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La ricerca della neutralità per le operazioni esenti, attraverso l’impropria applicazione del diritto comunitario, per il rimborso dell’imposta non

Parte II L’esercizio del diritto di detrazione

18. La ricerca della neutralità per le operazioni esenti, attraverso l’impropria applicazione del diritto comunitario, per il rimborso dell’imposta non

detratta

L‟indetraibilità connessa all‟effettuazione di operazioni esenti può comportare notevole pregiudizio per l‟esercizio dell‟attività economica, costituendo un onere tributario svincolato da parametri di ricchezza ovvero di capacità contributiva, ma, prescindendo da siffatte considerazioni, è prevista da specifiche disposizioni normative, residenti, come è stato già evidenziato, nella legislazione italiana, nell‟art. 19, comma 2, del dpr 633/72, riprendendo il medesimo principio dettato dalle direttive comunitarie.

Nell‟ambito della giurisprudenza di merito italiana è stato ipotizzato321 il diritto al rimborso dell‟imposta assolta e non detratta, in alcune circostanze riferite all‟effettuazione di operazioni esenti, sulla base di una particolare interpretazione del diritto tributario comunitario risultante dalle disposizioni della direttiva 77/388 e dai principi della Corte di Giustizia.

Più in particolare, richiamando la sentenza del 25 giugno 1997 sulla causa C- 45/95 della Corte Europea, è stata affermata322 la violazione degli obblighi comunitari e contestualmente il diritto del cittadino ad invocare, anche di fronte al giudice nazionale, la violazione dei predetti precetti, allorché sussista un puntuale accertamento della violazione, in quanto, “Secondo la normativa comunitaria, direttamente applicabile in Italia, sono esenti da IVA le cessioni di beni destinati ad un‟impresa la cui attività è a sua volta esente da tale tributo (nella specie,

321

Ad es. sentenza n. 215 del 4/2/2005 della Commissione tributaria regionale del Lazio, e numerose altre sentenze di merito ivi richiamate.

322 Commissione tributaria provinciale di Roma, sez. XXVIII, sentenza n. 353 del 21/10/2004,

secondo cui “La VI direttiva CEE ha disposto all'art 13, parte B, lett c) l‟esplicita esenzione dall‟IVA per “le forniture di beni destinati esclusivamente ad un‟attività esentata…”, ove gli stessi beni non abbiano formato oggetto di un diritto a deduzione. Lo Stato Italiano ha provveduto solo ad un parziale e del tutto settoriale recepimento della parte della direttiva in questione, venendo meno agli obblighi comunitari. In tutti i casi in cui alcune disposizioni di una direttiva si manifestano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, sia che questo non l‟abbia recepita, sia che l'abbia recepita in modo inadeguato”

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prestazioni di ricovero e cura); peraltro, qualora detta impresa non abbia la possibilità di portare in detrazione dell‟IVA da essa dovuta quella assolta per l‟acquisizione dei beni in parola, dalla quale era (rectius, doveva essere) esente, l‟impresa ha titolo alla restituzione dell‟indebito così formatosi”.323

I passaggi logico-giuridici che costituiscono il comune denominatore sotteso alle richiamate sentenze di merito possono essere riassunti324come segue.

Muovendo dal presupposto della diretta applicabilità della direttiva, sufficientemente incondizionata e precisa, nell‟ordinamento interno; dall‟ulteriore presupposto dell‟accertato inadempimento da parte della Repubblica Italiana, in merito alla sua effettiva applicazione – avvenuto con la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 25/6/1997 (relativamente all‟art. 13, parte B, lett. c) della Sesta direttiva) ed infine dalla efficacia dichiarativa vincolante della richiamata decisione, si è ritenuto spettante il rimborso dell‟Iva assolta sugli acquisti in alcune fattispecie, secondo una interpretazione non condivisa dall‟Amministrazione finanziaria.325

Secondo tale ricostruzione, sarebbe altresì sostenibile la legittimazione del cessionario a richiedere la restituzione dell‟imposta (indebitamente) assolta sugli acquisti nell‟esercizio di un‟attività esente, in quanto tale sarebbe l‟unico rimedio per sopperire al mancato esercizio della detrazione, ed in quanto l‟azione in questione non può che essere rivolta nei confronti dell‟Amministrazione, per ovviare alla preclusione del diritto alla detrazione.326

323 Commissione tributaria regionale del Lazio, sez. I, sentenza n. 18 del 28/02/2005: la sentenza

in questione, peraltro, aveva comunque rilevato l‟avvenuto adeguamento alla direttiva comunitaria per effetto della violazione citata, da parte del legislatore nazionale, con l‟emanazione del D.lgs. 313 del 2/9/1997; con tale norma è stata effettuata l‟introduzione nel sistema delle esenzioni del n. 27quinquies, nel novero delle operazioni esenti (art. 10 dpr 633/72), riferita alle “cessioni che hanno per oggetto beni acquistati o importati senza diritto alla detrazione totale della relativa imposta ai sensi degli artt. 19, 19bis I e 19 bis 2”. In tal modo, il legislatore nazionale si è così adeguato alla violazione accertata con la sentenza del 25/6/1997.

