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Sulla considerazione generale dell’opera lombrosiana, da parte dell’alienismo italiano, pesava un metodo d’indagine che faceva dell’assenza di sistematicità e della giustapposizione empirica, ritenuta a torto dallo studioso veronese auto-evidente, il punto di forza per ardite sperimentazioni cliniche e teoriche, ma anche il più evidente fattore di debolezza in riferimento alla ricezione e

fruizione di un pensiero disorganico e per molti versi «lacunoso e non scevro di esagerazione»214.

Nonostante tali elementi gli studi di Lombroso influenzeranno il volto della psichiatria a cavallo tra Otto e Novecento e avranno in particolare profonde ricadute sulle politiche cliniche e di trattamento adottate dalla psichiatria militare che, ramo secondario e poco praticato di una scienza incerta e dai confini epistemologici non chiari, troverà nell’ibridazione con l’antropologia criminale un momento fondamentale del proprio percorso. Ma attraverso quale via Lombroso sviluppa il connubio criminalità-follia? Quale paradigma interpretativo ne coagula le istanze? Come tutto ciò poteva risolvere il problema di individuare quei soldati che, apparentemente normali, una volta entrati in caserma e sottoposti alla ordinata disciplina militare evidenziavano le «aberrazioni del sentimento morale»215?

Tali questioni, complici alcuni tragici episodi di caserma, cominciano ad affacciarsi nel dibattito pubblico, soprattutto di quello militare, intorno agli anni ottanta del XIX secolo. D’altra parte, come registrato da Tamburini, Ferrari e Antonini, proprio il fenomeno dei disordini mentali latenti e quello delle riforme per anomalie della personalità, psicosi e neurosi, conoscono tra il 1876 e il 1904 un progressivo e inesorabile aumento; più nello specifico si passa dallo 0,54 per mille del 1876 al 5,07 del 1904216. La situazione è simile in Francia217 e in Germania218 e ciò sembra attestare tanto la dimensione patogena della vita in caserma, quanto le difficoltà legate alle trasformazioni degli eserciti in seguito all’avvento della “società di massa”. Tutto ciò, che secondo Tamburini si spiegava alla luce delle «maggiori esigenze del servizio militare»219, poneva una serie di problemi organizzativi per l’esercito, il primo dei quali era costituito dal necessario miglioramento dei filtri durante le visite di leva, fondamentali per scongiurare l’ingresso di pazzi e di delinquenti palesi o latenti. Per evitare il ripetersi delle stragi in caserma era infatti necessario individuare quei soggetti, “apparentemente normali”, e per questo più difficili da identificare durante le visite di leva, che una volta chiamati alle armi crollavano portando alla luce la follia latente. Eppure l’individuazione dei soggetti anormali, soprattutto «se […] passati per la trafila dell’osservazione»220 durante la visita di leva, non è semplice «perché il rilievo di certe anomalie della mente e delle minime aberrazioni morali, si sottrae sovente ad ogni indagine, né si può effettuare sempre con i reattivi mentali e morali che si possono avere a disposizione»221. D’altra parte, come sostengono Tamburini, Antonini e Ferrari, riprendendo testualmente le affermazione di Gaetano Funaioli:

214 Cfr. F. De Peri, Il medico e il folle: istituzione psichiatrica, sapere scientifico e pensiero medico fra Otto e Novecento…cit., p. 1088. 215 Cfr. A. Tamburini, G. C. Ferrari, G. Antonini, L’assistenza degli alienati in Italia e nelle varie Nazioni…cit., p. 656.

216 Cfr. P. Consiglio, La medicina sociale nell’esercito, estratto dal “Giornale di Medicina Militare”, [Maggio 1914], Tipografia Entico

Voghera, Roma 1914, p. 12; A. Tamburini, G. C. Ferrari, G. Antonini, L’assistenza degli alienati in Italia e nelle varie Nazioni…cit., p. 657.

217 Cfr. A. Tamburini, G. C. Ferrari, G. Antonini, L’assistenza degli alienati in Italia e nelle varie Nazioni…cit., p. 658. 218 Ivi, p. 659.

219 Ivi, p. 660. 220 Ivi, p. 661. 221 Ibidem.

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«Per quanta diligenza si impieghi nell’attuazione delle norme rigorose del reclutamento, col coscienzioso esame dell’inscritto di leva, entreranno sempre nelle file dell’Esercito candidati alle psicopatie e alla delinquenza, rappresentati soprattutto da individui a fondo mentale debole e a costituzione antropologica non eccessivamente abnorme e quindi difficilmente valutabile. […] gli stati congeniti di debolezza mentale, che sono il fondamento delle psicosi ed anche i processi demenziali giovani sono, tra i soldati, le forme nosografiche più frequenti realmente constatate»222.

