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L’accesso ai servizi nell’ambito della salute riproduttiva: contraccezione e IVG

Il dispositivo della PMA: il punto di vista degli operator

5.3 Gli operatori sanitari e l’approccio alle donne migranti latinoamericane

5.3.2 L’accesso ai servizi nell’ambito della salute riproduttiva: contraccezione e IVG

Dal lavoro sul campo sono emerse differenze di status socio-economico e di origine delle pazienti che regolano la percezione di una maggiore efficacia delle tecnologie riproduttive (Cfr. Roberts, 2013, 2016b; Thompson, 2006; Rapp, 1998; Inhorn, Birenbaum-Carmeli, 2008). Secondo gli operatori, tale percezione, presente soprattutto nella popolazione straniera, è il risultato della combinazione fra basso livello culturale e scarso accesso alle informazioni che determina un atteggiamento di fiducia incondizionata nelle istituzioni e dunque il ricorso alle tecnologie riproduttive:

Riguardo alla percezione dell’efficacia sicuramente queste coppie hanno più aspettative cioè pensano magicamente che siamo più bravi di quello che siamo in realtà. Più è basso il livello culturale, più è sicuro che con la fecondazione riesca a rimanere incinta. Tu gli dici guarda che a 40 anni funziona 10 volte su 100 cadono dal pero…ma anche l’italiana. L’italiana lo sa si è informata su internet. L’italiana media arriva qua che è già andata sui siti sui forum, viene con un sacco di idee sbagliate che poi toglierle è un disastro ma così è oggi la medicina qui. L’atteggiamento medio degli stranieri è di maggior fiducia nell’istituzione (ginecologo, centro di infertilità).

Tra gli operatori incontrati sono emerse visioni discordanti rispetto all’idea della comunità latinoamericana come entità omogenea. Alcuni sottolineano le trasformazioni in corso nell’ambito della salute riproduttiva, in relazione a nuovi modelli di genere realizzati nel nuovo contesto socio- culturale di vita e rispetto alla generazione precedente. In questa prospettiva, con la migrazione le donne acquisiscono automaticamente una maggiore libertà di scelta, indipendenza e l’accesso alla modernità (Pinelli, 2019; Ong, Collier, 2005). Dalle testimonianze degli operatori emerge che le donne latinoamericane accedono ai servizi di salute riproduttiva e alle informazioni in modo più costante rispetto alla generazione precedente. In relazione al percorso migratorio, al contesto socio- culturale di riferimento e alla classe sociale, si possono notare rotture e continuità rispetto alla generazione precedente, anche se l’accesso alle informazioni e alle cure nell’ambito della salute riproduttiva è in aumento, la responsabilità dei comportamenti riproduttivi e sessuali è sempre femminile (Ong, Collier, 2005; Mahler, Pessar, 2006; Parreñas, 2000). Gli operatori non hanno notato

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differenze rispetto alla popolazione italiana: le donne migranti si rivolgono al centro per una visita ginecologica di controllo, eseguono screening prenatali, pap-test. Sebbene siano presenti casi di IVG fra le latinoamericane, si osserva una diminuzione rispetto al passato mentre riguardo alla componente maschile, gli operatori hanno riscontrato un incremento nel numero di visite andrologiche effettuate dagli uomini di origine latinoamericana o figli di migranti nati in Ecuador o Perù.

La testimonianza di un operatore mette in luce i motivi che portano le donne con esperienze di infertilità a non rivolgersi allo psicologo del consultorio. Infatti, la PMA è considerata un percorso complesso e si notano molte difficoltà nella coppia, a livello pratico (spese economiche destinate alla PMA) ed emotivo. Il fenomeno del rifiuto del sostegno psicologico può essere interpretato all’interno di un contesto in cui la priorità è risolvere il problema concreto, organico, seguendo il complicato percorso biomedico. Inoltre, il fatto di parlare di infertilità con un esperto significa, per la donna, ammettere una condizione disfunzionale, dichiarare di essere diversa dalle altre, di avere un problema, rompere il tabù del silenzio sull’infertilità (Parisi, 2017):

È una terapia complessa e costosa (PMA) in cui la tendenza è lasciare da parte l’aspetto psicologico mentre tentano di risolvere il problema, anche nel rapporto di coppia, anche nella pratica. E c’è una sofferenza per la donna, per la coppia, anche per una questione economica a livello pratico. Parti che quello risolve il tuo problema, perché hai necessità di potenziare l’idea che facendo queste cose risolvi il problema. Arrivi a chiedere sostegno solo dopo un percorso difficile e infruttuoso che ti lascia esasperata e hai bisogno di un sostegno. Però all’inizio la necessità è negare il problema perché i figli dovresti farli e se ti rivolgi alle cure vuol dire che non ci riesci e ti sembra complicato e ti senti diversa. Perché comunque lo psicologo non lo vedi come un sostegno ma qualcuno da cui vai se stai male (psicologa, consultorio privato).