324 Commissione tributaria provinciale di Roma, la sentenza n. 259/20/2006, depositata in data

05/07/2006.

325 Circolare n. 3 del 23 gennaio 2007. 326

Commissione tributaria provinciale di Roma, sentenza n. 259/20/2006, depositata in data 05/07/2006.

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Il meccanismo argomentativo che ha ispirato l‟azione processuale sembrava riportarci all‟antica Scuola Sofistica Greca, affermatasi intorno al III secolo a.c., ove ci si esercitava nel sostenere la verità o veridicità di qualsiasi affermazione attraverso abili ragionamenti. Il sofisma, contenuto nell‟iter logico-giuridico, comune denominatore alle numerose sentenze pronunciate dalla giurisprudenza di merito si può riassumere in tre passaggi:327 in primis, l‟applicabilità diretta della direttiva nell‟ordinamento interno, in quanto sufficientemente incondizionata e precisa, ed il conseguente obbligo di esentare le forniture di beni destinati all'effettuazione di attività esenti (art. 13, parte B, lett. c) della direttiva 77/388); in secondo luogo, l‟accertato inadempimento (con la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 25/6/1997) di tale obbligo da parte della Repubblica Italiana, ed infine la efficacia dichiarativa vincolante di tale ultima decisione. Sulla base di tali considerazioni, il cessionario sarebbe stato inciso di una imposta non dovuta (tesi che si doveva dimostrare). Si è trattato, con tutta evidenza, di una falsa demonstratio della fattispecie sostanziale e processuale.

Ed invero, la lettura “fuorviante” della normativa comunitaria e l‟impropria applicazione della sentenza della Corte hanno trasformato una fattispecie tradizionalmente ricadente nell'art. 19, comma 2 del DPR 633/72 (preclusione alla detrazione in presenza di operazioni attive esenti), in una ipotesi eccezionale che non trova riscontro nel dato fattuale: la lettura del testo della disposizione comunitaria (art. 13, parte B, lett. c) evidenzia che la violazione accertata dalla sentenza della Corte di Giustizia, nella causa C-45/95, non ha alcuna attinenza con la fattispecie concreta oggetto di giudizio.

La fattispecie astratta contemplata dalla norma, invece, riguardava l‟acquisto di beni in regime di esenzione (sulle operazioni attive), il conseguente assolvimento dell‟iva sui beni acquistati; la successiva preclusione alla detrazione trattandosi di operazioni esenti. Nell‟ipotesi di successiva rivendita dei beni questi dovevano essere esentati (in quanto il ciclo dell‟IVA si era già concluso).

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Riassunto, ad esempio, nella sentenza n. 259/20/2006, della CTP di Roma 05/07/2006, richiamante conclusioni raggiunte in analoghi giudizi.

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L‟esenzione è dunque non sui beni acquistati, ma sui beni successivamente ceduti.328

In sostanza, all‟attenzione della Corte di Giustizia nella causa C- 45/95 è stata posta la diversa fattispecie riferita alle rivendite di beni per i quali non era stata operata alcuna detrazione dell‟imposta assolta a monte: in altre parole, l‟esenzione spetta ai beni ceduti dal soggetto che li aveva già utilizzati in attività esenti.

L‟intervento successivo della Corte di Giustizia UE (ordinanza del 6 luglio 2006), forniva la corretta interpretazione normativa, statuendo che “La prima parte dell‟art. 13, parte B, lett. c), della sesta Direttiva deve essere interpretata nel senso che l‟esenzione da essa prevista si applica unicamente alla rivendita di beni preliminarmente acquistati da un soggetto passivo per le esigenze di una attività esentata in forza del detto articolo, in quanto l‟imposta sul valore aggiunto versata in occasione dell‟acquisto iniziale dei detti beni non abbia formato oggetto di un diritto a detrazione”: l‟esenzione de qua era rivolta esclusivamente ai soggetti che – “non avendo potuto detrarre l‟IVA corrisposta al momento dell‟acquisto del bene in ragione del regime di esenzione applicabile all‟attività dagli stessi svolta – successivamente decidono di rivendere a terzi detto bene”. L'esenzione si applica dunque alla successiva rivendita dei beni preliminarmente acquistati per le esigenze di un‟attività esentata, e non riguarda invece gli acquisti destinati all'effettuazione di operazioni esenti.329

Una parte minoritaria della giurisprudenza, aveva, per la verità, ben inquadrato la soluzione, evidenziando l'infondatezza della violazione sulla base delle stesse testuali motivazioni della Corte,330 rilevando altresì che la norma dettata dall‟art.

