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Il ruolo dei fattori strutturali nel ricorso alla PMA

Il dispositivo della PMA: il punto di vista degli operator

5.3 Gli operatori sanitari e l’approccio alle donne migranti latinoamericane

5.3.1 Il ruolo dei fattori strutturali nel ricorso alla PMA

In base all’ articolo 1 della legge 40/2004, l’accesso alla PMA è consentito solo alle coppie che presentano una certificazione dello stato di infertilità formulata dal medico. La sterilità è causata da un fattore specifico o da un fattore ignoto ed è per definizione involontaria: sono escluse dal percorso le coppie in cui la donna abbia deciso di sottoporsi alla legatura volontaria delle tube.

Gli operatori, in merito alla questione dell’infertilità nelle donne di origine latinoamericana, dichiarano di riscontrare una maggiore incidenza dell’infertilità secondaria, fra cui esistono rari casi di sterilità volontaria. Come spiega il medico nell’intervista, nel contesto sanitario di origine predomina un atteggiamento paternalistico (le scelte delle donne migranti dipendono esclusivamente dal parere del medico) in un contesto tecnologico arretrato. È emersa una visione essenzialista ed etnocentrica che attribuisce alle donne migranti l’incapacità di prendere decisioni in autonomia, suddividendo così le pazienti in due gruppi contrapposti: Noi-Loro, moderni-arretrati, razionali- irrazionali.

Le centro americane e sud americane sono le uniche che spesso hanno già delle sterilità volontarie cioè hanno già fatto delle legature delle tube perché lì quando fai il secondo cesareo ti legano le tube, vengono qua le colombiane, le ecuadoregne, le peruviane e ti dicono mi hanno legato le tube ma l’hanno chiesto loro come contraccettivo ma a volte sono diventate sterili senza volerlo. Per il resto hanno le stesse cause di sterilità delle italiane […] Molte volte cioè sono persone che avevano già fatto figli al paese, poi si sono trasferite qua. Al paese avevano deciso di non fare più figli per cui hanno chiuso le tube che è una cosa che in Italia è rarissima. Lì c’è l’abitudine di farlo sia su richiesta della paziente sia per scelta del medico quando la paziente ha già fatto due o tre cesarei e quindi con una gravidanza avrebbe dei rischi aumentati. Di default viene proposto e fatto. Il problema è che una parte di queste pazienti poi si è trasferita qua, non con la famiglia magari ma si fa una nuova famiglia e il marito nuovo vuole un figlio e allora c’è il problema…[…] nel contesto latinoamericano, la sterilizzazione era una pratica diffusa”(ginecologo, centro infertilità pubblico).

Un ulteriore ostacolo di tipo strutturale all’accesso alle tecnologie riproduttive per le donne migranti, è rappresentato dall’obbligo dei documenti di soggiorno. Per procedere all’intervento è necessario che entrambi i partner siano provvisti del regolare permesso di soggiorno:

Se una persona non ha il permesso di soggiorno, non ha la tessera sanitaria, se non quella d’emergenza. […] , esistono delle forme che coprono gli stranieri indigenti in questioni d’urgenza ma questo non può essere considerato un esame urgente, un esame salvavita. Infatti bisogna accertare sempre che tutti e due abbiano il permesso di soggiorno comunque che sia in regola da questo punto di vista sennò qui non possiamo fare niente. (Riguardo allo spermiogramma) In teoria da un privato sì, un esame cosi nella Sanità Nazionale costa magari 50 euro, da un privato 100, 120 euro, rimane comunque il fatto che lui può fare lo spermiogramma in privato ma non fa comunque il ciclo perché è coperto parzialmente dalla sanità

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nazionale per cui…se non esiste un partner maschile registrato, lei risulta come una donna single che fa una procreazione assistita che per legge non può fare perché deve essere una copia etero di sesso diverso, stabilmente convivente o coniugata(biologa, centro infertilità).

Qualora uno dei due partner sia privo di regolari documenti di soggiorno, la coppia è costretta a rivolgersi a centri privati fuori dalla Regione Liguria. Oltre ad uno spreco di risorse finanziare, tutto ciò implica, specialmente per la donna, una riduzione dell’attività lavorativa e una maggiore difficoltà nella gestione della cura dei figli. Le diverse caratteristiche relative all’organizzazione, alla posizione nel territorio e all’origine storica dei centri che offrono PMA, determinano possibilità di accesso e di esclusione di parte della popolazione alle tecniche riproduttive. Le prestazioni di PMA eseguite (I o II livello), i servizi di cura e prevenzione dell’infertilità variano da centro a centro. Ad esempio, l’accesso è gratuito nei centri pubblici141 ma alcune prestazioni non vengono erogate (diagnosi

preimpianto).

