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Il disagio mentale nell’esercito alla vigilia del Primo Conflitto Mondiale (1909-1914)

1. Francesco C e «l’orgasmo per la salute della madre».

Tra le maggiori difficoltà che devono affrontare i giovani soldati di leva chiamati al servizio militare c’è il dover accettare lo sradicamento coatto dalla terra d’origine, un’esperienza vissuta come vessatoria e iniqua, responsabile di alcuni dei ricoveri che abbiamo analizzato nel periodo che precede la Grande Guerra. Emblematici i casi di Francesco C.440 e Giuseppe P.441, due giovani di 21 e 22 anni, originari entrambi di Napoli, che finiscono in manicomio lo stesso giorno, il 13 dicembre del 1914, provenienti dall’Ospedale Militare di Savigliano. Il clima è quello agitato dallo scoppio della guerra: si rincorrono notizie contrastanti sulla situazione internazionale e mancano informazioni certe sull’atteggiamento dell’Italia. In questo contesto i due militari giungono in ospedale e qui vengono giudicati come potenziali «alienati» e spediti a Racconigi. In manicomio restano in

osservazione per un mese scarso442, dopodiché vengono giudicati «non di competenza

manicomiale» e rispediti in caserma.

Francesco ha 21 anni, Giuseppe 22, sono entrambi celibi e la loro esperienza è comune a quella di tanti altri giovani fanti che, dopo la visita di leva, vengono smistati nei reparti disseminati nelle diverse regioni d’Italia. Ma cosa prevede l’iter per i giovani da arruolare? Innanzitutto, verificata l’idoneità fisica, a partire dai 154 centimetri minimi richiesti all’epoca, vengono valutate le condizioni fisiche generali, si procede poi ad un esame di massima delle condizioni mentali. Il superamento di questo esame, condotto perlopiù in maniera superficiale, è la condizione per la delibera dell’idoneità al servizio di leva. Una volta ottenuta questa attestazione di “sana e robusta costituzione”, i soldati vengono smistati ai reparti d’addestramento o, in alternativa, finiscono nella categoria dei “sovrannumerari”, la riserva di forze su cui l’esercito può contare nel caso di bisogno. C’è, infine, un terzo possibile destino per gli “idonei”, quello dell’esonero per giusta causa; spetta ai figli di madre vedova o a quanti hanno altri fratelli impegnati nella ferma obbligatoria. Giuseppe e Francesco non rientrano in quest’ultima categoria e dopo la visita di leva, ottenuta l’idoneità, vengono dislocati nelle caserme del cuneese.

La loro storia ci aiuta a comprendere meglio come, a fronte dell’ibridazione tra valori culturali e militari che segna la società italiana tra Otto e Novecento – cui si è fatto cenno –, la coscrizione obbligatoria penetri nelle esistenze degli italiani stravolgendone i tempi e le abitudini ma,

440 ASONR, Archivio sanitario, cat.9 - classe 2. c.c. matr. n. 9140. 441 ASONR, Archivio sanitario, cat.9 - classe 2, c.c. matr. n. 9141.

442 ASONR, Archivio sanitario, cat.9 - classe 2, c.c. matr. n. 9140: data di dimissione il 05 gennaio 1915; matr. n. 9141: data di

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soprattutto, inserendo un elemento di controllo e di coercizione estraneo ai ritmi ordinari della vita. È quanto accade ai due soldati napoletani che fanno la conoscenza del volto oscuro e repressivo dello Stato, nascosto tra le pieghe della quotidianità imposta. Alla luce di ciò, la fuga nell’opzione “nevrotica” che li conduce a Racconigi è per i due soldati, al di là della genuinità dei sintomi lamentati, indicativa di un più generale rifiuto di una forma di vita estranea a quella vissuta ordinariamente.

In particolare la storia di Francesco C. evidenzia il cortocircuito tra le difficoltà di adattamento alla vita militare, situazioni di disagio psichico latente e problemi familiari che lo sradicamento e l’allontanamento da casa rendono impossibile seguire. Per giovani come lui la caserma rappresenta non soltanto un ambiente estraneo e ostile, ma anche un limite alla libertà di movimento in un momento familiare particolarmente gravoso. La malattia mentale rappresenta allora una delle strategie possibili di fuga, spesso l’ultima a disposizione nei casi più disperati. Francesco C. viene inviato a Racconigi, il 13 Dicembre 1914, dal delegato di P.S. di Savigliano, su segnalazione del maggiore Medico che lo ha visitato presso l’Ospedale Militare della cittadina.