Riguardo agli effetti del ricorso alle tecnologie riproduttive sulla vita della coppia, in particolare rispetto alla separazione fra sessualità e riproduzione, gli operatori notano una diversa gestione della sessualità e l’attribuzione di un significato differente in base al genere e al contesto socio-culturale di origine (Krebbex, 2017; Duncan, Edwards, Alexander, 2010; Rosas, Gayet, 2019). In questo senso, modelli diversi di sessualità implicano molteplici modi di affrontare la questione riproduttiva. Secondo il parere di una ginecologa, per le donne latinoamericane la sessualità è controllata, strettamente legata alla riproduzione mentre per gli uomini prevale l’idea di una sessualità “libera” svincolata ai fini della procreazione. Per questo motivo, non è possibile per le donne separare la vita sessuale da quella riproduttiva in quanto il femminile risulta biologicamente determinato dal mandato della maternità:

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La vita sessuale va a farsi benedire quando inizia la vita riproduttiva: la donna non riesce a distinguere le cose, è legata alla riproduzione la parte sessuale, è difficilissimo per la donna. E l’uomo non l’accetta questa cosa […] Ma qua da noi in Europa si fanno meno rapporti, la sessualità è vista più liberamente che in Sud America anche se pensiamo che Brasile e Sud America c’è un pudore pazzesco ma cominciano ad avere rapporti a 15 anni, sono paesi maschilisti in cui se un uomo vuole avere un rapporto è difficile che la donna si neghi, la maschilità deve essere vista come potenza sessuale. Per loro piuttosto è lui che dice la bugia che ha più rapporti (risposta all’interrogazione del medico per compilare la cartella clinica). Nella contraccezione lavorando anche all’AIED le vedi le gravidanze a 15 e 16 anni e l’Ecuador è una comunità chiusa adesso iniziano le terze generazioni però anche così i fidanzatini sono chiusi mentre noi siamo aperti anche se culture diverse, siamo più aperti, invece loro no. Avrai visto tutte le coppie ecuadoriane, li vedi essendo un paese maschilista è quello (ginecologa, centro privato infertilità).

Nel caso specifico delle pratiche di interruzione della gravidanza, dai discorsi degli operatori sanitari emerge l’idea implicita che la scelta di abortire sia legata ad una superficialità della donna latinoamericana. In questa prospettiva stigmatizzante, la donna è percepita come debole e sottomessa al marito, all’interno di un modello di relazioni di tipo machista in un cui emerge il dominio del maschile nella gestione delle relazioni sessuali e nella contraccezione. Viceversa, le donne latinoamericane che decidono di non ricorrere alla pratica dell’IVG, il discorso medico attribuisce tale atto al senso di colpa provato di fronte alla famiglia e alla comunità, o indotto da influenze religiose proprie del contesto socio-culturale di origine. Tali visioni dominanti sembrano negare il ruolo attivo delle donne nella scelta di ricorrere o rifiutare l’IVG, escludendo la possibilità che la donna possa scegliere in autonomia di volere o meno un figlio.

All’interno di un approccio culturalista, le pazienti di origine latinoamericana sono ridotte a vittime inconsapevoli di un sistema economico diseguale che si articola a livello mondiale. Le donne latinoamericane sono viste tutte come lavoratrici nel settore domestico e di cura in cui affrontano condizioni frustranti e pesanti che incidono negativamente sulla salute riproduttiva:

Secondo me il dato interessante da analizzare è il numero di interruzioni terapeutiche fra le IVG perché il tipo di vita, la condizione in qualche modo influiscono sulla salute della mamma e anche sulla salute del feto. Sarebbe interessante vedere quante interruzioni di gravidanza e quante terapeutiche. È importante il dato sulle interruzioni terapeutiche… anche perché il bambino è grosso o metti le candelette per provocare un aborto, diversamente devi indurre un parto. La legge 194 stabilisce la differenza. Viene tutelata la salute della mamma.

Che cosa intende per stile di vita? Quali condizioni influiscono maggiormente?

Sai se io faccio la badante e dormo 4 ore a notte e sono incinta magari rischio di fare un aborto terapeutico intorno alle 16/17 settimana. Quindi dentro le interruzioni terapeutiche ci sta l’aborto spontaneo che è un dato molto interessante da prendere in considerazione, da analizzare perché su questo c’è il fatto che o la donna ha fatto dei casini per procurarsi l’interruzione e quindi poi viene qua e deve fare il raschiamento,

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e quindi si è procurata un’interruzione di gravidanza, oppure c’è veramente una perdita del bambino per condizioni non idonee allo stato clinico della donna e del feto. Fra le IVG c’è l’aborto terapeutico perché si presenta una situazione tale per cui devi far abortire la donna oppure spontaneo perché la donna perde spontaneamente il bambino (assistente sanitaria, dirigente, ospedale pubblico).

Il discorso medico si esprime con toni allarmistici sulle IVG, la percezione è alterata: un’alta percentuale di aborti che non è confermata dai numeri; un’immagine di donna priva di potere, sottomessa al maschile. L’IVG è interpretata sulla base di due concezioni opposte: espressione di questioni culturali o atto inconsapevole legato alla religione cattolica, esito di condizioni di vita degradanti. Dalle testimonianze raccolte emerge una prospettiva di culturalizzazione delle disuguaglianze sociali (Pedone, 2014; Lagomarsino, Pagnotta, 2012): si enfatizza un’immagine omogenea e uniformante di donna migrante in posizione subalterna, indipendentemente dallo status socio-economico, dalle forme di famiglia e dal percorso migratorio presenti fra le stesse migranti. Dalle testimonianze raccolte è emerso il tema dell’ipersessualizzazione delle donne migranti come effetto di processi di etnicizzazione della sessualità (Krebbex, 2017; Rosas, Gayet, 2019; Lagomarsino, Pagnotta, 2012). L’attività sessuale è vista come pratica femminile strettamente legata al valore attribuito alla riproduzione all’interno del contesto socio-culturale di origine. Nei casi di gravidanze precoci e IVG spesso i discorsi politici e mediatici tralasciano le concrete condizioni di vita della donna nella migrazione: lo status socio-economico, il livello di istruzione, la storia familiare e riproduttiva. Al contrario si enfatizza il ruolo svolto dall’appartenenza culturale e religiosa nell’orientare le scelte riproduttive in base ad un approccio essenzialista che esclude dall’analisi il ruolo attivo delle donne migranti e le implicazioni della politica riproduttiva globale (Ginsburg, Rapp, 1995; Roberts, 2016).

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