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Esperienza bellica, follia e soldati internati in manicomio (1915-1919)

4. Agitazione e impulsività.

Tra gli elementi che, fin dalla riorganizzazione del Regio Esercito a seguito dell’introduzione della leva obbligatoria, destano maggiori preoccupazioni nelle autorità militari, vi è la possibilità che tra i coscritti si possa celare un “delinquente nato” o un “debole di mente”. Un soggetto che, a causa di

1040 Ibidem. 1041 Ibidem.

1042 ASONR, Archivio sanitario, cat.9 - classe 2, c.c. matr. n.10634, tabella nosografica di P. Rosario, Anamnesi. 1043 Ivi, tabella nosografica di P. Rosario, Diari psichici e fisici, Aprile 1918.

1044 Ivi, tabella nosografica di P. Rosario, Diari psichici e fisici, 28 Luglio 1918. 1045 Ibidem.

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predisposizione ereditaria o di vizio degenerativo, complice la disponibilità di armi in caserma, faccia strage di commilitoni e ufficiali, come accaduto con il già citato «caso Misdea». Per tale ragione – come abbiamo visto – l’attenzione per l’individuazione di questi soggetti è molto alta prima del conflitto. La situazione cambia durante la guerra, quando più difficile è discriminare tra i simulatori e i “deboli di mente” e maggiori sono le esigenze di poter contare su tutte le forze disponibili. Così, anche nei casi in cui il disagio dei soldati prende la forma dell’agitazione, dell’impulsività, degli “accessi acuti”, si attende che la fase di crisi passi e si procede con le dimissioni in prova, secondo la dicitura di «migliorato» che, però, di fatto corrisponde a un licenziamento senza appello, che non prevede visite di controllo, a meno che non emergano ulteriori, evidenti, segni di pazzia che giustifichino un nuovo ricovero. In altri casi, semplicemente, il soggetto viene dimesso come «guarito», dove questo riferimento deve essere inteso sempre in relazione alla fase acuta dei sintomi che lo hanno condotto in manicomio e non in riferimento alla costellazione sintomatica che viene ritenuta costitutiva e, dunque, in ultima istanza immodificabile. Come nel caso del soldato Giovanni V., classe 1894, originario di Pietrabruna, appartenente al 1° Reggimento Alpini,

distaccamento di Villanuova, che giunge a Racconigi il 7 Novembre 19171046.

Il militare una mattina, senza alcun motivo apparente, si barricava «in camerata e non permetteva ad alcuno d’entrare né voleva assolutamente uscire»1047. Accorso l’Ufficiale Medico viene informato che «alla ore tre detto militare aveva fatto alzare con minacce tutti i compagni per rimanere solo e da allora non l’avevano più veduto»1048. Temuto il peggio il Colonnello Medico decideva di entrare «improvvisamente in camerata»1049 e qui trovava il militare che chiedeva di essere lasciato solo. Il rapporto del Colonnello prosegue così: «Richiesto se voleva seguirlo ha minacciato. Durante il giorno ha minacciato con un coltello i compagni, poi ha afferrato un fucile ha incastrato la baionetta, certo con idee poco buone, ma è stato disarmato»1050. Il soggetto è chiaramente pericoloso e l’eventualità che si ripetano eventi delittuosi come quelli che videro protagonisti i soldati Misdea o Pietro Radice non appare remota. Nonostante ciò, dopo gli eventi della notte e della mattina, il militare viene lasciato libero di girovagare in caserma, di minacciare con un coltello un commilitone e di prendere un fucile e armarlo con la baionetta.

La vicenda e la sua gestione da parte delle autorità militari indicano non soltanto che i livelli di sicurezza in caserma non sono troppo rigidi, ma anche che l’eco delle stragi compiute dai soldati alla fine dell’Ottocento si è affievolito, tanto che l’atteggiamento del giovane non provoca l’adozione di misure di contenimento particolari. Sempre il Colonnello Medico prosegue nel suo rapporto

sostenendo che «tanto per non eccitarlo questo Comando l’ha fatto sorvegliare»1051. Sorvegliare

dunque ma non rinchiudere. Dalle notizie fornite da «un graduato che lo conosce da quando è sotto le armi»1052 risulta che «nella famiglia del militare in parola si hanno precedenti di malattie mentali»1053. Che la situazione mentale del militare avesse già destato l’attenzione dei superiori lo dimostra un fatto: «durante i 12 mesi di fronte detto militare non fu mai inviato in trincea perché riconosciuto dai superiori come tipo strano e di poco affidamento»1054. Inoltre sempre per «alienazione mentale» venne inviato in osservazione dal fronte all’ospedaletto da campo.