«Durante la sua permanenza – scrive il Maggiore Medico – in questo stabilimento manifestò a più riprese sintomi di alterazioni psichiche susseguiti da periodi di relativa tranquillità. Ieri però fu colto improvvisamente da un accesso di mania acuta con manifestazioni impulsive verso i piantoni ed il suo compagno di camera per cui gli si dovette applicare il corsaletto di forza per renderlo innocuo. Trattandosi di un individuo di difficile custodia e pericoloso si propone che venga ricoverato d’urgenza al manicomio provinciale di Racconigi»443.

Alla luce di ciò l’autorità di pubblica sicurezza dichiara, secondo la formula di rito, che il soldato «è affetto da alienazione mentale che lo rende pericoloso a sé e agli altri»444, quindi ne ordina «il ricovero provvisorio» coatto. Il 30 di marzo del 1915, dopo circa tre mesi, la Regia Procura competente per il territorio, quella di Saluzzo, con Decreto n. 20445, ne ordina il «licenziamento definitivo». Come chiarisce il direttore Rossi, in una lettera del 5 Gennaio inviata in risposta alle richieste di notizie della madre del soldato, il ragazzo «non [è] riconosciuto di competenza manicomiale perché, sebbene abbia presentato degli accessi compulsivi di natura probabilmente epilettica, non ha manifestato fenomeni psicopatologici di tale natura»446 da determinare il definitivo ricovero in manicomio. Colpisce subito la data della risposta del direttore, il 5 Gennaio, cioè poco meno di un mese dopo l’ordine di ricovero del delegato di P.S., questo significa che il periodo di osservazione, conclusosi con l’avviso di licenziamento provvisorio447, è durato una quindicina di giorni, vale a dire l’indispensabile. Questo è un segnale importante che, al di là del caso singolo, getta una luce sulla più generale politica della direzione sanitaria del manicomio, interessata a licenziare, quanto più rapidamente possibile i casi dubbi o, comunque, quelli che non evidenziano fenomeni psicopatologici chiaramente pericolosi per il soggetto o per la comunità. Tale indirizzo terapeutico, adottato già prima dell’effettivo coinvolgimento nella guerra dell’Italia, mostra che il problema di gestione degli spazi e dei fondi a disposizione per la gestione del manicomio è preponderante rispetto a qualunque altra possibile valutazione di ordine politico e sociale. La rapidità con cui viene emessa la diagnosi sembra confermare quanto Gaetano Boschi, neurologo, docente universitario e vicedirettore del manicomio provinciale di Ferrara, afferma nella sua lettura retrospettiva – scrive negli anni Trenta – delle politiche psichiatriche nel periodo della Grande

443 ASONR, Archivio sanitario, cat.9 - classe 2, c.c. matr. n. 9140, Comunicazione della Direzione dell’Ospedale Militare Principale di

Savigliano, Savigliano 11 Dicembre 1914.

444 Ivi, Ordine di ricovero emesso dal delegato di Ps di Savigliano, 13 Dicembre 1914. 445 Ivi, Decreto n. 20 della Regia Procura di Saluzzo, 30 Marzo 1915.

446 Ivi, Lettera del Direttore, 5 Gennaio 1915.

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Guerra: «Ci voleva l’impressione diffusa di una disciplina senza intransigenze: il giudizio clinico

doveva farsi piuttosto sommario»448. Sgomberare al più presto i manicomi dagli elementi militari,

restituirli alle caserme di provenienza e ai doversi verso la patria, si profila come il criterio per valutare un servizio psichiatrico efficiente, in grado di fronteggiare il problema.

