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La ricostruzione teorica coerente con la “ratio” dell'Iva: la qualificazione d’imposta sul consumo

Le predette ricostruzioni teoriche sulla natura dell‟imposta, sembrano, per alcuni aspetti, sovrabbondanti rispetto alla considerazione, presente in una certa corrente dottrinaria, secondo cui tutte le imposte indirette e, dunque, tutte le imposte sulle cifra d‟affari, rivestano, direttamente od indirettamente, la natura di imposte sui consumi.119 La qualificazione di imposta generale sul consumo, peraltro, per l‟imposta sul valore aggiunto in ambito comunitario è apparsa ancora più netta, in quanto, attraverso la scelta legislativa di prevedere l‟esonero, ovvero la deduzione immediata, dal carico impositivo di tutti i beni strumentali, ivi compresi quelli durevoli, quale specificazione di una imposta che dovesse gravare esclusivamente sul consumo, è stata consapevolmente voluta per l‟Iva comunitaria, come si può riscontrare dall‟esame dei lavori preparatori e come risulta, peraltro, dalla testuale formulazione delle direttive: l‟art. 2 della I direttiva definisce appunto l‟Iva come un‟imposta generale sul consumo; la presenza di tale definizione nella disposizione normativa ha superato lo scoglio dei pareri espressi dagli studiosi contrari all‟opportunità di inserirla nel testo.120

La tesi, ripetutamente prospettata in dottrina,121 secondo cui il presupposto dell'Iva non sarebbe il consumo si snoda attraverso una serie di considerazioni che presentano, alla luce della ricostruzione comunitaria, della struttura e della finalità del tributo, carenze logico-sistematiche. Ed infatti, si parte con l‟affermare che è il

119 Cfr., A. SCOTTO, Relazione sui problemi fiscali del mercato Comune nei confronti di

un’Associazione fra i paesi O.E.C.E., pubbl. dalla “Riv. Di Politica Economica” nel numero

speciale dedicato agli atti del IX Convegno di Studi di Economia Politica Industriale (genn. febbr., 1959), pag. 308. Secondo BERLIRI, invece (art. su Il Sole-24 Ore del 10 marzo 1968) solo l‟Iva va considerata come imposta sui consumi e non già tutte le imposte sulla cifra d‟affari. L‟Ige, ad es., non sarebbe stata tale perché trovava la sua giustificazione non nella capacità contributiva del soggetto passivo ma nel godimento di pubblici servizi.

120 V. Relaz. SEUFFERT (Docum. Seduta del Parlamento Europeo n. 1, 10 febbraio 1966), p. 11,

dove si osservava che la qualificazione era superflua e che, del resto, l‟imposta poteva essere definita, forse altrettanto giustamente, come un‟imposta generale sugli imprenditori.

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Per una disamina della stessa, cfr.; SALVINI, Rivalsa, detrazione e capacità contributiva

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soggetto passivo di diritto ad manifestare una sua propria capacità contributiva (l'inaccettabilità di tale tesi è facilmente rilevabile ove si consideri che l'imposizione per tale soggetto, nelle ipotesi fisiologiche, è sempre nulla, quindi l'imposta sotto tale aspetto sarebbe inesistente – fatte salve le eccezioni ed in particolare le ipotesi di indetraibilità). Sotto tale profilo, dunque, si procede con il ricollegare alle singole operazioni economiche la manifestazione di capacità contributiva che l‟imposta va a colpire, e l‟irrilevanza dell‟obbligo di rivalsa, che atterrebbe unicamente alla sfera dei rapporti privati, senza alcuna natura pubblicistica e senza ruolo nella struttura dell'imposta. Ma tali assunzioni non appaiono condivisibili, in primo luogo perché la rivalsa è obbligatoria in virtù di una norma tributaria, in secondo luogo perché non si comprende quale sarebbe il titolo giustificativo, privatistico o pubblicistico che si voglia, per richiedere la corresponsione dell‟imposta ad un terzo (il soggetto che subisce la rivalsa) se non per realizzare lo schema dell'imposta che è quello di trasferirla sino al consumatore finale. Una siffatta ipotesi ricostruttiva, dunque, non è condivisibile. Le teorie che vedono il presupposto impositivo realizzato dal consumo, in ossequio al principio di neutralità, assicurato dagli istituti della rivalsa e della detrazione, rispettano il modello teorico di funzionamento dell'imposta.

