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Il ruolo dell’Unioncamere Emilia-Romagna e lo sviluppo del- del-la coldel-laborazione con del-la Regione

Nel documento LAVORARE IN RETEPER LO SVILUPPO (pagine 57-67)

2. Il sistema delle Camere di commercio tra pubblico e privato

2.5. Il ruolo dell’Unioncamere Emilia-Romagna e lo sviluppo del- del-la coldel-laborazione con del-la Regione

L’Unione regionale dell’Emilia-Romagna viene costituita nel gen-naio 1965, ma una unità d’intenti a livello regionale si manifesta al-l’inizio degli anni Sessanta. I Segretari Generali avvertono l’esigenza di sviluppare un “comune sentire”, mettendo in rete le esperienze e facendo circolare soluzioni sul versante gestionale. In un secondo tempo, anche i Presidenti iniziano a riunirsi periodicamente, per con-frontare proposte, ricercare convergenze, elaborare indirizzi comuni.

Per tale via si attenua gradualmente la diffidenza di chi teme che la creazione dell’Unione regionale possa ridurre l’autonomia delle singo-le Camere. In base allo Statuto adottato nel 1965, l’Unioncamere Emi-lia-Romagna si prefigge “lo scopo di esaminare problemi, promuovere iniziative, coordinare, su piano regionale, le attività delle singole Ca-mere di commercio”, di “promuovere il potenziamento dello sviluppo economico anche attraverso l’attuazione – con indirizzo unitario – di indagini, rilevazioni, studi e pubblicazioni”, di “promuovere o parteci-pare a congressi, comitati e riunioni per lo studio di problemi inerenti all’economia regionale, assumendo la rappresentanza collettiva delle Camere della Regione”, di “intervenire presso le amministrazioni cen-trali e periferiche dello Stato e di altri Enti pubblici locali a nome e per conto delle Camere che ne diano esplicito mandato”.

Il contesto esterno agevola la costituzione dell’Unione regionale. Nei primi anni Sessanta, con l’avvento del centro-sinistra, si imposta un disegno di programmazione, al fine di indirizzare lo sviluppo econo-mico. Si avverte la necessità di inserire i piani regionali nella program-mazione nazionale, attraverso l’assunzione di responsabilità degli enti territoriali. Le Camere di commercio vengono sollecitate dal Governo a implementare l’attività di monitoraggio dell’economia. Gli amministra-tori camerali sviluppano intensi contatti con le auamministra-torità politiche e di governo, sia a livello centrale che locale, e rafforzano le sedi di coordi-namento. Le Unioni regionali e quella nazionale si impegnano perché la programmazione valorizzi i livelli decentrati e le economie locali.

L’Unione regionale in Emilia-Romagna riceve un particolare impulso dal Ministro dell’Industria, Giuseppe Medici, che vuole utilizzare l’ente camerale come “organo tecnico idoneo a servire la programmazione”, anche per rafforzarla nella prospettiva dell’istituzione delle Regioni a statuto ordinario. Nel 1964 il Ministero dell’Industria formalizza uno statuto-tipo delle Unioni regionali e ne dispone l’adozione da parte del-le Camere; del-le Unioni già costituite vengono invitate ad adeguarsi allo schema nazionale. L’interesse del Governo ad utilizzare l’attività delle Camere è confermato da una lettera di Medici del novembre 1964 con la quale viene richiesta la costituzione presso le Unioni regionali di un servizio studi per la programmazione, al fine di supportare la parteci-pazione dei Presidenti camerali ai lavori dei Comitati regionali per la programmazione. Sempre nello stesso anno, il Ministro dell’Industria istituisce presso l’Unione italiana il Comitato intercamerale per la pro-grammazione economica. Come prima iniziativa, il Comitato promuo-ve la redazione di monografie regionali per la programmazione econo-mica, con l’intento di garantire una documentazione di base omogenea per la formulazione di schemi di sviluppo regionale.