Dunque se la durata del periodo di osservazione – un mese circa – e la diagnosi di dimissione – «non di competenza manicomiale» –, lasciano intravedere qualche dubbio sulla effettiva possibilità di valutare la sussistenza di problemi psichiatrici, le più generali e profonde motivazioni che sono all’origine del ricovero sembrano trovare nell’esperienza di leva un fattore di accelerazione e una concausa di scatenamento. È quanto si evince dalla lettera che il padre del soldato alienato, Antonio C., invia al Direttore per aver notizie del figlio. La missiva, caso eccezionale tra le centinaia di cartelle studiate, è scritta a macchina e controfirmata. È facile sia stata redatta da un intermediario che ne ha tradotto i contenuti in una forma discorsiva che non possiamo valutare quanto abbia alterato le intenzioni originarie. Premesso ciò, nella lettera il padre non nasconde tutta la costernazione che la notizia del ricovero del figlio ha causato in lui e nella famiglia, già provata dalle instabili condizioni mentali di un altro figlio, Leopoldo. L’opinione della famiglia è che la ferma di leva sia la condizione dell’aggravamento dei disturbi patiti da Francesco, «che da poco ha dato qualche segno di squilibrio

mentale»449; in ciò il gruppo parentale sembra riconoscere un’attenuante in grado di alleggerire la

posizione del militare. Nel caso specifico a ciò si deve aggiungere la sofferenza per la madre malata e l’impossibilità di esserle vicina, una situazione che la lontananza da casa rende psichicamente insostenibile per il soldato: «Ritengo che tali disturbi – scrive il padre – si siano accentuati a causa della malattia della madre (alla quale egli è affezionatissimo) e l’orgasmo per la di lei salute, stando

lontano, ha dovuto maggiormente comprimere l’animo suo ed i suoi centri nervosi»450.

La situazione di Francesco, dunque, si inscrive in un quadro familiare non facile: «Quanto ai precedenti di famiglia, devo significare che, disgraziatamente, ve ne sono pur troppo, diversi»451. La puntualizzazione evidenzia quanto lo scrivente non soltanto condivida un corpus di credenze che fanno riferimento all’ereditarietà della malattia mentale, ma come tale relazione sembri attenuare il peso e lo stigma morale che dalla condizione derivano, tanto che il genitore si affretta a precisare:

«Mio figlio Francesco non beve vino e nessun’altra bevanda alcolica»452. Sono in particolare questi

due passaggi della missiva, quello della componente familiare della follia e quello in cui si sottolinea che «nessuno di famiglia è stato mai affetto da mali venerei, od altre malattie infettive»453, insieme alla precisazione che non è un “bevitore”, che facendo riferimento a un insieme di credenze tipiche dell’immaginario criminologico e medico del tempo, ci fanno ipotizzare che l’intermediario scrivente appartenga a una di queste due sfere. È invece nella sottolineatura dell’effetto patogeno dello sradicamento dai luoghi natii e dalla famiglia, e nel fermo desiderio di averlo restituito all’atmosfera domestica, che risalta la voce del capo-famiglia a cui è stato sottratto il figlio:

«Ritengo fermamente che lo stato presente del detto mio figlio sia da attribuirsi alla lontananza dalla famiglia, appunto per le preoccupazione della salute della madre, che egli lasciò a letto quando rientrò dalla licenza verso al fine di ottobre u.s. […] Chiedo quindi formalmente a V.S. che si compiaccia disporre per l’immediato rimpatrio di mio figlio, potendo assicurare che

448 Cfr. G. Boschi, La guerra e le arti sanitarie…cit., p. 57.

449 ASONR, Archivio sanitario, cat.9 - classe 2, c.c. matr. n. 9140, Lettera di Antonio C. al Direttore, Marianella (Napoli), 17 Dicembre

1914.

450 Ibidem. 451 Ibidem. 452 Ibidem.

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egli si calmerà e potrà anche avviarsi alla guarigione se ritorna in famiglia. Assumo io qualsiasi responsabilità454, ma desidero che egli sia subito fatto partire alla volta di Napoli»455.

