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La metodologia della ricerca

3.1 Il percorso e i luoghi della ricerca

Nel corso del lavoro sul campo svolto da ottobre 2017 a giugno 2019, in parallelo all’osservazione partecipante, ho condotto una serie di interviste in profondità, indirizzate a donne migranti di origine peruviana e ecuadoriana con esperienze di maternità e infertilità; con operatori sanitari, religiosi e sociali. Mediante un approccio etnografico, ho tentato di comprendere il significato attribuito al diventare madre e all’avere un figlio fra le donne migranti di origine latinoamericana residenti nella città di Genova. L’osservazione partecipante si è concentra in diversi luoghi della città, in particolare presso l’ospedale Sant’Anna e la Curia Pastorale Latinoamericana situata nello spazio adiacente alla Chiesa di Santo Stefano.

Il materiale etnografico raccolto è formato da 30 interviste in profondità a donne migranti latinoamericane di cui 23 con esperienze di infertilità e/o ricorso alle tecnologie riproduttive; 16 interviste a operatori, medici e sanitari (12), responsabili religiosi (3) e un operatore sociale.

71 • 2 ostetriche reparto maternità • 1 frate cappuccino • 1 Volontaria associazione di mutuo aiuto per persone con esperienze di infertilità • 2 biologi centro infertilità pubblico • 1 pastore valdese • 1 psicologa consultorio privato • 1 sacerdote salesiano • 3 ginecologhe centro pubblico infertilità • 2 ginecologhe reparto maternità • 1 ginecologa centro infertilità privato convenzionato

• 1 assistente sanitaria con funzioni dirigenziali

Tale percorso mi ha portato a rivolgere l’attenzione verso le forme di discriminazione razziale e le relazioni di potere fra i sessi come aspetti centrali da considerare nell’ambito della riproduzione parallelamente alle strategie messe in atto dalle donne migranti. Oggetto della ricerca è l’esperienza dell’infertilità e il ricorso alle tecniche di riproduzione assistita, in relazione ad alcune importanti trasformazioni sociali: l’incremento delle tecniche di riproduzione assistita, la presenza stabile di famiglie migranti di origine latinoamericana nel territorio genovese, l’aumento dell’età media femminile alla prima gravidanza, la riduzione nel numero di figli e delle dimensioni di famiglia. Il terreno di ricerca è costituito dal reparto di Fisiopatologia della Riproduzione situato nell’ospedale Sant’Anna di Genova, all’interno del quale sono state esaminate alcune pratiche: i colloqui informativi di gruppo e di coppia, le prestazioni per la diagnosi e la terapia dell’infertilità di coppia, le procedure di crioconservazione dei gameti ed embrioni. Il Centro di Fisiopatologia della Riproduzione Umana (FRU) è iscritto al Registro Nazionale dell’Istituto Superiore di Sanità come Centro di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) di II livello ed è riferimento regionale per le problematiche di Oncofertilità. Durante il periodo di osservazione all’interno del reparto, tra il febbraio del 2018 e marzo 2019, ho partecipato con frequenza quotidiana alle attività del centro. Ho svolto 20 interviste con donne di origine ecuadoriana e peruviana pazienti o ex pazienti del centro e

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4 interviste al personale medico (ginecologhe e biologhe). Il diario di campo raccoglie materiale etnografico così composto: le conversazioni con il personale del centro FRU, le osservazioni sul funzionamento del reparto e le informazioni ottenute consultando l’archivio dell’ospedale.

Le interviste rivolte al personale medico impiegato presso il centro FRU sono state condotte all’interno del reparto con lo scopo di indagare il modello riproduttivo prevalente nella classe medica e le percezioni rispetto alle donne migranti latinoamericane che accedevano al centro. Inoltre, ho avuto la possibilità di assistere ai colloqui informativi e orientativi di coppia durante i quali si stabilisce il percorso da intraprendere.

In concomitanza all’indagine svolta presso l’ospedale Sant’Anna, ho avuto la possibilità di svolgere alcune interviste con gli operatori sanitari presso il centro di Medicina della Riproduzione dell’Ospedale Santa Rita di Genova, situato nella sede di Castelletto. Le due esperienze vissute differiscono profondamente, in quanto l’accesso all’ospedale Santa Rita è stato limitato dalla Direzione Sanitaria: non ho potuto osservare il funzionamento del centro di Medicina della Riproduzione e nemmeno partecipare in occasione dei colloqui informativi con le coppie. Mi è stata concesso di assistere alle riunioni informative collettive.