Nella fase di avvio dell’attività dell’Unione regionale, l’impegno per iniziative caratterizzate da concretezza e operatività convive con avanzate strategie di sviluppo, spesso condivise con altri soggetti. Con il decollo delle iniziative, l’Unione regionale diventa sempre più un

“integratore di sistema”, in grado di realizzare progetti complessi, al-trimenti destinati a rimanere chiusi nei cassetti. È questo, del resto, il filo conduttore che lega, attraverso il cemento dell’impegno istitu-zionale, i programmi di attività del sistema camerale regionale: l’im-pegno per elevare la competitività del sistema economico e a consoli-dare le prospettive di sviluppo dei territori di riferimento. Il sistema camerale, dunque, come soggetto che crea valore.

È il monitoraggio dell’economia per la programmazione regionale il tema sul quale si concentra l’Unioncamere nei primi anni. In occa-sione della prima assemblea dell’Unione regionale, nel maggio 1965, viene organizzato un convegno con Beniamino Andreatta, coadiuva-to dall’allora assistente all’Università di Bologna, Romano Prodi, sui

“problemi della programmazione economica”. Al professor Achille Ardigò, allora docente all’Università di Bologna, viene affidato l’inca-rico di impiantare e dirigere nell’ambito dell’Unione il servizio studi, chiamato a supportare il Comitato per la programmazione economica dell’Emilia-Romagna. Il servizio studi dell’Unione regionale inizia a coordinare le indagini delle Camere per la programmazione economi-ca, spesso in collaborazione con l’Università.

Dopo aver invitato nel 1966 le Unioni regionali a potenziare il filo-ne di attività di indagini e ricerche, il Ministero dell’Industria solleci-ta con una circolare la trasformazione degli uffici studi in organismi autonomi, denominati “Centri di studi e ricerche economico-socia-li”, per incentivare la collaborazione con i Comitati regionali per la programmazione economica. La costituzione del Ceres viene attuata sollecitamente dall’Unione regionale dell’Emilia-Romagna. Pronta, in un secondo tempo, a costituire il Centro regionale per il commer-cio interno, anch’esso sollecitato dal Ministero dell’Industria per far collaborare il sistema camerale con le amministrazioni comunali per programmare la crescita della rete distributiva, in previsione della legge di disciplina del commercio, approvata nel 1971.

Nonostante le iniziative avviate dalle nuove strutture, il Ministero in-nesta la retromarcia. Con circolare ministeriale del 1975 viene sancita la fine dell’esistenza delle due strutture, con la richiesta alle Unioni regio-nali di deliberarne l’assorbimento. Anche in Emilia-Romagna l’Union-camere si adegua alle direttive ministeriali, inquadrando Ceres e Cerco-mint come aree specializzate all’interno della propria organizzazione.

Parallelamente, l’Unione regionale avvia un programma di

soste-gno alle imprese per il commercio estero che con l’adozione via via di diverse strumentazioni – come documentato in altre parti del volume – alimenta un filone di lavoro di rilievo del network camerale.

Altrettanto impegnativo si rivela il coordinamento delle iniziative sul versante infrastrutturale, per contribuire all’assetto della rete delle comunicazioni ferroviarie e stradali. L’Unione regionale si rivela una sede di confronto e concertazione per le più rilevanti iniziative portate avanti dagli enti camerali, in collaborazione con le autonomie locali:

basti citare l’aeroporto di Bologna e il porto industriale di Ravenna.

Per imprimere operatività alle iniziative, imprescindibile risulta il ruolo del network dei Segretari generali. Gia nel primo Statuto si prevede che “il coordinamento e l’organizzazione del lavoro attribui-to alle singole Camere dell’Unione è affidaattribui-to al Comitaattribui-to” composattribui-to dai Segretari generali delle Camere e da quello dell’Unione che “potrà essere chiamato, per determinati argomenti, ad assistere alle riunioni dell’Assemblea e del Consiglio”. Inizialmente si decide di attribuire a turno a uno dei Segretari generali delle Camere analogo incarico presso l’Unione. Ma nel 1974 i Presidenti decidono di optare per una direzione “a tempo pieno”, al fine di dare ulteriore impulso all’attività di coordinamento. Si tratta di una scelta inedita nel panorama nazio-nale delle Camere, inizialmente contrastata dalla Direzione generale del Ministero dell’Industria, arroccata nella difesa del criterio della rotazione tra i Segretari delle Camere associate.