Il genitore appare essere abbastanza certo riguardo alla natura e alle cause dello stato di salute del figlio e sulla base di ciò, con altrettanta decisione, ne richiede il rimpatrio sotto la propria responsabilità. La convinzione è quella di una pronta guarigione del giovane una volta rientrato tra le mura domestiche. Tutte queste certezze, a così tanta distanza, fanno emergere qualche dubbio sulla genuinità dei sintomi lamentati dal soldato napoletano e sul ruolo della famiglia nella vicenda. Il direttore risponde pazientemente, con missiva del 21 Dicembre 1914456, che il desiderio del padre

«non può per ora essere esaudito»457. Infatti qualora il soldato venga riconosciuto come alienato

sarà destinato al competente manicomio provinciale, diversamente verrà “riconsegnato” all’autorità militare. Lo scambio epistolare prosegue e il padre di Francesco scrive nuovamente il 31 Dicembre 1914458 e, preso atto dell’esistenza «dei regolamenti»459, implora quantomeno l’invio presso il manicomio di Napoli, tutto ciò al fine «di tener contenta la sua vecchia ed ammalata madre che per si tanta iattura deperisce giorno per giorno»460. Viene così chiarita la probabile causa che ha scatenato gli “accessi confusionali” che hanno scosso il soldato: la sofferenza per le condizioni di salute della madre e l’impossibilità di esserle vicino durante la malattia. Tale causa però non dice ancora nulla sullo stato di salute del giovane, infatti è possibile ipotizzare anche una simulazione, d’altra parte, i sintomi convulsivi sono emersi in maniera anomala, durante un periodo di ricovero, avvenuto presso l’Ospedale Militare di Savigliano, per un banale problema agli occhi461. In ospedale il soldato «manifestò a più riprese segni di alterazioni psichiche seguiti da periodi di relativa tranquillità. Il 10 Dicembre fu colto improvvisamente da accesso di mania acuta con manifestazioni

impulsive verso i piantoni ed il suo compagno di camera»462. Inviato in manicomio il soldato appare

«tranquillo, lucido, cosciente […] Alquanto sornione, talora inquieto, bestemmia, dà pugni sui tavoli, minaccia rappresaglie contro i suoi superiori militari, ma interrogato a questo riguardo nega aver

mai manifestato simili propositi. Dorme e si nutre regolarmente»463. I medici notano inoltre uno

strano comportamento. In particolare durante un accesso convulsivo è presente un infermiere «che descrive tale accesso come atipico. L’a. [alienato nb] avrebbe agitato un po’ le braccia e le gambe,

non emise schiuma dalla bocca, non presentò consecutivo stato confusionale»464. Francesco

dichiara inoltre un secondo accesso che, però non ha testimoni. Durante questo «dice di essersi trovato sotto il letto senza accorgersene (?). In parecchi giorni tranquillo, dorme e si nutre regolarmente»465. Qualche giorno dopo, il 30 di Dicembre, viene registrata la dichiarazione del soldato che lamenta un ulteriore accesso notturno. L’infermiere di guardia «dice di non aver potuto

nulla constatare»466. Un ricovero contraddistinto da un comportamento anomalo che, tutto

sommato, si addice tanto a un malato genuino, quanto a un simulatore interessato a far rapido

454 Le due sottolineature sono presenti nel documento originale, probabilmente fatte dal Direttore. 455 Ivi, Lettera di Antonio C. al Direttore, Marianella (Napoli), 17 Dicembre 1914.

456 Ivi, Lettera della Direzione sanitaria in risposta alla missiva di Antonio C., 21 dicembre 1914. 457 Ibidem.

458 Ivi, Lettera di Antonio C. al Direttore, Marianella (Napoli), 31 Dicembre 1914. 459 Ibidem.

460 Ibidem.

461 Ivi, Tabella nosografica, Anamnesi. 462 Ibidem.

463 ASONR, Archivio sanitario, cat.9 - classe 2, c.c. matr. n. 9140, Tabella nosografica, Diario clinico, 17 Dicembre 1914. 464 Ivi, Tabella nosografica, Diario clinico, 27 Dicembre 1914.

465 Ibidem.

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ritorno a casa. Alla luce di ciò la Direzione Sanitaria decide di «restituirlo all’autorità militare»467, ritenendo che il periodo d’osservazione non giustifichi «il suo sequestro manicomiale»468.