1046 ASONR, Archivio sanitario, cat.9 - classe 2, c.c. matr. n.10306.

1047 ASONR, Archivio sanitario, cat.9 - classe 2, c.c. matr. n.10306, 1 Reggimento Alpini. Distaccamento di Villanova, Rapporto sui

sintomi di pazzia de soldato V. Giovanni, (cl.94-18058).

1048 Ibidem. 1049 Ibidem. 1050 Ibidem. 1051 Ibidem. 1052 Ibidem. 1053 Ibidem. 1054 Ibidem.

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Si procede con l’invio presso l’Ospedale Militare di Riserva di Mondovì. Qui il soldato viene visitato il 7 di Novembre del 1917 e viene riconosciuto affetto da «alienazione mentale (mania di persecuzione)»1055. Il Capitano Medico, durante la visita, sostiene di «averlo trovato in preda a delirio furioso» e dunque «pericoloso a sé e agli altri», il criterio necessario per l’invio in manicomio. Lo stesso giorno il militare viene inviato a Racconigi dove «non parla, non risponde alle domande ma pronuncia solo qualche frase sconnessa. Contegno passivo. Qualche volta è in atteggiamento di ascolto, come in preda ad allucinazioni uditive, distacco dall’ambiente»1056. Il decorso clinico sembra andare nella direzione delle idee deliranti paranoiche, contraddistinte dal sospetto e dalla preoccupazione causata da uno stato di minaccia continuo e pervasivo. Come sostiene l’alienista Leonardo Bianchi, in simili condizioni «l’uomo si circonda di opportune precauzioni per non cadere nella rete che gli avversari gli tendono»1057, percepisce pericoli ovunque e in ogni soggetto intravede una minaccia. Tutto ciò potenzialmente aumenta il suo livello di pericolosità e per questo è necessaria una sorveglianza continua.

Anche nei giorni seguenti persiste la condizione di alterazione mentale, parla poco e quando lo fa racconta di essere perseguitato e «che quelli che l’hanno accompagnato al manicomio lo prendevano per il collo, tentavano di ammazzarlo»1058. Il 22 del mese tenta di evadere. Dopo quest’avvenimento non ci sono ulteriori indicazioni nel diario clinico, c’è però una nota del direttore Cesare Rossi, datata 18 Dicembre 1917, quindi un mese scarso dopo il tentativo di evasione, in cui si afferma che «il soldato V. Giovanni è assai notevolmente migliorato e perciò […] in grado di essere

dimesso da manicomio»1059. Ciò avviene il 25 gennaio 1918, quando il soldato viene licenziato con

il giudizio di «guarito». Il caso evidenzia come durante il conflitto, in particolare nelle fasi più delicate e, comunque a partire dal 1917, il criterio di pericolosità sociale non venga più adottato rigidamente per decidere del periodo di internamento dei soldati. E questo neanche nelle circostanze più gravi in cui il soggetto si è reso protagonista di tentativi di ferimenti e usi impropri delle armi. Ciò rappresenta forse la rottura più evidente all’interno della storia delle politiche di trattamento dell’alienazione militare, almeno per come si è configurata dopo l’adozione della leva obbligatoria. La condizione emergenziale fa venir meno ogni altra considerazione e la necessità da parte dei diversi corpi militari di avere uomini a disposizione appare essere adesso il criterio di riferimento per le politiche di trattamento dell’alienazione mentale. In questo senso il conflitto ha veramente rappresentato un momento di rottura di dinamiche delineatesi in un trentennio di storia dell’Italia unita.

La sconnessione rispetto alla realtà vissuto da molti soldati assumeva forme diverse. Così spesso nelle loro reazioni i soldati continuavano a rivivere ciò che avevano patito in battaglia. Essi erano agitati, violenti, reattivi, proprio come in battaglia, si rivolgevano a nemici immaginari e verso di loro scagliavano rabbia e aggressività. In altre parole durante questi stati allucinatori essi rivivevano infinite volte la tensione della guerra, per questo si accovacciavano per difendersi dai colpi di fucile o, diversamente, si lanciavano all’attacco convinti di poter colpire con la propria baionetta i nemici circostanti. Sovente gli stati di agitazione irrompevano inaspettati nell’esistenza del soldato che, magari, fino al giorno primo era un individuo tranquillo e socievole. È il caso del soldato Piietro T., del 33° Reggimento Fanteria, classe 1894, che il 30 novembre 1917 viene inviato all’ospedale di riserva di Cuneo perché «da una diecina di giorni si è fatto muto e poco socievole; è prepotente coi compagni e se non gli danno prontamente quanto domanda si fa minaccioso e passerebbe anche a

1055 ASONR, Archivio sanitario, cat.9 - classe 2, c.c. matr. n.10306, Ospedale Militare di Riserva di Mondovì, Mondovì, 7 Novembre

1917.

