qualunque modo, con la propria condotta, nella vita pubblica o privata, la sua dignità e reputazione o il decoro e prestigio della classe notarile”. Essa configura come illecito condotte che, seppur non tipizzate, siano comunque idonee a ledere la dignità e la reputazione del notaio, nonché il decoro ed il prestigio della classe notarile, la cui indi-viduazione in concreto è rimessa agli organi di disciplina (Sez. 2, Sentenza n. 17266 del 28.8.2015). Si tratta di fattispecie disciplinare a condotta libera, all’interno della quale è punibile ogni comportamento, posto in essere sia nella vita pubblica che nella vita privata, idoneo a compromettere l’interesse tutelato, il che si verifica ogni qual volta si ponga in essere una violazione dei principi di deontologia enucleabili dal comune sentire in un determinato momento storico (Sez. 2, Sentenza n. 1437 del 23.1.2014, in motivazione; Sez. 6-3, Sentenza n. 21203 del 13.10.2011)».

208 Cass. 28.8.2015, n. 17266, in Vita notarile, 2015, p. 1379, che richiama anche id. 23.3.2012, n. 4721, 2012, p. 901.

209 È l’opinione, ad es., di Cass. 8.5.2000, n. 5822 che parla delle norme che si dicono «elastiche» perché, al fine di sanzionare sotto il profilo disciplinare fatti omissivi o commissivi posti in essere da soggetti appartenenti a determinate categorie o tenuti ad osservare determinati comportamenti nei confronti di altri soggetti, rimandano, quanto alla definizione dell’illiceità della condotta, a modelli o clausole di contenuto generale per l’impossibilità di identificare in via preventiva ed astratta tutti i possi-bili comportamenti materiali costituenti l’illecito; per gli avvocati v. Cass. SS. UU., 10.12.2001, n. 15601.

Chiunque esamini il lungo cammino della giurisprudenza in tema di danno ingiusto ben comprende la vitalità di questa funzione, solo a ricor-dare come oggi nessuno discuta più dell’ingiustizia della lesione del cre-dito o del danno da violazione di interessi legittimi, mentre per decenni nel passato si affermava pacificamente il contrario.

Il punto è tuttavia un altro ed impone una rimeditazione sulla pos-sibilità di formulare clausole generali nel sistema punitivo disciplinare, tenendo conto che, con riferimento alla prima ipotesi dell’art. 147, si verte in tema di comportamenti che non costituiscono violazione di principi deontologici, per i quali rileva solo la non occasionalità dell’infrazione (lett. b), beninteso salvo che l’occasionalità appaia irrilevante rispetto alla gravità della violazione, che qui potrebbe ragionevolmente essere ricon-dotta alla lett. a) della disposizione210.

Infatti se si accetta l’idea, qui ripetutamente affermata sulla base della CEDU ed anche del diritto comunitario ai sensi dell’art. 6 del Trattato, per cui le sanzioni disciplinari assumono spessissimo consistenza penale, si deve allora affrontare il tema della legalità delle sanzioni stesse se appli-cate a comportamenti non definiti analiticamente, cui comunque non sfugge nemmeno chi voglia fermarsi alla descrizione formale delle san-zioni come puramente deontologiche e dunque (ma il dunque è autorefe-renziale) amministrative211.

210 Così ad es. Cass. 28.8.2015, n. 17266, in Vita notarile, 2015, p. 1379: «la non occa-sionale violazione delle norme deontologiche costituisce essa stessa una ipotesi di ille-cito disciplinare a prescindere dalla compromissione della dignità e della reputazione professionale del notaio e del decoro e del prestigio della classe notarile, mentre la epi-sodica violazione delle dette norme deontologiche può ancora concorrere ad integrare l’illecito di cui al citato art. 147, lett. a)».