La natura dei fenomeni che conducono Francesco in manicomio, la missiva del padre – così curata sotto l’aspetto formale e con l’esplicita richiesta di rimpatrio del figlio – e il periodo di osservazione fanno dunque emergere più di un dubbio sulla natura di quell’«accesso convulsivo di probabile natura epilettica»469 che è la diagnosi finale per il soldato e la direzione sanitaria non vuole apparire sprovveduta, né complice, di fronte alle autorità militari, così licenzia rapidamente il soldato. Decodificare in ultima istanza i sintomi lamentati da Francesco non è possibile, in ogni caso gli attacchi convulsivi si inscrivono in un fenomeno più generale di rifiuto nei confronti della vita militare, di natura più o meno inconscia. E in tale senso la ribellione mentale del giovane soldato appare essere indicativa di una refrattarietà più generale ai codici dell’esercito, alle sue regole e agli obblighi che impone. Nel caso specifico sembra rivestire un ruolo particolare la lontananza dalla famiglia, soprattutto il distacco dalla madre malata e l’impossibilità di esserle accanto. Quest’ultimo aspetto è importante perché ci consente di sottolineare la complessa natura delle singole vicende che conducono i militari in manicomio e che non possono essere inquadrate solo alla luce di fattori sociali, politici o ideologici. Infatti è possibile ipotizzare che senza la malattia della madre il percorso militare di Francesco non sarebbe sfociato in quei sintomi che ne hanno provocato il ricovero. E dunque anche la sua “ribellione” nei confronti dell’esercito, probabilmente, sarebbe stata diversa.

Per quanto riguarda invece il punto di vista dei militari, bisogna sottolineare come ogni tendenza all’insofferenza verso l’ordine e la disciplina rappresentasse una minaccia per l’ordine e la disciplina necessarie alla vita in caserma e, più in generale, per la funzione educativa che l’esercito svolge nell’edificazione del cittadino. Anche per questa ragione, le forme di insubordinazione mascherata come le alienazioni mentali, venivano considerate con particolare sospetto e ritenute tipiche di caratteri deboli, indisciplinati, poco virili e tendenti all’effeminato. Se infatti il cittadino modello è il padre di famiglia che sa badare alle esigenze del proprio nucleo e, parimenti, servire i più generali interessi della collettività, quello che rifiuta, in maniera più o meno esplicita, questo ruolo è un degenerato da correggere per evitare il contagio della comunità.

La psichiatria che si occupava degli alienati militari doveva dunque svolgere, accanto al processo terapeutico, una profonda azione di eugenica negativa, selezionando e individuando gli elementi da scartare, poiché ritenuti inutili alle esigenze richieste dalle trasformazioni in atto. Le parole del già citato Placido Consiglio, medico siciliano nominato nel luglio 1916 ufficiale per meriti di guerra, attestano questo progetto di profilassi sociale già nel 1912:

«Però, queste nuove esigenze importano novelle richieste, più complesse, più varie e più elevate, di energie al soldato moderno, e quindi un adattamento superiore, tanto più (è bene ripeterlo) nella coscienza – in via di formazione – delle funzioni sociali che l’esercito può, e deve compiere, nei paesi democratici della educazione del carattere alla lotta contro l’anomalo: ed allora, elevato il tono dell’adattamento, maggiore sarà il numero dei dismorfici, e quindi più ampia la necessità della selezione».470

Si seleziona preventivamente anche non riconoscendo il valore dei sintomi lamentati dai soldati – come nel caso di Francesco –, soprattutto nelle situazioni dubbie. In queste circostanze la prassi, soprattutto prima della situazione d’emergenza posta in essere dal conflitto, prevedeva che si riducesse al minimo il periodo d’osservazione – che nel caso specifico abbiamo visto essere un mese

467 Ivi, Tabella nosografica, Diario clinico, 5 Gennaio 1915. 468 Ibidem.

469 Ivi, Invito al ritiro del ricoverato, Racconigi, 4 Gennaio 1915.

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circa – e che si provvedese al rapido reintegro nella comunità militare. Sminuire l’accaduto, evitare che si diffonda l’idea di una correlazione tra disagio mentale e vita militare, obbligare il degenerato a svolgere i propri doveri verso la Nazione. Sono questi gli elementi di una politica non scritta che sembra caratterizzare il trattamento di militari come Francesco C. prima della guerra.

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