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Il disagio mentale nell’esercito alla vigilia del Primo Conflitto Mondiale (1909-1914)

2. Un «accesso confusionale» da psicodegenerazione familiare: il caso di Antonio S.

Se nel caso del soldato Francesco C. il processo di valutazione e di licenziamento è stato abbastanza rapido, favorito nel suo sviluppo da una serie di elementi quali le lettere del padre, la natura dei sintomi lamentati e la più generale situazione familiare, in altri casi l’elemento in grado di contestualizzare la situazione diagnostica è ricercato con maggiore insistenza nella predisposizione familiare. In queste circostanze la prassi di valutazione e dimissione può essere ancora più rapida, come nel caso del soldato Antonio S., entrato il 29 giugno 1913 e dimesso il 13 luglio 1913471. Al momento del ricovero ha 20 anni, è celibe e risulta aver frequentato le scuole elementari. Non è mai stato ricoverato in manicomio472, è di buona costituzione e non rifiuta il cibo. Non si hanno notizie di problemi psichiatrici occorsi durante l’infanzia o l’adolescenza, ma una sorella è stata ricoverata in manicomio473, ciò consente di contestualizzare il caso alla luce del determinismo fisiologico familiare. Infatti il riferimento a parenti ricoverati in manicomio facilita l’applicazione delle rassicuranti categorie del “darwinismo sociale”, anche quando – come nel caso presente – il potenziale alienato sostiene di non avere sofferto «di malattie degne di menzione, che non è bevitore, non si è infettato di morbi venerei»474. È questo, forse, il tratto più evidente di un lombrosismo che, al prezzo di una rappresentazione stereotipata degli studi dell’autore dell’Uomo delinquente, consente a medici, psichiatri e criminologi di identificare la malattia mentale come espressione di quelle classi disagiate, e potenzialmente pericolose, che per struttura ontologica non tollerano i doveri sociali, come il servizio militare.

Antonio è il caso tipico di soldato che fa esperienza della malattia mentale in caserma. Proviene dal 33° reggimento fanteria di Cuneo e secondo le notizie fatte pervenire dalla caserma «ha sempre

prestato lodevole servizio ed è sempre stato calmo e disciplinato»475. Solo recentemente, secondo

il medico militare, «si mostra “agitato-taciturno, sfugge la compagnia dei commilitoni e di notte si alza e va in giro per le camerate borbottando frasi sconnesse. Piange e si lagna di forte cefalea»476. In manicomio i medici che lo visitano lo giudicano «aperto, simpatico»477. Non mostra neanche

problemi d’orientamento nello spazio e la sfera intellettiva risulta essere «normale»478. Insomma,

non presenta nessuna di quelle caratteristiche fisiognomiche o posturali in grado di farlo inquadrare nelle categorie degli “anormali” o dei “delinquenti nati”. Il suo rifiuto della vita militare “deve” allora avere un’origine familiare, da qui il riferimento alla sorella ricoverata in manicomio. Per i medici la

stirpe è sicuramente malata e ciò spiega l’«accesso confusionale»479 in un soggetto che, per altri

versi, è del tutto normale. Infatti durante il periodo di ricovero è tranquillo, «libero di turbe sensoriali»480, risponde alle «interrogazioni, non sa spiegarsi il motivo che l’ha condotto in manicomio»481. Riferisce di alterchi con i commilitoni e non sembra contento di trovarsi nello

471 ASONR, Archivio sanitario, cat.9 - classe 2, c.c. matr. n. 8719. 472 Ivi, Polizza medica.

473 Ibidem.

474 Ivi, Anamnesi in Tabella nosografica. 475 Ibidem

476 Ibidem.

477 Ivi, Esame psichico in Tabella nosografica. 478 Ibidem.

479 Ivi, Diagnosi in Tabella nosografica.

480 Ivi, Diari psichici e fisici in Tabella nosografica, 3 Luglio 1913. 481 Ibidem.

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stabilimento, tanto che ritiene i superiori responsabili di aver affrettato il suo ricovero «memori dei precedenti familiari»482. La psicodegenerazione familiare, attraverso lo stigma dell’amoralità ereditaria, consente di includere nella categoria dei caratteri anormali anche i soggetti come Antonio che durante il ricovero appare «tranquillo, rispettoso, buono, servizievole»483. La conclusione della sua storia clinica, però, non può che essere obbligata. Infatti, alla fine del periodo d’osservazione, viene ritenuto fragile, debole di carattere, segnato dalla traccia familiare ma, in definitiva, non in condizione tale da meritare il ricovero definitivo, quindi non è «da ritenersi di

competenza manicomiale»484. Casi come questo, che non vengono inquadrati come pericolosi per

la collettività, sono gestiti cercando di rispedire quanto prima il soldato in caserma, sia per non gravare sulla precaria situazione manicomiale, sia per non favorire la diffusione di strategie che individuano nella struttura asilare il luogo attraverso cui sfuggire ai propri doveri verso la nazione.