Secondo gli operatori142, l’accesso degli stranieri nei centri pubblici di PMA è in continuo aumento in relazione ad alcuni fattori: la distribuzione dei centri pubblici e privati sul territorio genovese; la stabilizzazione delle donne migranti latinoamericane in loco; le iniziative istituzionali attuate per facilitare l’accesso alla salute riproduttiva, ad esempio, la possibilità di svolgere incontri informativi su questioni di salute riproduttiva potenziati attraverso programmi di collaborazione con le istituzioni politiche (Consolato dell’Ecuador).

Come è emerso dalla ricerca sul campo, anche l’orientamento religioso dell’ente ospedaliero condiziona l’accesso al centro che offre PMA, poiché influisce sulla disponibilità e la qualità delle prestazioni. L’orientamento religioso si riflette sulla struttura gestionale e organizzativa dell’ente ospedaliero regolando la disponibilità dei servizi di salute riproduttiva. Infatti, al Sant’Eugenio, le IVG non vengono effettuate ma l’intervento è eseguito presso l’Ospedale Santa Rita. Al contrario, si effettuano le interruzioni terapeutiche, oltre le 12 settimane, a seguito di un aborto spontaneo o di malformazioni diagnosticate nel feto:

Questo è un ospedale che ha una tradizione particolare. È un ospedale che nasce nel 1840 per curare gli stranieri che abitano a Genova. Se lei va nel nostro reparto metà delle infermiere non sono italiane. Abbiamo infermiere indiane, equadoregne, polacche, personale inglese, quindi adesso molto meno ma fino a trent’anni fa era tutto personale straniero. Parlano tutti almeno una lingua poi adesso è diventato ASL anche questo con delle caratteristiche multiculturali perché gli evangelici sono molto diversi dai cattolici

141 In base alla legge 40/2004 l’accesso è a carico del Sistema Sanitario per le coppie conviventi/sposate, in età fertile, in

regola con i documenti di soggiorno.

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come apertura mentale. Puoi fare un’interruzione di gravidanza tranquillamente. Il Sant’Eugenio ormai non fa più niente ma fanno finta di mandarli qua, secondo me non fanno neanche più l’ambulatorio anche se hanno delle persone che non sono obiettori ma li tengono belli nascosti. Però qua normalmente in una settimana si fanno le interruzioni e si sono sempre fatte[…] La maggior parte dei medici qua non sono obiettori qui che è un’eccezione perché se via al Sant’Eugenioc’è la A., la M. che non sono obiettori poi gli altri tutti obiettori…che poi non sono obiettori per davvero eh sono obiettori perché fare le interruzioni non è un’attività piacevole, è giudicata di poco livello scientifico per cui nessuno le vuole fare! (ginecologo, centro infertilità).

L’orientamento religioso rappresenta uno strumento utile a facilitare l’accesso dei migranti mediante progetti finanziati dalla chiesa valdese, in collaborazione con le istituzioni. Dal 2013, l’Ospedale Santa Rita di Genova, in collaborazione con il Consolato dell’Ecuador, promuove attività di accoglienza e inclusione come “Finestra rosa”, attraverso la sottoscrizione di un memorandum contro la discriminazione la violenza sulle donne e il femminicidio. Le attività introdotte si inseriscono in “quello spirito di accoglienza che è base e fondamento storico dell’Ospedale Santa Rita Internazionale, non disgiunto bensì correlato all’attività erogata in sanità143”:

Tornando alle donne ecuadoregne, noi le abbiamo qui perché esiste un accordo con il Consolato, c’è stato un tentativo di accordo noi abbiamo invitato la console dell’Ecuador l’anno scorso. Quindi noi abbiamo parecchie pazienti ecuadoregne che vengono qua… Il fatto di essere un ospedale evangelico è determinante perché qui c’è una parte del personale che è straniero di origine. Abbiamo avuto un contatto specifico fra la Console dell’Ecuador e la nostra presidente, per quello che riguarda la ginecologia c’è un accesso privilegiato perché classicamente questo gruppo di persone non benestanti stanno tutte nei quartieri intorno a Sampierdarena e classicamente dal punto di vista parto andavano a Sampierdarena. Adesso dopo che c’è stato questo contatto più di un anno fa con il Consolato una parte sta shiftando verso Voltri (ginecologo e andrologo, responsabile reparto PMA)