La nomina di Ernesto Stagni, Presidente della Camera di Bologna e dell’Unioncamere Emilia-Romagna, alla guida dell’Unione italiana nel 1967 testimonia l’apprezzamento che le iniziative regionali riscuo-tono in ambito nazionale. Dal 1969 al 1971 Stagni assume la presiden-za della Conferenpresiden-za permanente delle Camere di commercio dei Paesi della CEE. Consapevole dell’importanza di un’azione di promozione e rappresentanza degli interessi delle piccole e medie imprese italiane nell’ambito della Comunità Europea (ancora nella dimensione origi-naria dei sei paesi fondatori), decide di aprire un ufficio speciale delle Camere di commercio italiane a Bruxelles: è l’embrione dell’attuale sede di rappresentanza, punto di riferimento per la collaborazione con gli enti camerali dei Paesi dell’Unione Europea.

Stagni rimane presidente dell’Unione italiana fino al 1973; le sue iniziative riscuotono un consenso tale da determinare il prolungamen-to del mandaprolungamen-to. Dopo l’intermezzo di Silvano Gestri, alla guida della Camera di Pistoia, tocca a Dario Mengozzi, presidente dell’Unione re-gionale dal 1976 al 1978, riaffermare l’autorevolezza del sistema emi-liano-romagnolo nella dimensione nazionale. Mengozzi imposta una strategia di rilancio del sistema camerale nel quadriennio dal 1979

al 1982. Successivamente, durante le presidenze nazionali di Piero Bassetti, Danilo Longhi e Carlo Sangalli, un significativo ruolo vie-ne di volta in volta assolto da espovie-nenti dell’Uniovie-ne regionale, come attestano le responsabilità alla guida di strutture del sistema affidate a Mario Bertolini, Roberto Pinza, Pietro Baccarini, Sergio Mazzi, An-drea Zanlari e Gian Carlo Sangalli.

All’inizio degli anni settanta, la strada della collaborazione tra Regioni e sistema camerale si presenta impervia e in salita. Alla “ri-scoperta” degli enti camerali nel decennio precedente – chiamati a un’intensa attività di monitoraggio delle economie locali – subentra la delusione nel momento in cui, attuato l’ordinamento regionale, le nuove istituzioni esercitano la funzione programmatoria escluden-do le Camere, identificate come “un punto calescluden-do” della conflittualità tra Stato e Regioni. Al momento della nascita delle Regioni a statuto ordinario, estesa e stratificata si presenta la sfera delle competenze delle Camere. Ad esse risultano conferite funzioni amministrative in materie riservate allo Stato o che rientrano nella competenza regio-nale (basti pensare ai settori dell’artigianato e dell’agricoltura). Alle Regioni a statuto ordinario è attribuita, in altre parole, la potestà – nel rispetto dei principi fondamentali delle leggi dello Stato – di emanare norme in materie (polizia rurale, fiere e mercati, istruzione profes-sionale, agricoltura e foreste, artigianato, turismo) nel cui ambito la normativa statale si è avvalsa degli enti camerali.