Scoraggiare i simulatori, correggere gli anormali, allontanare gli elementi in grado di contaminare il corpo vivo dell’esercito-nazione, sono dunque tre elementi di una comune politica di difesa sociale che, pur nella diversità degli esiti – il reintegro in caserma in alcuni, l’allontanamento definitivo in altri –, segnano il volto disciplinare dell’alienismo che si occupa dei militari in questa fase. Ciò rende gli psichiatri sempre più come un baluardo della società contro l’elemento degenerante. E in ordine a ciò i manicomi assumono la funzione di spazi correttivi entro i quali correggere, nel più breve tempo possibile, il soldato-degenerato. Tutto questo, come visto, si iscrive in una congiuntura delicata per il neonato stato nazionale, contraddistinta dal cambiamento della fisionomia secolare dell’istituzione militare. Lo sottolinea efficacemente Lorenzo Benadusi:

«Il vento della modernità che soffiava nella società colpiva inevitabilmente anche le istituzioni militari e penetrava persino all’interno delle caserme. Adeguarsi al cambiamento, in questa delicata fase di transizione, significava trovare un difficile bilanciamento tra vecchio e nuovo, perché le moderne tecnologie belliche imponevano una riforma strutturale delle forze armate non solo nelle dotazioni militari. Ormai in Europa e negli Stati Uniti gli eserciti stavano diventando organismi sempre più articolati che richiedevano una gestione complessa di mezzi e uomini, nel caso dell’Italia poi il processo di cambiamento coincideva con il consolidamento ancora in corso del nuovo stato nazionale e con i vincoli imposti dagli accordi internazionali. L’introduzione della coscrizione obbligatoria aveva immesso nell’esercito una massa di coscritti da organizzare, disciplinare ed educare; migliaia di giovani in divisa la cui gestione comportava che anche in ambito militare si adottassero gli stessi criteri manageriali usati in ambito civile, con una inevitabile burocratizzazione del sistema, ma allo stesso tempo con una più attenta divisione del lavoro e un impiego più razionale delle risorse. Il processo di democratizzazione che trasformava il cittadino in soldato portava gioco forza a cercare un nuovo equilibrio tra professionalizzazione e coscrizione di massa».485

Questo difficile equilibrio fece della questione militare, nell’Italia unita, non soltanto un elemento di tensione, ma anche uno degli ambiti in cui emersero problemi di lunga durata, cui la politica cercò di offrire risposte e soluzioni. In altre parole, come sintetizzato da Paolo Cammarano:

«l’esercito divenne il primo serio problema con cui si misurò la classe dirigente italiana, un problema che emblematizzava i diversi nodi irrisolti del Risorgimento e in particolare il

482 Ibidem.

483 ASONR, Archivio sanitario, cat.9 - classe 2, c.c. matr. n. 8719, Diari psichici e fisici in Tabella nosografica, Luglio 1913. 484 ASONR, Ivi, Foglio di licenziamento definitivo, 11 Luglio 1913.

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completamento dell’unificazione, l’omogeneizzazione politica ed amministrativa del Mezzogiorno e il ruolo del garibaldinismo e della democrazia all’interno del nuovo stato»486.

Gestire la transizione del vecchio modello di esercito regionale – quale era quello sabaudo – ad una struttura nuova, aperta, in grado di confrontarsi con le altre potenze sullo scacchiere internazionale significava anche “curare” le forme e i modi dell’ingresso della borghesia in caserma. E ciò si tradusse, soprattutto, in una complessa operazione di gestione della contaminazione tra i codici simbolici dell’universo borghese, quello contadino e quello delle forze armate. Ne derivò una ridefinizione più generale – e per molti versi traumatica – della grammatica che diede forma all’universo simbolico dell’esercito. E proprio in quest’ottica deve essere letta, e contestualizzata, la stretta sulla gestione psichiatrica dell’anormalità all’interno della comunità militare, adesso non più “protetta” dalla tradizionale vocazione isolazionista delle forze armate. Quando Placido Consiglio, nel 1911, affronta il problema dei soldati pazzi nei termini di «fermenti pericolosi di contagio»487 sta evidenziando proprio il punto di vista di chi teme per la tenuta dello spirito di corpo, minacciato nel suo elemento essenziale, vale a dire la configurazione bio-psichica del corpo-militare.

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