Si presuppone, infatti, che la popolazione straniera non possa accedere alle informazioni di base nell’ambito della salute riproduttiva, perciò si ritiene necessario intervenire con indicazioni o segnalazioni da parte delle istituzioni. La scelta procreativa non è volontaria e autonoma perché le donne sono ritenute prive di strumenti adeguati. I latinoamericani sono percepiti come un gruppo omogeneo per classe sociale e cultura che non ha accesso alle informazioni sulla salute riproduttiva. Le parole degli operatori mettono in luce la presenza di una prospettiva riduzionista che da una parte tende a vittimizzare le donne latinoamericane, limitandone il ruolo attivo nelle scelte; dall’altra enfatizza il peso esercitato da fattori culturali. Come sostengono diversi studi (Tognetti Bordogna, 2013; Lagomarsino, Pagnotta, 2012; Krebbex, 2017; Rosas, Gayet, 2019) le percezioni degli operatori si fondano su un’immagine idealizzata della popolazione latinoamericana come un insieme

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omogeneo in cui non esistono differenze di classe, capitale culturale, contesto socio-economico e percorso migratorio. Inoltre, i modelli di genere e sulla sessualità risultano fissi e immutabili, svincolati dal contesto di vita (Foner, 1975; Parreñas, 2004).

Dalla ricerca sul campo è emerso che gli operatori tendono a vedere le donne latinoamericane residenti a Genova come obbligate a rivolgersi ai centri pubblici per effettuare la PMA a causa di una condizione economica e professionale complicata, precaria ma inevitabile in quanto migranti. Le famiglie migranti latinoamericane si basano sul lavoro della madre (automaticamente considerata badante o colf) mentre il padre è assente o non è in grado di assumersi le proprie responsabilità genitoriali:

L’accesso degli stranieri è in continuo aumento…L’altro aspetto è che noi abbiamo una composizione della clientela che non rispecchia la popolazione in generale, noi abbiamo più stranieri qua di quanti ce ne siano fuori perché siccome è un centro pubblico e quindi gratuito. Sono convinto che se vai al “Novepuntobaby” (centro privato di Procreazione Medicalmente Assistita) in corso Torino non ci trovi tante equadoregne e albanese e sicuramente non ci trovi delle nigeriane perché secondo me non gli danno un appuntamento nemmeno quando telefonano. Prova a far chiamare una nigeriana vedrai che non glielo danno un appuntamento! Noi trattiamo un po’ di tutto ma abbiamo una richiesta forte perché siamo un centro pubblico quindi vieni qua e paghi 36 euro di ticket e 22 la seconda volta e hai a disposizione me che voglio dire in studio prendo 200 euro per visitare una coppia e aspetti un mese per fare una visita con me. E uno perché dovrebbe andare in uno studio? Vai nel privato per fare prima e per non mischiarti con la gente che va nei centri pubblici. Quindi la gente che va al 9puntobeby è gente che ha fretta, gente che da noi sa che c’è da aspettare nove mesi per una fecondazione e se ho i soldi per pagare pago e chissenefrega […] Le classi sociali con income più basso, non necessariamente con livello culturale più basso, ma in condizioni economiche più basse sono obbligate a venire da noi. Da noi c’è sicuramente della gente che in un centro privato non può permettersi di andare perché il prezzo di una fecondazione privata è almeno 5000 euro e non è come l’appendice che uno paga e guarisce 99 volte su 100, la fecondazione funziona 25 volte su 100 quindi se la fa e spende 5000 euro 3 volte su 4 non hai il bambino, ecco è chiaro che non è una prospettiva semplice per una persona che vive di uno stipendio (ginecologo, centro pubblico PMA). Nell’Ospedale Policlinico Sant’Anna, in caso di pazienti stranieri, per facilitare la comunicazione è previsto un servizio di traduzione telefonico, non è contemplata la figura del mediatore linguistico culturale all’interno della struttura né di altre figure esperte nell’ambito delle relazioni interculturali. Nel centro di infertilità del Santa Rita ho riscontrato ugualmente la mancanza del mediatore linguistico culturale. Secondo il responsabile del centro, l’accesso e la comunicazione con i pazienti di origine latinoamericana sono facilitati dalla disponibilità di operatori della medesima nazionalità la cui presenza è agevolata dallo specifico orientamento religioso della struttura.

