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La valenza generale della legge di riforma

Nel documento LAVORARE IN RETEPER LO SVILUPPO (pagine 48-51)

2. Il sistema delle Camere di commercio tra pubblico e privato

2.2. La valenza generale della legge di riforma

Considerando l’arco di tempo intercorso dal varo della legge di ri-forma sino ad oggi, balza agli occhi – come è stato sottolineato – “la velocità del cambiamento che ha visto protagoniste le Camere di com-mercio, un cambiamento profondo tanto dal punto di vista della loro configurazione giuridica e formale, quanto nell’ottica dei ruoli che esse sono state chiamate a svolgere e delle nuove, rilevanti funzioni che sono state loro assegnate” (Sangalli, 2000, pag. 1). Lo sviluppo del ruolo degli enti camerali, tuttora in corso di evoluzione, ha dun-que le sue radici nella riforma del 1993. Il provvedimento di riordino si inserisce in un processo di riforma istituzionale di cui un passag-gio fondamentale è la legge n.142 del 1990 sulle autonomie locali: si configura, in altre parole, come uno dei passaggi significativi verso il decentramento dei poteri dello Stato e l’applicazione del principio della sussidiarietà, punto di riferimento anche per la normativa co-munitaria. Ampio è il ventaglio delle problematiche affrontate dalla legge 580: l’autonomia statutaria e i rapporti con le Regioni; la rivisi-tazione del sistema di finanziamento e dei controlli; le funzioni delle strutture di rappresentanza (l’Unione italiana e quelle regionali); il ri-corso alle aziende speciali e la politica delle partecipazioni societarie;

(3) Nel 1993, la legge di riforma individua la fonte principale di entrate per i bilanci degli enti camerali nel diritto annuale versato dalle imprese iscritte – con la novità del-l’inclusione di quelle agricole di minor dimensione – e dispone che venga annualmente dimensionato in relazione ai fabbisogni per i servizi forniti e agli obiettivi di efficienza raggiunti nelle prestazioni.

l’affidamento di un ruolo di natura giurisdizionale nelle controversie tra consumatori e imprese.

L’inserimento nel testo di disposizioni che istituiscono presso le Ca-mere un ufficio del registro delle imprese per la sua “realizzazione e te-nuta, mediante tecniche informatiche“ (con la vigilanza di un giudice) può essere considerato alla stregua di una vera e propria riforma nella riforma. L’aspetto decisivo resta peraltro la questione della nomina e della composizione degli organismi direttivi: lo scoglio sul quale sono naufragati – ci torneremo più avanti – i numerosi tentativi di riordino dell’istituto camerale. Intorno alla soluzione di questo problema ruota, a ben vedere, quello che è stato definito l’ibridismo dell’ente camerale:

a seconda delle fasi storiche, il pendolo dell’attività camerale oscilla tra il pubblico ed il privato, spostandosi tra l’assolvimento delle tradiziona-li funzioni pubbtradiziona-liche di interesse generale e la cura degtradiziona-li interessi delle categorie economiche coinvolte negli organi di governo.

Numerosi aspetti vengono disciplinati nella legge di riordino con indicazioni di principio, da sviluppare e integrare attraverso norme re-golamentari. Per quanto concerne le attribuzioni degli enti camerali, vengono innanzitutto fotografate e confermate quelle di fatto esercita-te, soprattutto nell’ultimo decennio, sull’onda del processo di autori-forma oppure sulla base di svariati provvedimenti settoriali. Analoga conferma viene data della personalità giuridica pubblica, connotata da una significativa sfera di autonomia ed esplicitamente riconosciuta alle Camere dal decreto n. 315 del 1944, che le definisce “enti di diritto pubblico” per il conseguimento di fini economici e sociali riconosciuti dallo Stato come propri. Con la legge 580 alle Camere viene ricono-sciuta la natura di enti autonomi di diritto pubblico “che svolgono, nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza, funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese curandone lo svilup-po nell’ambito delle economie locali”. L’ente camerale è chiamato a svolgere un ruolo di sintesi intersettoriale delle esigenze delle imprese a livello locale, attraverso iniziative di supporto e di promozione.