Nonostante la messa a fuoco del problema, la «consapevolezza dell’esistenza di una specifica delinquenza militare»223, ancora allo scoppio del conflitto l’esercito non presenta risorse, mezzi e competenze adeguate alla natura della questione, che fino ad allora risulta sottovalutata e, comunque, gestita nei termini di semplice criminalità sociale. Non molti anche gli alienisti militari che si erano interessati del fenomeno della pazzia nei militari. Tra questi spicca la figura di Placido Consiglio224, capitano medico presso l’Ospedale Militare di Roma, assistente onorario della «Clinica delle Malattie Nervose” dell’Università di Roma225, nonché tra i maggiori esponenti della psichiatria militare in Italia nel periodo che precede la Grande Guerra. Convinto sostenitore di una necessaria azione eugenica volta a sgombrare l’esercito dai tanti potenziali criminali, dagli alcolisti, dagli alienati e dai simulatori, Consiglio ritiene utile affrontare la questione con decisione, avendo come obiettivo non tanto l’aspetto terapeutico, quanto quello della “difesa sociale”. La follia è per lui una forma di delinquenza potenziale che pretende di essere individuata e controllata, meglio se preventivamente. In tale ottica è necessario porre particolare attenzione al processo di selezione della leva, che assume il valore di vero e proprio filtro eugenico «di profondo rinnovamento sociale, non esauribile da una sola generazione, che porterà infine a una razionale selezione progressiva della razza […]»226. Per questa prospettiva era dunque fondamentale individuare la strategia più efficace per decifrare i “segni della devianza” negli «individui sottoposti all’osservazione»227. Era altresì necessaria una preliminare opera di catalogazione delle caratteristiche che individuavano la condizione anormale, una sorta di grammatica della devianza costituita a partire dall’attento studio dei diversi casi nel loro decorso clinico. Il carcere e il manicomio assumevano così il ruolo centrale di spazi d’osservazione in cui far interagire analisi empirica, diagnostica clinica e costruzione scientifica della figura del “soldato delinquente”.

Eppure, nonostante l’importanza che per questo discorso rivestiva il prisma d’osservazione asilare, in Italia, ancora allo scoppio della guerra mondiale, pochi erano gli studi specifici basati sui casi presenti nei singoli frenocomi. Tra questi quello realizzato da «un medico del manicomio criminale di Aversa, Filippo Saporito, allievo di Gaspare Virgilio. Utilizzando i fascicoli giudiziari di 85 soldati, egli riuscì a distinguere la costituzione mentale primitiva, al momento dell’arruolamento, dai fenomeni psicopatici sviluppati sotto le armi»228. Nel suo studio, pubblicato nel 1903, Saporito

222 Ivi, pp. 661-662.

223 S. Montaldo, L'antropologia criminale e l'esercito italiano (1884-1920), in (cura di G. P. Brizzi), E. Signori Minerva armata. Le

università e la Grande guerra, Bologna, Clueb, 2017, p. 183.

224 Tra le opere di Consiglio vedi: Saggi di psicosociologia e di scienza criminale nei militari, Tip. E. Voghera, Roma 1907; Le anomalie

antropologiche secondo le statistiche mediche militari, Società Editrice Libraia, Milano 1910; La medicina militare in rapporto alla ferma biennale, Tip. E. Voghera, Roma 1910; L’alcolismo nell’esercito, Tip. E. Voghera, Roma 1911; Cesare Lombroso e la medicina militare, Tip. Unione Ed., Roma 1911; Le forme di pazzia nei militari, Tip. E. Voghera, Roma 1911; Osservazioni sopra 243 casi di pazzia nei militari, con considerazioni medico-legali, Tip. E. Voghera, Roma 1912; La recidiva militare e la delinquenza dei minorenni, Tip. E.

Voghera, Roma 1912; Studi di psichiatria militare, Società anonima cooperativa fra lavoratori tipografi, Reggio Emilia 1912.

225 Cfr. F. Paolella, Un laboratorio di medicina politica. Placido Consiglio e il Centro psichiatrico militare di prima raccolta, in M.

Carrattieri e A. Ferraboschi (a cura di), Piccola patria, grande guerra. La Prima guerra mondiale a Reggio Emilia, Clueb, Bologna 2008, pp. 187-204; A. Scartabellati, Un Wanderer dell’anormalità? Un invito allo studio di Placido Consiglio (1877-1959), in RSF, n. 3, pp. 89- 98.

226 Cfr. P. Consiglio, La recidiva militare…cit., p. 46.

227 Cfr. A. Tamburini, G. C. Ferrari, G. Antonini, L’assistenza degli alienati in Italia e nelle varie Nazioni…cit., p. 661. 228 S. Montaldo, L'antropologia criminale e l'esercito italiano (1884-1920)…cit., p. 189.