In una prima fase, con i decreti delegati del 1972 si mantiene la titolarità degli enti camerali per le funzioni amministrative nelle mate-rie da trasferire alle Regioni. Ma l’effetto combinato della progressiva attuazione dell’ordinamento regionale, dell’assenza della riforma del-l’istituto camerale (e della conseguente, mancata adozione di previsioni normative come il ventilato coinvolgimento delle Regioni a statuto or-dinario nei controlli sugli atti camerali, relativamente alle competenze di interesse locale) spingono a rimettere in discussione l’orientamento iniziale. Nella fase di attuazione della delega prevista dalla legge 382 sull’ordinamento regionale, non ci si limita a sottrarre alle Camere le funzioni amministrative nelle materie di competenza regionale. Nel clima polemico che accompagna i decreti delegati della legge 382, da più parti viene drasticamente ipotizzata la soppressione dell’istituto camerale. Con l’articolo 64 del d.P.R. 616 del luglio 1977, il legislatore delegato mette la parola fine alle polemiche, assegnando alle Regioni le competenze delle Camere nelle materie trasferite o delegate. Ma il decreto non modifica la natura giuridica degli enti camerali che, pur con ridotte attribuzioni, continuano a svolgere la loro attività.

L’assenza di un riordino normativo dell’istituto camerale condiziona

il percorso di avvicinamento tra Regioni e sistema camerale, contras-segnato negli anni Settanta da battute di arresto e inversioni di marcia.

Una tappa importante per l’avvio di un confronto costruttivo è il con-vegno nazionale “Per la riforma delle Camere di commercio”, organiz-zato nell’aprile 1977 dall’Unione regionale delle Camere di commercio dell’Emilia-Romagna. Nel corso del dibattito Sergio Cavina, presiden-te della Regione Emilia-Romagna – esprimendo una posizione concer-tata con le altre Regioni – sottolinea la “necessaria e non dilazionabile ristrutturazione delle Camere di commercio, che deve essere attuata attraverso una riforma di carattere generale, cioè attraverso una legge dello Stato”. Afferma comunque l’opportunità di trovare modalità di collaborazione con il sistema camerale tali da consentire “uno sforzo convergente e unitario nell’affrontare i problemi perché ognuno faccia la propria parte fino in fondo, in un quadro e in una cornice che, salve le singole autonomie, salve le singole funzioni politiche istituzionali di società civile, concorrano a un obiettivo che può essere comune”.

Il mancato varo della riforma ostacola rapporti di collaborazione delle Regioni con il sistema camerale. Fin dai primi passi, la Regione Emilia-Romagna si impegna a potenziare la cultura della program-mazione e l’intervento pubblico, pur lasciando spazio al dinamismo imprenditoriale, soprattutto della piccola e media impresa. I Presi-denti dell’Unioncamere e della Regione, Ernesto Stagni e Guido Fanti, cercano comunque di superare le contrapposizioni che caratterizzano lo scenario nazionale e di trovare, con pragmatismo, convergenze e progetti comuni. Anche se la tendenza della Regione è valorizzare gli enti locali elettivi – concentrando i poteri di iniziativa nei gangli più

“istituzionalizzati” dell’apparato pubblico – e costruire, a un tempo, una rete di agenzie specializzate. Nel maggio 1973 l’Unione regionale partecipa alla costituzione di Ervet, l’ente regionale per la valorizza-zione del territorio. Nel 1975 viene costituita, dopo lunghe trattative, la Sopromer, società per la promozione del commercio estero che do-vrebbe camminare con “tre gambe” operative: Ervet con il cinquanta per cento del pacchetto azionario, mentre l’altra metà viene ripartita in parti uguali tra Unioncamere regionale e Finemiro, struttura finan-ziaria delle Casse di risparmio e delle Banche del monte.