Durante la ricerca sul campo condotta all’interno del reparto di PMA dell’Ospedale Sant’Anna di Genova, il servizio di traduzione telefonica non è mai stato utilizzato sebbene risultasse estremamente

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necessario nell’accoglienza e nella gestione delle numerose coppie di diverse nazionalità. Infatti, ho assistito a colloqui e visite ambulatoriali in cui il marito si proponeva nel ruolo di traduttore. Nel caso delle donne migranti latinoamericane spesso si presentano alle visite sole, senza il marito o accompagnate da parenti di genere femminile, madri, amiche, sorelle. Secondo gli operatori, le donne ecuadoriane e peruviane non presentano difficoltà nella comunicazione con il medico, sia per vicinanza culturale e linguistica che per un livello di integrazione superiore rispetto ad altre nazionalità. Spesso gli operatori non usufruiscono del servizio di traduzione linguistica perché lo considerano inutile o non efficace: in parte, perché la modalità di fruizione risulta complicata; in secondo luogo, si tende a sopravvalutare le competenze linguistiche delle pazienti; si prediligono soluzioni alternative considerate rapide e semplici (comunicare in lingua inglese, far tradurre il marito, richiedere intervento di un operatore madre lingua). In questi casi, come ho potuto notare sul campo, le conseguenze si ripercuotono sulle donne in cura che non riescono a comprendere pienamente le informazioni del medico e spesso non si sentono in grado di porre domande, chiarire dubbi o affrontare questioni etiche rilevanti.

L’accesso ai servizi nell’ambito della salute riproduttiva dipende da questioni strutturali legate alle politiche sanitarie nazionali (numero di posti letto, contratti di lavoro del personale sanitario, servizi di mediazione linguistico-culturale) ed è fortemente condizionato da aspetti simbolici legati alla comunicazione medico-paziente, alla percezione d’inclusione e alla fiducia trasmessa nei pazienti di origine straniera verso gli operatori e il sistema sanitario. Tali aspetti si configurano come centrali in quanto influiscono sull’efficacia del processo terapeutico.

Si tratta di aspetti materiali fortemente collegati agli investimenti sulla salute riproduttiva messi in campo a livello locale e nazionale che condizionano l’organizzazione (le negoziazioni sui contratti di lavoro del personale), implicano diversi tempi di attesa per il trattamento e determinano modalità non uniformi di erogazione dei servizi. Pertanto, l’accesso ai servizi può essere agevolato da un ambiente accogliente, in grado di trasmettere fiducia verso gli operatori, ad esempio la presenza stabile del personale medico e di un mediatore linguistico faciliterebbe la comunicazione medico-paziente. Viceversa, fattori legati all’organizzazione del reparto, ad esempio, la complessità affrontata per mettersi in contatto con il centro, in particolare, le modalità di comunicazione per via telefonica, specialmente nel caso di donne migranti, possono determinare incomprensioni e conflitti.

L’incapacità di rendere accessibili alla popolazione migrante le tecnologie riproduttive mette in luce un rifiuto di tipo strutturale da parte del sistema sanitario verso i migranti. Nelle indagini condotte in Ecuador sulla questione del ricorso alle tecnologie riproduttive, Roberts (2013, 2016a, 2016b) mette in luce il modo in cui le differenze legate alla classe, al genere e all’etnia di appartenenza

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condizionano il percorso terapeutico determinando difficoltà nell’accesso alle informazioni, incomprensioni e conflitti nel rapporto con gli operatori e le istituzioni. Le esperienze narrate dalle donne rivelano, in alcuni casi, l’incapacità di reagire, di sollevare questioni, porre domande e riuscire a rifiutare procedure, esami, tecniche. In questo senso, all’interno di un sistema sociale diseguale, le istituzioni sanitari si configurano come risorse sociali il cui accesso riflette l’ordine sociale gerarchico fondato sul primato della “bianchezza delle élite” (Roberts, 2016).

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