211 Un tanto per affrontare la questione, resa per gli avvocati nel passato, quando Cass. SS. UU., 12.1.1993, n. 269 e id. 5.0.2003, n. 6766, che hanno ritenuto essere mani-festamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme dell’ordi-namento professionale forense, in relazione agli artt. 3, 24 e 25 Cost., nella parte in cui, con riguardo alla materia disciplinare, omettono una precisa individuazione delle regole di deontologia professionale, poiché la predeterminazione e la certezza dell’incolpazione ben può ricollegarsi a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività in cui il giudice opera e poiché all’esercizio del potere disciplinare, quale espressione di potestà amministrativa, sono estranei i precetti costituzionali concer-nenti la funzione giurisdizionale. Va ricordato che per Cons. Stato, sez. IV, 6.7.2009, n. 4312, le disposizioni a carattere deontologico e organizzativo impartite dai consigli notarili (nazionale e distrettuali) sono atti amministrativi, espressione di una potestà pubblica a fronte della quale la posizione nei destinatari si qualifica come interesse legittimo, con conseguente appartenenza delle relative controversie alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Ciò in quanto «la “legalità delle pene” costituisce principio generale del diritto comunitario ed esige, in particolare, che le previsioni sanzionatorie (anche amministrative) siano chiare e precise in modo da consentire agli interessati di essere consapevoli dei diritti e degli obblighi che da esse deri-vano ed in modo da poter agire in modo conseguente ed adeguato; tale prin-cipio fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli stati membri: esso è sancito dall’art. 7 CEDU, nonché previsto in diversi trattati internazionali»212.

Inoltre il principio di legalità è contenuto nell’art. 1, L. n. 689/1981 ed anche se il suo art. 12 esclude l’applicazione del relativo capo I ai proce-dimenti disciplinari, resta la necessità ineludibile di leggere la disciplina interna in conformità alle fonti sovraordinate: il principio di legalità, in altre parole, è immanente al sistema ed opera dunque anche nel sistema sanzionatorio notarile213.

Ecco allora che si apre un contrasto, tra la necessità di valutare i com-portamenti secondo la percezione di disvalore del momento del giudizio ed il contestuale imprescindibile diritto di conoscere prima e con chia-rezza quali siano i confini tra lecito ed illecito214.

In tal senso il principio di legalità non può essere aggirato con parole di circostanza che rinviano all’etereo, come il richiamo al rilievo che la disposizione in esame «nel sanzionare le condotte lesive della dignità e reputazione del notaio, nonché del decoro e prestigio della classe notarile, integra un’ipotesi di illecito a forma libera, il cui contenuto è integrato dalle regole di etica professionale»215, dato che ciò che conta è appunto

212 Trib. I grado CE 5.4.2006, n. 279/02, in Foro amm. Cons. Stato, 2006, p. 1095. V. anche Corte UE 31.3.2011, n. 546/09, in Raccolta, 2011, I, p. 2531: i principi generali del diritto dell’Unione e, in particolare, il principio di legalità dei reati e delle pene vie-tano che le autorità nazionali applichino ad un’infrazione doganale una sanzione non espressamente prevista dalla normativa nazionale; tale principio postula infatti che la legge definisca chiaramente i reati e le pene che li reprimono; questa condizione è soddisfatta quando il soggetto di diritto può sapere, in base al testo della disposizione rilevante e, se del caso, con l’aiuto dell’interpretazione che ne sia stata fatta dai giudici, quali sono gli atti e le omissioni che chiamano in causa la sua responsabilità penale.

213 Di recente v. le ampie considerazioni di Poma, La sanzione dell’avvertimento nella

legge notarile, in Nuova giur. civ. comm., 2017, p. 646.

214 Va detto però che Cass. 3.6.2015, n. 11451, in Foro it., 2015, I, c. 3539 ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 147 l. not., nella parte in cui prevede come illecito disciplinare ogni condotta del notaio che com-prometta la sua dignità e reputazione o il decoro e prestigio della classe notarile, in riferimento all’art. 25 Cost.

215 Sono parole ricorrenti e mai smentite nella giurisprudenza del S.C; v. ad es. tra le molte Cass. 31.1.2017, n. 2527, in Giur.it., 2017, p. 1042; id. 28.8.2015, n. 17266; id. 12.11.2013, n. 25408.

conoscere in anticipo le regole, non scoprirne portata e conseguenze a cose fatte e tantomeno ammettere la legittimità di un illecito «a forma libera».

Ugualmente autoreferenziale è l’idea che vi sia certezza nella liceità o meno della «condotta il cui contenuto, sebbene non tipizzato, è integrato dalle regole di etica professionale e, quindi, dal complesso dei principi di deontologia oggettivamente enucleabili dal comune sentire di un dato momento storico»216 dato che, in assenza di individuazione dei contenuti dell’etica, il discorso è all’evidenza circolare217.

