La metodologia della ricerca
3.4 Il lavoro sul campo tra classi sociali e disuguaglianze
Nel corso del lavoro sul campo emerge la centralità della relazione tra ricercatore e soggetti intervistati. Come sottolineano Cerletti e Gessaghi (2012), si tratta di una relazione di potere asimmetrica, costitutiva dell’indagine etnografica.
Altro aspetto fondamentale riguarda la permanenza prolungata sul terreno di indagine, elemento indispensabile al fine di conoscere in profondità le diverse forme di relazioni, le conoscenze taciute, le logiche culturali implicite.
L’esperienza è durata circa tre anni, l’avvicinamento alla lingua dei pazienti, al linguaggio del medico, e al sapere localizzato mi hanno permesso di costruire relazione di fiducia con gli interlocutori, sia con le donne migranti sia con gli operatori sanitari.
L’aver stabilito legami con i soggetti partecipanti si è rivelato uno strumento metodologico chiave. La relazione di fiducia sviluppata con le donne migranti e gli operatori, in particolare alcune specializzande, ha permesso una costruzione dialogica delle conoscenze antropologiche mediante il ruolo attivo dei soggetti coinvolti. In questo senso, il lavoro sul campo ha rappresentato il tentativo di integrare il sapere dei diversi soggetti intervistati nella costruzione stessa della descrizione etnografica.
L’analisi di Cerletti e Gessaghi (2012) definisce la permanenza prolungata sul terreno di indagine un processo fondamentale che precede ed accompagna il lavoro di ricerca, consentendo di mettere in luce la complessità e la ricchezza della vita sociale. Il ricercatore, essendo coinvolto in prima persona nella costruzione dell’etnografia, deve essere consapevole che il suo sguardo è carico di teorie specifiche per evitare di pretendere di essere neutrale e oggettivo.
I processi etnografici si basano sulla relazione asimmetrica tra etnografo e soggetti intervistati, per questo “è molto difficile assumere nella pratica una attitudine ad apprendere nei contesti in cui si concede al ricercatore una condizione di privilegio” (Rockwell, 2009). La consapevolezza della posizione particolare del ricercatore permette di evitare i rischi di ridurre i soggetti intervistati alle categorie sociali dominanti.
L’approccio etnografico si basa sull’idea che tutti i soggetti coinvolti abbiano capacità di agency, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza. Alla costruzione dell’intervista partecipano sia il ricercatore che il soggetto intervistato, la narrazione infatti deve essere compresa all’interno di questa stessa relazione ed al contesto sociale. È dentro questo scenario che si problematizza il peso delle diseguaglianze sociali nella costruzione dei soggetti. Secondo Fonseca (2005) la classe sociale, l’etnia di appartenenza sono elementi rilevanti: organizzano idee e comportamenti all’interno della società contemporanea, come le dinamiche di relazione. Infatti la classe sociale non è considerata
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caratteristica fissa e immutabile del soggetto ma si tratta di una relazione tra più fattori, comprensibile all’interno delle trasformazioni che essa stesse produce.
Come sostengono diversi studi (Remotti 1997, Clifford 1998), il sapere etnografico è il risultato di una negoziazione tra i modelli interpretativi dell’etnografo e quelli dei soggetti intervistati. Il lavoro sul campo si definisce a partire dalla relazione dominazione-subalternità, una negoziazione continua tra poteri, un rapporto che si trasforma nel tempo in relazione alle caratteristiche dei soggetti e al modello dominante di relazione di genere e generazione. Secondo Cerletti e Gessaghi (2012) occorre considerare le relazioni sul campo come conflittuali, fluide e dinamiche. Il campo è visto come uno spazio di conflitto in quanto individua un “processo attraversato da relazioni asimmetriche in cui soggetti negoziano, si appropriano, controllano e riproducono i significati attribuiti alle pratiche” (Cerletti e Gessaghi, 2012, p. 43).
Le prospettive che considerano le difficoltà di accesso e di sviluppo del lavoro sul campo con aspetti dipendenti dalle posizioni sociale dell’etnografo e degli intervistati, sembrano supporre che il soggetto subalterno abbia un ruolo passivo. Come sostengono alcuni studi (Latour, 2000) nell’incontro etnografico si apre sempre la possibilità di un rischio, quello di considerare gli atteggiamenti delle classi subalterne come espressione di ignoranza, alienazione, arretratezza. Tali categorizzazioni sono interpretate come causa stessa della loro miseria: il problema si sposta dalla povertà al povero. Per Cerletti e Gessaghi (2012) la capacità di agency, intesa come il ruolo attivo del soggetto nella costruzione della realtà sociale, appartiene a tutti i soggetti indipendentemente dalla classe di appartenenza; piuttosto è il risultato della tensione fra limitazioni strutturali e possibili margini di azione. In questa prospettiva, emergono processi di appropriazione mediante i quali la persona stessa prende possesso e impiega le risorse culturali disponibili. Rispettare l’agency reciproca nell’interazione permette una negoziazione tra le parti della relazione. Sostenere che il lavoro sul campo non dipenda dalla classe sociale di appartenenza non significa negare la rilevanza delle diseguaglianze fra le classi sociali, ma rendere dignità alla capacità di agency di ciascun soggetto. Le problematiche di acceso al campo non sono determinate dalla classe sociale, ma fanno parte della costituzione intrinseca dell’indagine.
In ambito antropologico, l’esperienza etnografica e la sua restituzione testuale si prefiggono di problematizzare le situazioni studiate sul campo, trasmettendo il senso dei micro-processi quotidiani, mostrando i rischi del rapporto asimmetrico e l’attenzione alla traduzione dei confini culturali e linguistici (Remotti, 1997). L’indagine etnografica non rappresenta una semplice catalogazione dei dati raccolti ma definisce un’attività costruttiva attribuendo significato ai fenomeni. Secondo Clifford (1998) occorre passare da un modello monologico, in cui l’autore osserva, ascolta e registra facendosi
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unico portavoce dei soggetti intervistati, ad un approccio dialogico in cui nessuno possiede “autorità etnografica”, dove la realtà mostrata è una costruzione a partire da un incontro.
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