In parallelo all’osservazione partecipante nel reparto di PMA, ho svolto un periodo di ricerca presso l’ambulatorio della 37ma settimana e l’ambulatorio delle IVG33.

Nel primo caso, l’ambulatorio è situato all’interno del padiglione dedicato alla maternità, mentre il colloquio per le IVG si svolge presso un ambulatorio nello stesso padiglione in cui è collocato il reparto di PMA.

L’ambulatorio offre un sevizio introdotto da alcuni anni con lo scopo di informare la donna su aspetti relativi al ricovero in ospedale per il travaglio, allo stesso tempo è utile per l’operatore al fine di accertare la situazione clinica della donna e l’andamento della gravidanza. Il servizio è disponibile su appuntamento contattando direttamente il reparto ed è attivo solo alla mattina. Il colloquio dura circa un’ora e prevede alcuni accertamenti. Inizialmente, sulla base della documentazione clinica relativa alla gravidanza, l’ostetrica responsabile del servizio procede alla compilazione della cartella clinica del ricovero. In particolare, si occupa di controllare che la donna abbia eseguito gli esami previsti nei tempi indicati. Nel corso dell’incontro, l’ostetrica effettua una valutazione complessiva della condizione clinica della donna evidenziando i rischi e indicando ulteriori accertamenti. Al termine del colloquio, l’ostetrica esegue un tampone vaginale e uno rettale per verificare la presenza di un particolare germe che può essere trasmesso al bambino durante il parto.

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L’ambulatorio delle IVG è aperto due giorni a settimana solo al mattino ed è gestito da medici specializzandi con la supervisione del medico strutturato. Per accedere all’ambulatorio, la Legge 194/1978 stabilisce la necessità di una certificazione di gravidanza rilasciata dal medico di fiducia, dal consultorio o dalla struttura socio-sanitaria. Nel corso dell’incontro il medico compila una cartella informatizzata inserendo alcuni dati relativi alla condizione clinica della donna. Si occupa di accertare lo stato di gravidanza mediante un’ecografia per valutare l’epoca gestazionale e stabilire il percorso adeguato. Infatti, nel caso di interruzioni entro la settima settimana è possibile ricorrere alla pillola abortiva, altrimenti è necessario un intervento chirurgico in anestesia. L’aborto farmacologico prevede l’assunzione da parte della donna di due compresse somministrate a due giorni di distanza l’una dall’altra che provocano l’espulsione del materiale abortivo in poco tempo.

Il materiale raccolto è formato dalle interviste a operatori di un consultorio pubblico e uno privato situati nel territorio genovese, a cui afferiscono numerose donne di origine latinoamericana. Inoltre, mi sono rivolta ad un centro di infertilità privato convenzionato, unico nel suo genere nel territorio genovese: l’obiettivo era quello di comprendere meglio il rapporto fra operatori e donne migranti, esaminando aspettative, idee e comportamenti rilevanti diffusi tra gli operatori rispetto alla popolazione latinoamericana residente.

Seguendo il metodo proposto da Rapp (1998), la scelta delle strutture sanitarie riflette il tentativo di svolgere un’indagine in diversi contesti sociali: ospedali di città frequentati da persone di classe medio-bassa, centri pubblici a cui afferiscono in prevalenza pazienti di classe media e pochi di estrazione sociale bassa; strutture private di élite. L’indagine etnografica si concentra “su cosa accade dentro e fuori ai laboratori e agli ospedali” (Rapp, 1998: 47), al fine di esplorare il ruolo di attori coinvolti ma invisibili. L’obiettivo consiste nell’indagare i modi in cui donne diverse per origini etniche-razziali e nazionali, classe sociale e orientamento religioso vivono il ricorso alle tecnologie biomediche, l’esperienza di infertilità, il fallimento o il successo del percorso e il significato attribuito ai materiali prodotti (embrione, gameti,).

Allo stesso tempo, la ricerca si è concentrata verso alcuni luoghi di culto appartenenti a due confessioni religiose frequentati da numerosi latinoamericani: due chiese cattoliche, una gestita da frati cappuccini e l’altra dai salesiani; due centri evangelici, uno metodista-valdese e l’altro evangelico-carismatico. L’osservazione partecipante è stata condotta principalmente presso una chiesa cattolica situata nel centro cittadino mediante un periodo prolungato di permanenza sul terreno (circa un anno e mezzo); nelle due comunità evangeliche individuate ho svolto interviste e partecipato a diversi eventi religiosi, incontri, seminari per un periodo di tempo limitato (tre/ quattro mesi). Nel periodo compreso fra Ottobre 2017 e febbraio 2019 ho frequentato in qualità di ricercatrice la Curia

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Pastorale Latinoamericana della Chiesa di Santo Stefano a Genova. La Curia Pastorale è un’istituzione ecclesiale che si occupa di offrire ai migranti latinoamericani presenti a Genova un servizio di promozione umana e sociale, oltre che un percorso di inserimento lavorativo mediante corsi per l’apprendimento della lingua italiana, la formazione al lavoro e seminari sociali. Infatti nel 1998, i frati cappuccini della Liguria in collaborazione con i confratelli del Perù mettono a disposizione il convento di Santo Stefano per l’accoglienza ai migranti latinoamericani.