Non sono dunque condivisibili le tesi, fondate sul particolare e complesso meccanismo di funzionamento dell'imposta che comporta la dissociazione tra contribuente di diritto e contribuente di fatto, e sulle distorsioni presenti nell'impianto normativo (ad esempio, le limitazioni alla detrazione), le quali, dopo aver evidenziato la non piena idoneità del sistema a rispettare il modello economico-sostanziale finalizzato a tassare il consumo, a causa del mancato funzionamento della rivalsa e/o della detrazione, hanno portato a far sostenere che il presupposto dell'Iva deve essere individuato nell'attività del soggetto obbligato

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nei confronti dell'erario122 ovvero nel fatto complesso costituito dalla massa di operazioni attive e passive poste in essere nel periodo di imposta considerato.123 Analogamente, il complesso meccanismo articolato sulla determinazione dell'imposta per masse ha fatto ritenere che il presupposto impositivo soggettivo non debba essere individuato nella persona del consumatore finale e che il presupposto impositivo oggettivo debba essere individuato nella differenza tra l'imposta sulle vendite e l'imposta sugli acquisti.124

L'abbandono del modello teorico di imposta, del suo obiettivo sostanziale e naturale ha comunque fatto ritenere che i soggetti passivi di imposta siano, a tutti gli effetti e sulla base del dato giuridico formale, i soggetti di diritto125 con la ulteriore conseguenza che il presupposto oggettivo del tributo sia costituito dalla realizzazione delle singole operazioni imponibili.126

Le suddette ricostruzioni non sono condivisibili, poiché sono strettamente legate a modelli tecnico-giuridici necessari al corretto funzionamento dell'imposta, il quale è il mezzo per assicurarne il reale funzionamento, il cui fine è, effettivamente, solo ed esclusivamente la tassazione del consumo finale. Le stesse, dunque,

122 Come ha evidenziato M. GIORGI, cit., 34, che richiama, in tal senso, DE MITA, Principi di

diritto tributario, Milano, 2000, pag. 378, secondo cui l'imposta sul valore aggiunto può essere

qualificata come un'imposta sulla produzione.

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E' stato altresì ipotizzato che il presupposto del tributo è la “sintesi algebrica” delle operazioni attive e passive effettuate dal soggetto passivo nel periodo d'imposta da COMELLI, Iva nazionale

e Iva comunitaria, Padova, 2000, pag. 41 e ss., TABELLINI, I professionisti e l'Iva, Milano, 1973,

pagg. 122-123.

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Come ha evidenziato M. GIORGI, cit., 35, nota 89, sotto tale aspetto il presupposto Iva sarebbe simile al presupposto Irap. Ma tale tesi è stata smentita dalla Corte di Giustizia UE, che nella sentenza del 3 ottobre 2006, sulla causa C-475/03 Banca di Cremona, ha negato che l'Irap sia contraria al diritto comunitario in quanto realizzi un'imposta sulla cifra d'affari con le medesime caratteristiche dell'Iva.

125 BOSELLO, Appunti sulla struttura giuridica dell'Iva; in Riv. Dir. Fin., 1978, I, pag. 420;

BOSELLO, L'imposta sul valore aggiunto. Aspetti giuridici, Bologna, 1979, pag. 29; G. INGROSSO, Le operazioni imponibili ai fini dell'Iva, in Dir. Prat. Trib., 1973, p. 449 e ss., MICHELI, L'Iva: dalle direttive comunitarie al decreto delegato, in Opere minori di diritto

tributario, Milano, 1982, II, Pag. 427 ss., PERRONE CAPANO, L'imposta sul valore aggiunto,

Napoli, 1977, pag. 422 ss., SAMMARTINO, Profilo soggettivo del presupposto dell'Iva, Milano, 1979, pag. 19 e ss.

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Sotto tale aspetto, come ha evidenziato GIORGI, cit., 36, il diritto-obbligo di rivalsa costituirebbe esclusivamente un istituto relativo alla sfera privata del rapporto cedente-cessionario.

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desumono la natura dell‟imposta puntando l‟attenzione sugli elementi che ne costituiscono il mezzo, e non il fine.

In sostanza i soggetti economici, soggetti passivi formali del tributo, sono per definizione dei sostituti, o se si preferisce dei “mandatari”, per conto del fisco, per imporre il tributo sul consumo, ma non sono destinatari dello stesso. Accettare una diversa conclusione significa accettare un‟altra imposta, non sul consumo ma sulla produzione, disattendere il principio di neutralità, e violare il principio di capacità contributiva. Probabilmente, proprio a causa di tali impostazioni, non sono mai state compiutamente affrontate e risolte le problematiche oggetto di indagine nel presente lavoro con particolare riferimento all‟accezione soggettiva della neutralità ed alla sua violazione nelle ipotesi di limitazioni alla detrazione. Resta pacifico che la definizione dei presupposti dell‟Iva (oggettivo e soggettivo) è ancorata, nello stesso tessuto normativo, al dato giuridico formale, ma comporta una evidente distonia rispetto ai soggetti economicamente incisi dal tributo ed alle finalità dello stesso.