Tornando alle origini dell’istituto camerale nell’ambito dello Stato unitario, con la legge n. 680 del 1862 viene assegnata un’autonomia alquanto peculiare “sia sotto il profilo finanziario sia sotto quello con-tabile”, con la possibilità di applicare tributi (la c.d. “finanza fisca-le”) sia pure vincolata all’autorizzazione del Governo. In continuità con le caratteristiche originariamente delineate, il testo di riordino introduce ulteriori sviluppi definendo esplicitamente la sfera di auto-nomia dell’istituto camerale, accompagnata da una significativa atte-nuazione delle forme di vigilanza e controllo da parte degli organismi dì Governo. L’autonomia camerale viene articolata nella potestà di

autodeterminarsi, nonché nella definizione (sia pure con elementi di fragilità) di modalità di autonomia fiscale (4). Per compensare la fun-zione redistributiva dei trasferimenti statali nei confronti delle aree con presenza più debole delle imprese – e che quindi determinano en-trate da diritti annuali ridotte – viene istituito il fondo di perequazio-ne, alimentato dagli enti camerali e gestito da Unioncamere. Al fine di coniugare efficienza e solidarietà all’interno della rete, il fondo presenta una duplice modalità operativa: omogeneizzare le funzioni di base affidate dalla normativa statale alle Camere di commercio, erogando contributi alle Camere che presentano rigidità di bilancio;

finanziare progetti innovativi, incentivando la collaborazione inter-camerale e promuovendo con logiche di rete l’efficienza gestionale;

questa seconda componente ha contribuito a finanziare le iniziative del network dell’Emilia-Romagna.

Il riconoscimento della potestà statutaria, affidando potere deci-sionale a ogni ente, costituisce l’aspetto più qualificante dell’autono-mia camerale. Duttile strumento di autogoverno, lo Statuto consente di adattare ordinamento e organizzazione camerale alle specificità territoriali e alle esigenze gestionali. Ulteriore indicatore del grado di autonomia dell’istituto camerale è la facoltà, da parte di due o più Camere, di accorpare le rispettive circoscrizioni territoriali. La legge 580 prevede la delega di funzioni da parte sia dello Stato che delle Regioni; nei confronti di queste ultime (che nei nuovi Statuti inseri-scono riferimenti al ruolo dell’istituto camerale) è contemplata una funzione consultiva e di proposta, attraverso l’Unione regionale, sulle problematiche afferenti all’economia e alle imprese.

La nuova normativa amplia notevolmente anche la possibilità per le Camere di commercio di promuovere, realizzare e gestire, sia a livel-lo livel-locale che nazionale, strutture ed infrastrutture di interesse econo-mico generale secondo le regole del diritto privato, non solo mediante la costituzione di aziende speciali, ma soprattutto con la politica delle partecipazioni in società per azioni, consorzi ed altri organismi asso-ciativi. Le Camere di commercio possono, in quanto soggetti pubblici

(4) A conferma della portata dell’innovazione, la situazione degli enti camerali antecedentemente al varo del testo di riordino è stata così efficacemente tratteggiata:

“Essi sono dotati di autonomia nel senso che possono emanare regolamenti riguardanti l’organizzazione interna e le materie rientranti nella propria sfera amministrativa, de-liberati dagli organi camerali e sottoposti generalmente all’approvazione ministeriale.

Non si tratta comunque di autonomia piena in quanto, privi della potestà di fornire il proprio statuto, posseggono un’organizzazione stabilita con legge dello Stato” (Fricano, pag. 29).

operanti a livello locale, promuovere i cosiddetti “patti territoriali”: si tratta di un’occasione per assolvere, come enti camerali, la funzione di motore della crescita, soprattutto nelle aree in ritardo di sviluppo.

L’evoluzione normativa porta, alla fine degli anni Novanta, a de-finire gli enti camerali come soggetti di autonomia funzionale (da non confondersi con gli enti pubblici funzionali, caratterizzati da un rapporto di subordinazione rispetto allo Stato o alle Regioni). Le au-tonomie funzionali sono istituzioni rappresentative non della genera-lità dei soggetti di una comunità territoriale, bensì di specifici insiemi (sistemi di imprese, comunità universitarie). Uno status rafforzato negli anni dall’entrata in vigore della legge 59 del 1997 sul decentra-mento amministrativo e dai decreti attuativi del 1999, impostati dal Ministro Bassanini. Anche la sentenza della Corte Costituzionale n.

477 del 2000 ha espressamente qualificato la Camera come “ente pub-blico locale dotato di autonomia funzionale”. Più recentemente, il c.d.

“provvedimento La Loggia” per l’attuazione della riforma del Titolo V° della Costituzione ha previsto la possibilità di deleghe sul versante amministrativo alle autonomie funzionali (con particolare riferimen-to alle Camere di commercio).

2.3. Gli organismi di direzione politica tra designazione ed

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