328 Tale soluzione era stata individuata da una parte minoritaria della giurisprudenza di merito

(Sentenza n. 87 del 15/11/04 della Commissione tributaria provinciale di Modena)

329 Dopo il chiarimento della Corte e l'intervento ufficiale dell‟Agenzia delle Entrate, che con la

circolare n. 3 del 27/01/2007 ha ritenuto la questione definitivamente risolta, la giurisprudenza di merito ha “corretto il tiro”, superando i precedenti orientamenti. Come ha evidenziato CENTORE,

Il rimborso Iva negato ai soggetti esenti: un tema semplicemente complicato, in Rivista di

giurisprudenza tributaria, 11/2008, 957 ss., la questione era per la Corte talmente pacifica da essere risolta con ordinanza e non con sentenza.

330

Antesignana della pronuncia della Corte la sentenza n. 137 del 6/12/2005 della Commissione tributaria Regionale della Lombardia, sez. XXVIII.

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13, parte B, lett. c) della VI direttiva 77/388/CEE “non ha natura premiale nei confronti di forniture di beni destinati ad essere impiegati per realizzare particolari operazioni (esenti); al contrario è finalizzata ad evitare una doppia imposizione al momento della dismissione di beni che sono stati acquistati senza aver potuto esercitare il diritto a detrazione. La lettera c) della parte B dell‟art. 13 vuole solo evitare la doppia imposizione, non certo creare una “aliquota zero” con integrale possibilità di rimborso dell‟IVA pagata a monte”. Ed infatti, “per valutare sotto altro profilo l‟incoerenza nell‟ambito del sistema, si deve rammentare che l‟art. 17 della Direttive 77/388/CEE (per l‟Italia l‟art. 192 del decreto IVA) disciplina l‟esercizio del diritto alla detrazione dell‟imposta pagata al momento dell‟acquisto o dell‟importazione di beni e servizi, escludendolo per gli acquisti destinati ad attività esenti. Questa norma sarebbe priva di senso in quanto non si porrebbe più il problema della detraibilità o meno dell‟iva inerente gli acquisti di beni destinati ad attività esente poiché le relative operazioni sarebbero immuni dal tributo.”331

Pertanto, il travisamento della normativa comunitaria e l‟impropria applicazione della Sentenza della Corte hanno trasformato una fattispecie tradizionale in una ipotesi eccezionale che non trova riscontro nel dato fattuale, in quanto la disposizione comunitaria dettatta dall‟art. 13, parte B, lett. c) ed oggetto della violazione accertata dalla sentenza della Corte di Giustizia, nella causa C- 45/95, non ha alcuna attinenza con le azioni processuali finalizzate al rimborso dell‟Iva assolta e non detratta in conseguenza del regime di esenzione.

La fattispecie astratta prevista dalla norma comunitaria e la cui violazione è stata accertata dalla Corte di Giustizia, riferita all‟art. 13, parte B, lett. c) della direttiva 77/388/CEE, in realtà, prevedeva la sussistenza dei seguenti presupposti:

a) Acquisto di beni in regime di esenzione (sulle operazioni attive); b) Assolvimento dell‟iva sui beni acquistati;

c) indetraibilità dell‟iva

331 In senso conforme, Commissione tributaria Regionale di Roma n. 99/6/2005, del 22/09/2005.

Con la sentenza n. 276/34/06, del 25 ottobre 2006, la Commissione Tributaria Regionale di Roma, prendeva atto delle conclusioni dei giudici comunitari affermate nella sentenza del 6 luglio 2006.

168 d) successiva rivendita dei beni

e) conseguente esenzione dell‟iva sui beni rivenduti (il ciclo dell‟IVA si era concluso al punto b).

L‟esenzione riguarda dunque i beni ceduti dal soggetto che li ha già utilizzati in attività esenti.

La nuova Direttiva IVA 2006/112/CE332, all'art. 136, lettera a) non pone più dubbi per effetto della nuova impostazione letterale: la norma in questione, infatti, dispone l‟esenzione per: “Le cessioni di beni, già destinati esclusivamente ad un‟attività esente (…) ove questi beni non abbiano formato oggetto di un diritto a detrazione”: non si tratta di una innovazione, atteso che la nuova direttiva si presenta come “rifusione” delle vecchie disposizioni, che di fatto sono rimaste inalterate, salvo una più razionale disposizione.333 Le diffuse azioni processuali richiamate, tuttavia, seppur infondate con riferimento al dato normativo, pongono in evidenza le criticità conseguenti alla preclusione del diritto alla detrazione per l'imposta afferente operazioni esenti, in relazione alla natura dell‟imposta, alle sue finalità, ed alle asimmetrie distorsive in relazione ai principi di neutralità, doppia imposizione, capacità contributiva, e imposizione sul consumo.

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in vigore dal 1 gennaio 2007.

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