Ma i tempi non sono maturi per garantire un lineare percorso di crescita alle collaborazioni tra Regione e sistema camerale. L’attività operativa di Sopromer, iniziata nel 1976, stenta a decollare: nel 1980 viene messa in liquidazione e da quel momento prendono consistenza le iniziative del Centro estero delle Camere di commercio, che prolun-ga l’operatività come struttura autonoma fino al 2001. Sempre a metà degli anni Settanta, a fronte del consolidamento dell’operatività della

società informatica nazionale Cerved, le Camere dell’Emilia-Romagna chiudono l’Ased, società per azioni costituita nel 1974 per la gestio-ne automatica delle informazioni contenute gestio-negli archivi camerali, e soprattutto per la meccanizzazione degli Albi provinciali degli artigia-ni, utile per la collaborazione con la Regione. A fronte del mancato decollo delle iniziative di partnership con la Regione, l’Unioncame-re si impegna – ricercando il raccordo con il mondo associativo – in molteplici iniziative, alcune ancor oggi d’attualità. Si possono, tra le tante, citare: la Borsa della subfornitura per le filiere più importanti (a cominciare dall’elettromeccanica); la Borsa del recupero dei residui di lavorazione delle attività industriali; la promozione dei consorzi fidi avviata a livello provinciale negli anni Settanta, che porterà alla costituzione nel 1981 dei primi due consorzi regionali, per l’industria e per il commercio, domiciliati presso l’Unione regionale.

Pur restando prevalenti gli ambiti nei quali la Regione e il sistema camerale continuano a procedere separatamente, negli anni Ottanta iniziano a intensificarsi i rapporti di collaborazione su tematiche di comune interesse, relativamente allo sviluppo e alla promozione eco-nomica. Durante le presidenze di Lanfranco Turci e di Luciano Guer-zoni, la Regione apre alla collaborazione con dichiarazioni di disponi-bilità, rallentate dai contrasti sulle nomine ministeriali dei Presidenti camerali. In riferimento alla legge quadro sull’artigianato in gestazio-ne (la legge 443 del 1985), Regiogestazio-ne e Camere di commercio avanzano l’ipotesi di una convenzione per l’espletamento dei compiti di gestione e funzionamento delle Commissioni provinciali dell’artigianato. Il te-ma viene ripreso dai presidenti dell’Unione e della Regione, Roberto Pinza e Luciano Guerzoni: viene perfezionato il rapporto convenzio-nale tra enti camerali e Regione per l’attività delle Commissioni pro-vinciali e per la gestione degli Albi dell’artigianato. A livello nazionale, nel frattempo, il legislatore cerca di inquadrare il ruolo delle Unioni regionali. La legge 317 del 1991 sullo sviluppo delle piccole imprese riconosce e promuove l’attività di monitoraggio delle Unioni, alle qua-li viene assegnata una funzione consultiva nei confronti delle Regioni per l’individuazione del distretti industriali. Nel dicembre 1993 viene finalmente approvata la legge di riordino dell’istituto camerale, che pone le premesse per un più avanzato ruolo in ambito regionale. La legge 580 conferma che le Camere di commercio possono aggregarsi per dare vita ad Unioni – non riconosciute come persone giuridiche – per lo sviluppo di attività che interessano, nell’ambito regionale, più di una circoscrizione territoriale e per il coordinamento dei rapporti con gli enti territorialmente competenti.

Enrico Boselli e Pietro Baccarini stipulano nel 1993 una

conven-zione quadro che traccia linee di programma condivise, nell’alveo degli indirizzi di programmazione regionale; parallelamente si at-tiva un Tavolo per l’individuazione di obiettivi di comune interesse.

La convenzione viene resa operativa attraverso un verbale di intesa sottoscritto nel 1994 dal Presidente della Regione Pier Luigi Bersani:

le parti si impegnano ad affrontare congiuntamente un ventaglio di problematiche che spaziano dai distretti industriali all’informazione economica (con la realizzazione congiunta di osservatori), alla valo-rizzazione della rete degli Eurosportelli, coerentemente con l’obietti-vo della promozione dei sistemi di supporto alle imprese enunciato nell’accordo quadro dell’anno precedente. Nel 1995 l’Unione regiona-le imposta una piattaforma di proposte che prefigura “un nuovo mo-dello di relazioni fra Regioni e sistema camerale”. L’impegno a svilup-pare la partnership con la Regione si intreccia con il rafforzamento delle sinergie all’interno del sistema camerale. Nel 1996 si potenzia il lavoro in rete delle Camere attraverso l’avvio del progetto network.