1056 Ivi, Diari psichici e clinici, 8 Novembre 1917. 1057 Cfr. L. Bianchi, Manuale di psichiatria…cit., p. 420.

1058 ASONR, Archivio sanitario, cat.9 - classe 2, c.c. matr. n.10306, Diari psichici e clinici, 15 Novembre 1917. 1059 Ivi, Nota del Direttore, Racconigi 18 Dicembre 1917 [n.8088 del Prot. Generale].

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vie di fatto se non ne fosse impedito»1060. Durante il periodo di ricovero il militare «ha il sonno molto agitato e a quando a quando balza dal letto gridando: «”Vigliacchi! Vigliacchi!” dice che vi hanno persone, che gli vogliono male»1061.

In manicomio, dove giunge, l’1 dicembre 1917, questo stato viene correlato all’esperienza vissuta al fronte, dove «ha sopportato ferita alla gamba destra da scheggia di granata»1062. Questa esperienza, però, ha riguardato un soggetto già organicamente predisposto, come dimostra il fatto che «da lungo tempo abusava del vino e dei liquori»1063. Anche in questo caso, insomma, si sottolineava come le dolorose esperienze di guerra non fossero cause primarie del disagio mentale, ma soltanto fattori scatenanti processi degenerativi già in atto prima del conflitto. Durante il periodo di osservazione il soldato presenta un’«espressione fisionomica depressa, cupa, ostile, […] con idee deliranti e disturbi sensoriali»1064. È convinto che «tutti sparlino di lui, gli sono ostili e tentano di nuocergli. Poi gli dicono che è un buono a nulla»1065. Un misto di deliri di persecuzione e agitazione reattiva lo scuotono, anche se con il passare del tempo le allucinazioni si fanno meno frequenti e gli impulsi si fanno «meno vivaci»1066. Tanto basta a convincere i medici che la fase acuta sia passata e così ne dispongono le dimissioni come «guarito».

I casi di agitazione e impulsività, essendo quelli che più preoccupavano medici e autorità militari per il loro carattere di pericolosità sociale, erano tra le condizioni cui veniva riservata maggiore attenzione. Anche gli ospedali militari, a differenza di quanto fatto con altre costellazioni sintomatiche, erano soliti concedere periodi di convalescenza per favorire la guarigione dei soldati “agitati”. Tale prassi, anche se meno scontata nelle fasi finali del conflitto, quando maggiore era la necessità di uomini, venne perlopiù mantenuta dai presidi sanitari. Nel caso del soldato Silvio Z., classe 1890, appartenente all’8° Reggimento Alpini, ad esempio, è l’ospedale Militare di Torino a concedere 50 giorni di convalescenza, una volta emessa la diagnosi di «nevrosi con accessi intercorrenti di mania persecutoria»1067. Il militare, originario di Treppo Carnico, non riesce ad usufruire dei giorni di convalescenza perché la sua famiglia si trova «in paese invaso dal nemico»1068. Durante la degenza in ospedale si presenta «di contegno disordinato, indisciplinato, iperattivo; è sconclusionato con spunti deliranti di natura persecutoria, non ben precisata. Ha manifestato facile tendenza all’impulso con atti di aggressività»1069. Per questo «lo si ritiene pericoloso per sé e per gli altri» e viene disposto l’invio in manicomio.

L’aggressività, anche se quasi mai valutata in tal senso, rappresentava la manifestazione più evidente del clima di guerra, ma anche della violenza, psichica innanzitutto, spesso esercitata nelle caserme per trasformare la personalità dei combattenti. Alla fine quei soldati che dovevano imbarbarirsi per riuscire a sopportare le privazioni del conflitto e trovare il coraggio di uccidere altri uomini, non sorprende giungessero al punto di «rottura della personalità offensiva»1070.

1060 ASONR, Archivio sanitario, cat.9 - classe 2, c.c. matr. n.10504, Ospedale di riserva di Cuneo, Oggetto: dichiarazione medica, Cuneo,

30 Novembre 1917.

1061 Ibidem.

1062 Ivi, Tabella nosografica di T. Pietro, Anamnesi. 1063 Ibidem.

1064 Ivi, Diari psichici e fisici, Dicembre 1917. 1065 Ibidem.

1066 Ivi, Diari psichici e fisici, Gennaio 1918.

1067 Ivi, Direzione dell’Ospedale Militare Principale di Savigliano, Oggetto: Dichiarazione medica pel ricovero al Manicomio del soldato

Z. Silvio, Savigliano, 19 Gennaio 1918.

1068 Ibidem. 1069 Ibidem.

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