Dovremmo dunque evidenziare una dissociazione tra soggetto giuridicamente tenuto agli obblighi formali, e soggetto economicamente inciso dall'imposta, e determinare un ulteriore passaggio logico in virtù del quale la rilevanza di quest‟ultimo soggetto non è meramente economica, ma diventa a sua volta giuridica quale soggetto passivo portatore di una sua propria capacità contributiva, mentre la rilevanza giuridica del soggetto formale diventa economica in tutte quelle ipotesi in cui egli sopporti “economicamente” il peso del tributo, contrariamente allo spirito economico-giuridico del tributo che lo avrebbe voluto esonerare. Ecco che, così argomentando, la distonia tra soggetto di fatto e soggetto di diritto viene ad emergere.

Ed infatti, assumendo lo scambio quale indicatore di capacità contributiva, l'istituto della detrazione viene svilito di significato e l‟acquisizione da parte dell'erario dell'imposta indetraibile è più agevolmente accettabile, in quanto è lo scambio il mero fatto economico cui l'imposta si ricollega, mentre assumendo la

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tesi dell'Iva quale imposta sul consumo sarebbe difficile giustificare il carico dell'imposta indetraibile in capo al soggetto finale.

Tali ricostruzioni teoriche, dunque, sono fondate più sulle distorsioni nel meccanismo di funzionamento dell'imposta che sul naturale funzionamento dello stesso, mentre invece la detrazione (mezzo) e la neutralità (fine) per i soggetti Iva non consentono di ipotizzare un presupposto impositivo diverso dal consumo (da parte di un consumatore, inteso quale soggetto che soddisfa un bisogno attraverso una spesa).

L‟imposizione al consumo presuppone che l‟Iva pagata sui beni di investimento sia ammessa in detrazione in misura integrale, anche da un punto di vista macroeconomico, pertanto anche sotto tale profilo l‟imposta deve gravare sul consumo.

A tale conclusione non si addivenne pacificamente in quanto, con riferimento alle prime versioni dell‟imposta si osservava che, sotto un profilo macroeconomico, posto che la somma dei valori aggiunti degli operatori privati e pubblici costituisce il reddito nazionale lordo, nessuna delle versioni di Iva ipotizzate incideva precisamente sul reddito nazionale lordo,127 in quanto emergeva128 la tendenza dell‟Iva a tassare l‟intero reddito nazionale netto (ad esclusione di quello della pubblica amministrazione) e per tale ragione l‟imposta, più correttamente, si sarebbe dovuta definire “imposta sul prodotto netto” in luogo d‟imposta sul valore aggiunto. Proprio per tali motivi, in dottrina, prima ancora dell‟ingresso dell‟imposta nel territorio comunitario, si contestava la denominazione adottata129

trattandosi non di imposta sul valore aggiunto ma, più propriamente, avendo riguardo alla reale natura del tributo, di “imposta generale sui consumi mediante

127 In tal senso, CIANI, L’introduzione dell’imposta sul valore aggiunto nell’ordinamento

tributario italiano, Milano, 1975, 37.

128 C. COSCIANI, L’Imposta sul valore aggiunto, cit. pgg. 55 e 70. 129

A. BERLIRI, Meditando sulla istituenda imposta sul valore aggiunto, in “Giurisprudenza delle Imposte”, ottobre-dicembre 1967, pagg. 697-722, in senso analogo, J-P. WINANDY, Manuel

de la TVA au Luxembourg, 2005, Luxembourg, 37 secondo cui a ciascuno stadio è soggetto

all‟imposizione non il valore aggiunto, ma l‟aumento di prezzo generato in quello stadio: la differenza tra i due concetti emerge laddove l‟aliquota d‟imposizione ai differenti stadi successivi sia differente.

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pagamenti frazionati”, ovvero, ponendo in luce l‟accento sulla circostanza che anche il consumo di beni di provenienza estera era soggetto all‟imposta, di “imposta sul valore delle risorse disponibili per i consumi interni”.130

Si contestava così anche la stessa denominazione dell‟imposta ma ciononostante si rilevava quantomeno che tali aspetti erano “eccezionali” rispetto alle finalità precipue del tributo, i quali pertanto non dovevano essere esagerati al fine di non cadere in equivoci e non commettere errori: “bisogna pertanto contentarsi di constatare che la struttura della imposta è stata consapevolmente architettata in maniera tale da facilitare in ogni modo la traslazione in avanti: e questo ci sembra sufficiente per qualificarla come imposta sui consumi.”131

La conclusione secondo cui la ratio dell'Iva è la tassazione del consumo, è dunque quella preferibile, nonostante le diverse ricostruzioni teoriche dell'Iva fondate sul diverso rilievo accordato agli istituti della rivalsa e della detrazione.132

13. I due criteri ricostruttivi dell’imposta: il profilo giuridico-formale ed il

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