Una cosa, infatti, è considerare se i principi di deontologia rilevino anche ai sensi della lett. a) dell’art. 147, nel senso che la violazione occasio-nale, non sanzionabile in base alla lett. b), possa comunque essere valutata in ragione della sua gravità perché lede un bene protetto diverso218, altra cosa è dire che esistono regole estranee a quei principi, la cui violazione genera tuttavia ugualmente responsabilità disciplinare, senza però che si possa consultare un documento qualsiasi che le contempli.

Eppure resta fermo il giudizio del S.C.: «nell’ordinamento si è andato progressivamente affermando il principio della necessaria tipizzazione degli illeciti disciplinari, quale attuazione estensiva del principio di lega-lità, tutelato dalla Costituzione espressamente (art. 25 Cost.) in riferimento alla confinante materia penale (in materia lavoristica, Cass. 23.8.2006, n. 18377; Cass. 18.6.1996, n. 5583). Principio che si pone quale necessario complemento alla attuazione del diritto di difesa (art. 24), che sarebbe vanificato, o quantomeno largamente svuotato di contenuto, se le condotte punibili attribuibili al soggetto al quale si assicura la difesa nel procedi-mento giurisdizionale (e nel procediprocedi-mento amministrativo) non fossero ex

ante precisamente individuate dal legislatore. Proprio la sempre maggiore

valenza attribuita alla tipicità dell’illecito, ha condotto verso interpretazioni restrittive degli illeciti costruiti dal legislatore con condotte a forma libera. E, per restare entro il perimetro della specie ora all’attenzione della Corte, l’art. 147 cit. è stato ritenuto rispettoso del principio di tipicità, riferibile agli illeciti disciplinari, essendo individuato con chiarezza l’interesse meri-tevole di tutela (dignità e reputazione del notaio, decoro e prestigio della classe notarile) e risultando la condotta sanzionabile individuabile sulla base dalla sua idoneità a compromettere tale interesse. Con la conseguenza

216 Cass. 23.3.2012, n. 4720, in Vita notarile, 2012, p. 896.

217 Invece Tenore, La responsabilità disciplinare del notaio, cit., p. 58 insiste sul fatto che la funzione dell’art. 147 sia proprio quella di consentire «agli organi disciplinari una reale giustizia etica».

che, pur essendo a forma libera la condotta, il suo contenuto, sebbene non tipizzato, è integrato dalle regole di etica professionale e, quindi, dal com-plesso dei principi di deontologia oggettivamente enucleagli dal comune sentire di un dato momento storico, (da ultimo, Cass. 23.3.2012, n. 4720)»219.

Se poi si aggiunge il fatto che il S.C. nega di poter valutare la legittimità della decisione che applica la sanzione, dicendo che «la concreta indivi-duazione della condotta disciplinarmente rilevante, da parte del giudice di merito, non è sindacabile dalla Corte di Cassazione, il cui controllo di legittimità sull’applicazione, da parte del giudice del merito, di concetti giuridici indeterminati e clausole generali può solo mirare a verificare la ragionevolezza della sussunzione in essi del fatto concreto»220, allora bisogna ammettere che l’illecito previsto da questa disposizione concreta-mente non è tipizzato.

Come dato di fatto si può dire che le applicazioni pratiche non hanno dimostrato ingiustizie manifeste, non vi sono stati casi di sanzioni esage-rate o di persecuzioni contro un notaio scomodo221, in quanto le ipotesi hanno riguardato comportamenti effettivamente gravi, sicché potrebbe ritenersi che, in definitiva, si tratti di una questione solamente teorica.

Non è però del tutto così, perché il caso del notaio sanzionato proprio

ex art. 147 lett. a) per le modalità con cui ha eretto un inventario, sebbene

in realtà il comune sentire dei notai dimostrasse che la relativa lesione proprio non esisteva222, attesta che a qualcuno la regola intesa in tal modo ha fatto del male.

Basta quindi una sola applicazione sbagliata a provare che la regola si presta troppo facilmente ad usi impropri: chi è disponibile a rischiare in prima persona pur di non metterla in discussione?

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