La legge delega 59 del 1997 spinge la Giunta regionale presieduta da Antonio La Forgia a sperimentare ulteriori rapporti operativi con le Camere di commercio. Ma la modalità di collaborazione più avan-zata tra Regione e sistema camerale viene costruita con la regia di Va-sco Errani, Assessore regionale al turismo: l’intesa per la promozione turistica sottoscritta nel dicembre 1997 (rinnovata per altri quattro anni nel 2002 e nel 2006). Si concretizza un salto di qualità nella col-laborazione con l’istituzione regionale, suscettibile di proiezione in altri ambiti. Attraverso la legge regionale 7 del 1998 sull’organizza-zione turistica, l’intesa trova un inquadramento normativo. L’impian-to della legge contempla: la costituzione di un’agenzia regionale del turismo, sede della concertazione tra gli operatori pubblici e privati;

la trasformazione in chiave privatistica dell’azienda di promozione turistica regionale e l’individuazione come partner di riferimento del-la Regione neldel-la nuova Apt del sistema camerale; del-la partecipazione del sistema camerale, unitamente alle altre istituzioni pubbliche locali, alle Unioni di prodotto per la definizione di progetti di promozione dei segmenti nei quali si articola l’offerta turistica.

Si concretizza dunque una partnership stringente per le iniziative di promozione, sancita dalla partecipazione a una struttura comu-ne (attraverso la trasformaziocomu-ne in chiave privatistica dell’Apt), della quale le Camere di commercio detengono il 49 per cento del capitale sociale, oltre a cofinanziare lo svolgimento delle attività. In tal modo si perviene all’integrazione delle risorse per perseguire una maggior efficacia delle azioni di promozione e contribuire a rivitalizzare il si-stema turistico. Viene per tale via definito un disegno strategico

carat-terizzato dalla partecipazione degli enti camerali a progetti regionali di ampio respiro: le Camere contribuiscono a definire il disegno e si impegnano a privilegiare linee di intervento coerenti con la program-mazione regionale.

Successivamente al varo del decreto legislativo 112 del 1998 sul decentramento amministrativo, la legge regionale n. 3 del 1999 sulla

“Riforma del sistema regionale e locale” indica, per concretizzare la collaborazione tra Regione, sistema degli enti locali e Camere di com-mercio, la “sottoscrizione di accordi per iniziative comuni e programmi, in particolare per attività di analisi e ricerca sulla struttura economica regionale, per il monitoraggio dell’efficacia delle politiche anche nazio-nali sul territorio regionale, nonché per iniziative volte a coordinare le azioni in materia di servizi alle imprese”. Le Camere sono chiamate a concorrere con la Regione “all’integrazione delle politiche economiche con quelle territoriali” e a tal fine “la Giunta regionale promuove riu-nioni periodiche con le Camere e con la loro Unione regionale”.

Nel “Protocollo d’intesa tra la Regione Emilia-Romagna, Unionca-mere e sistema regionale delle CaUnionca-mere di commercio”, sottoscritto il 21 febbraio 2000 e articolato in otto linee di azione (creazione di nuo-ve imprese, lavoro autnomo e professioni, sportello per l’internaziona-lizzazione, programmi promozionali, osservatorio sull’internaziona-lizzazione, progetti per la competitività dei sistemi produttivi locali, sportelli unici per le imprese, informazione economica) si riconosce

Nel “Protocollo d’intesa tra la Regione Emilia-Romagna, Unionca-mere e sistema regionale delle CaUnionca-mere di commercio”, sottoscritto il 21 febbraio 2000 e articolato in otto linee di azione (creazione di nuo-ve imprese, lavoro autnomo e professioni, sportello per l’internaziona-lizzazione, programmi promozionali, osservatorio sull’internaziona-lizzazione, progetti per la competitività dei sistemi produttivi locali, sportelli unici per le imprese, informazione economica) si riconosce

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