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affermava inoltre che i soggetti osservati erano, nella maggior parte dei casi, inclini al disagio

mentale ancora prima di fare l’ingresso in caserma229. Su questa condizione di partenza il servizio

militare influiva, facendo emergere la condizione psicopatologica più o meno latente. Sulla base di queste osservazioni Saporito elaborava la categoria diagnostica dell’«epilessia propria dei militari»230, una condizione «caratterizzata da una restrizione del campo della coscienza e da un monospasmo psichico, tendente a risolversi in atti automatici, che colpiva, sotto l’influenza di fattori legati all’armata, persone predisposte alle psicopatie»231. Secondo la lettura di Saporito l’esercito e la vita in caserma, insomma, aggravavano le costellazioni patologiche preesistenti e per questo auspicava la diffusione presso le autorità mediche militari di un’adeguata preparazione psichiatrica.

Nonostante il suo ottimismo232, però, nell’immediato c’era ancora molto da fare e di un adeguato

servizio psichiatrico militare non c’era traccia.

La ricostruzione di Saporito era basata sui dati desunti dal manicomio criminale di Aversa. Ma non tutti i soldati alienati venivano internati negli istituti di questo tipo, infatti la presenza degli stessi in Italia era molto limitata e diverse erano le province che ne risultavano sprovviste233. Così una quota rilevante di soldati affetti da disagio mentale, anche se responsabili di atti criminali, venivano internati nei manicomi civili. Ciò rendeva l’osservazione e lo studio dei casi, se possibile, ancora più complicata, soprattutto perché i rapporti e la collaborazione tra le autorità militari e le diverse direzioni sanitarie dei manicomi erano sovente problematiche e rallentati dalla mediazione delle autorità provinciali, da cui i manicomi dipendevano.

Tra i non molti studi di caso a disposizione degli analisti c’era quello del libero docente in psichiatria e medico alienista presso il Regio Spedale Bonifazio per i mentecatti Pietro Grilli che, nel 1883, pubblicava un saggio dal titolo La pazzia nei militari234. Lo studio seguiva un precedente contributo del 1870, La pazzia né militari. Note statistiche intorno ai casi occorsi in un ventennio nel manicomio fiorentino235, in cui l’alienista aveva raccolto «tutte le storie mediche dei militari stati

reclusi nel manicomio di Firenze durante il ventennio fra il 1849 ed il 1869, notando le più particolarità di ciascuna»236. Consapevole di quanto simile lavoro di analisi e raccolta dati all’epoca potesse risultare bizzarro, così giustificava il proprio lavoro:

«Pure, quantunque profano, spero di trovare venia se mi permetto di invadere un campo che non è precisamente il mio, calcolando che ai medici militari, per quanto peritissimi possano essere nella Psichiatria, manca l’occasione di studiare gli alienati; e ciò perché in Italia, come presso tutte le nazioni civili, allorché un soldato incomincia a presentare fenomeni di alienazione mentale, non si trattiene negli ospedali militari, ma si invia al manicomio, che serve ai bisogni della provincia ove egli si trova»237.

Ciò che Pietro Grilli sottolinea problematicamente è che i soldati alienati, una volta evidenziati «fenomeni di alienazione mentale», vengono internati in manicomio e, per tale ragione, non sono i

229 Cfr. F. Saporito, Sulla delinquenza e sulla pazzia dei militari, Stabilimento Tipografico R.Pesole, Napoli 1903, p. 52. 230 Ivi, p. 60.

231 Cfr. S. Montaldo, L'antropologia criminale e l'esercito italiano (1884-1920)…cit., p.190.

232 Cfr. F. Saporito, Sulla delinquenza e sulla pazzia dei militari, Stabilimento Tipografico R. Pesole, Napoli 1903, p. 154.

233 Sulle discussioni relative alla nascita dei manicomi criminali in Italia vedi: G. Virgilio, Sulla instituzione dei manicomj criminali in

Italia, in «Archivio italiano per le malattie nervose», a. XIV, nn. 5-6, 1877; A. Tamburini, I manicomi criminali: studio bibliografico, in

«Rivista di discipline carcerarie», 1873; A Tamburini, Dei manicomi criminali e di una lacuna nell’odierna legislazione, in «Rivista sperimentale di freniatria e medicina legale», a. II, nn. 3-4, 1876;

234 Cfr. P. Grilli, La pazzia nei militari, Voghera Carlo, Tipografia di S.M., Roma 1883.

235 Cfr. P. Grilli, La pazzia né militari. Note statistiche intorno ai casi occorsi in un ventennio nel manicomio fiorentino, Tipografia

Fodratti, Firenze SD [Estratto dal Giornale di Medicina Militare, n.9, 1870]

236 Ivi, p. 3. 237 Ivi, p. 4.

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medici militari a diagnosticare loro il tipo di patologia sofferta, né sono loro a seguire il decorso della malattia. Questa situazione renda difficoltosi tanto l’osservazione dei singoli casi, quanto la messa a punto di ermeneutiche basate sul dato clinico. Anche alla luce di ciò individuare i soldati che, dietro un aspetto e un contegno ordinario, celano il “germe della follia” è ancora più difficoltoso. Come nel più celebre dei casi che scuotono l’epoca, quello che vede protagonista il soldato Salvatore Misdea.

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