Nello spazio della Curia Pastorale, ho potuto approfondire l’esperienza di maternità vissuta dalle donne di origine latinoamericana, focalizzando l’attenzione sul ruolo esercitato della fede religiosa nell’orientare i comportamenti riproduttivi. In particolare, mi sono occupata delle trasformazioni concernenti l’aumento dell’età riproduttiva femminile, l’uso delle nuove tecnologie riproduttive e la riduzione del numero di figli per coppia. Nello spazio della curia ho partecipato ai corsi pomeridiani gratuiti, agli incontri di catechesi, alle celebrazioni liturgiche, agli eventi proposti e sono stata accolta nei gruppi di preghiera e agli incontri del coro.

La Chiesa Evangelica Ispano-Americana fa parte della Chiesa Valdese, unione delle Chiese Metodiste e Valdesi, è stata fondata durante gli anni Novanta al fine di fornire assistenza, sostegno materiale e spirituale ai migranti latinoamericani arrivati a Genova. La Chiesa Valdese si definisce34 una Chiesa cristiana, riformata, evangelica e protestante35. Nell’ambito delle profonde trasformazioni legate ai recenti flussi migratori, si occupa di promuovere attivamente un progetto di integrazione denominato “Essere chiesa Insieme” con lo scopo di favorire un cammino di fede comune rivolto principalmente ai migranti e rifugiati36. Nel corso del lavoro sul campo ho avuto la possibilità di partecipare agli incontri pomeridiani rivolti ai giovani della comunità dove svolgono varie attività tra cui cineforum, incontri musicali e l’insegnamento del Vangelo; ho svolto alcune interviste ai fedeli e ai responsabili. La Chiesa Evangelica Apostolica è un’organizzazione religiosa presente sul territorio italiano da circa vent’anni con sede in diverse città fra le quali Genova37. I colloqui con gli operatori sono stati condotti

34 Bilancio sociale 2017. Chiesa evangelica valdese, unione delle chiese metodiste e valdesi. Commissione sinodale per

la Diaconia, Opera per chiese Evangeliche Metodiste in Italia, Tavola Valdese.

35 Nonostante alcune differenze legate all’origine storica, Valdesi e Metodisti, in modi e tempi diversi, aderiscono alla

Riforma Protestante. Nel 1975, tramite un Patto di Integrazione, si costituisce l’Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi e nel 1984 la Tavola Valdese firma l’Intesa con lo Stato che riconosce autonomia e indipendenza all’ordinamento. La Chiesa Valdese mantiene legami con altre realtà evangeliche e protestanti in Italia (Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI) e nel mondo (Consiglio Ecumenico delle Chiese).

36 In Italia, le chiese dell’Unione metodista e valdese sono 156 e contano 21.657 membri distribuiti nel territorio

nazionale, in particolare nella Val Pellice in Piemonte. I valori principali su cui si fonda sono i seguenti: combattere le discriminazioni razziali, di genere, culturali; garantire la libertà religiosa e la laicità delle istituzioni; favorevoli all’introduzione al testamento biologico e all’eutanasia.

37 Si tratta di una Chiesa fondata nel 1959 in Ecuador che attualmente conta 1032 congregazioni, 200.000 credenti ed è

diffusa in 21 paesi. La missione è evangelizzare gli strati sociali più vulnerabili attraverso attività istituzionali basate sui valori dell’amore e della determinazione, al fine di favorire una crescita spirituale individuale basata sul vangelo.

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all’interno della struttura religiosa di riferimento, l’intervista individuale è stata registrata senza difficoltà. In questo caso, l’accesso al campo è stato facilitato da una coppia di fedeli appartenenti alla chiesa incontrati in ospedale. Questi mi hanno presentato il pastore che si è mostrato disponibile al dialogo e a far conoscere le attività promosse dalla congregazione. Nel corso del lavoro sul campo, mi hanno accolto ad eventi internazionali, incontri di preghiera e attività del centro estivo.

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