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Le tecnologie riproduttive in Italia: il quadro normativo, le politiche sulla fertilità e l’accesso ai servizi di salute riproduttiva

4.2 Il quadro normativo della PMA in Italia

4.2.2 Dalla Legge 40/2004 ad ogg

Nel 2004 il legislatore decide di intervenire attraverso la Legge 40/2004 in materia di fecondazione assistita. In questo provvedimento legislativo il ricorso alla PMA è consentito per risolvere problemi di infertilità e sterilità di coppia, l’accesso alle tecniche è garantito nel caso in cui non vi siano

48 Ordinanza del Ministero della Sanità, a firma del Ministro pro-tempore On. Bindi “Divieto di commercializzazione e

di pubblicità di gameti ed embrioni umani” pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 7 marzo 1997.

49 Atti della sentenza 162/2014 della Corte Costituzionale.

50 Camera dei Deputati, Relazione della XII Commissione Permanente (Affari Sociali) presentata alla Presidenza il 14

luglio 1998, sulle proposte di legge N. 414-616-816-817-958-991-1109-1140-1304-1365-1488-1560-1780-2787-3323- 3333-3334-3338-3549-4755.

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disponibili altri metodi terapeutici efficaci, a coppie di maggiorenni, di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi. Riguardo allo stato giuridico del nato (art. 8), i bambini nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime. Con riferimento alla genitorialità l’art. 9 esprime il divieto del disconoscimento della paternità e la madre non può dichiarare la volontà di non essere nominata. La Legge n. 40 del 2004 è stata novellata con diversi interventi del legislatore nell’intento di adeguarne i profili di incostituzionalità dichiarati dal giudice Costituzionale nel tempo. Recentemente, ancora la Corte Costituzionale è intervenuta51, statuendo per le coppie omosessuali la legittimità del limite posto dalla Legge 40/2004 all’accesso a carico dello Stato.

Attualmente il trattamento di PMA nei centri pubblici è regolato da: ➢ Legge del 24 febbraio 2004, n. 40

➢ Linee guida del Ministero della Salute del 14 luglio 2004

➢ Decreto del Ministero della Giustizia e del Ministero della Salute del 21 Febbraio 2005, n. 42 ➢ Sentenza della Corte Costituzionale del 08 maggio 2009 n.151

➢ Sentenza della Corte Costituzionale del 09 Aprile 2014 n. 162 ➢ Sentenza della Corte Costituzionale del 05 giugno 2015, n. 96

Per maggiore chiarezza, conviene ripercorrere i passaggi fondamentali delle relative motivazioni.

➢ Sentenza della Corte Costituzionale del 2009, n. 151

In questo caso, tre coppie di coniugi propongono istanza ai giudici ordinari per ottenere un provvedimento d’urgenza nei confronti dei medici, affinché eseguano in loro favore la creazione di un numero di embrioni superiore al limite stabilito per legge e la possibilità di crioconservazione degli stessi per eseguire più di un tentativo di impianto. Le coppie richiedenti presentano patologie genetiche con possibilità di trasmissione alla prole pari al 50%, per questo motivo. chiedono che venga riconosciuta la possibilità di revocare il consenso al trasferimento in utero degli embrioni prodotti qualora risultino affetti da malattia genetica.

In particolare, la Corte deve valutare la legittimità costituzionale della legge 40 del 2004 negli articoli in cui vieta la revoca del consenso dopo la fecondazione (art. 6 comma 3), vieta la creazione di un

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numero di embrioni superiore a tre (art. 14, commi 2 e 3) e stabilisce il divieto di crioconservazione e soppressione degli embrioni (art. 14, comma 1).

Viene sollevata questione di legittimità costituzionale della Legge 40/2004, in base ai principi contenuti negli artt. 2, 3, 13, 32 della Costituzione, in particolare in base al principio di uguaglianza e il principio di ragionevolezza perché la legge non garantisce la tutela di tutti i soggetti coinvolti, favorendo in questo caso la tutela dell’embrione rispetto alla tutela dell’esigenza di maternità. Al contrario, occorre garantire la tutela dell’embrione favorendo le possibilità di successo di gravidanza. In questo caso, produrre tre embrioni significa che alcuni andranno dispersi in ogni caso o non daranno esito a gravidanza.

Nelle fattispecie, i ricorrenti sostengono l’illegittimità della legge nella parte in cui non considera il diritto alla salute, in particolare, laddove consente pratiche che non bilancerebbero adeguatamente la tutela della salute della donna rispetto a quella dell'embrione. La limitazione nel numero di embrioni producibili e impiantabili e la loro crioconservazione provocherebbero un danno alla salute della donna che, nel caso di fallimento delle procedure biomediche, dovrebbe sottoporsi ad un ulteriore ciclo di stimolazione ovarica. La legge sarebbe illegittima in base al divieto di discriminazione: per quanto attiene alla parità di trattamento, la norma in esame non garantisce a tutte le coppie le stesse possibilità di successo perché coppie con condizioni di salute e di età migliori hanno maggiori possibilità di ottenere un concepimento. In questo modo, la legge discrimina le coppie affette da gravi patologie nel momento in cui stabilisce che le coppie pur presentando condizioni diverse (diagnosi di infertilità, salute, età) debbano per legge avere soluzioni identiche, cioè debbano sottoporsi ad una forma precisa di tecnica di fecondazione uguale per tutti.

La Corte accoglie le doglianze dei ricorrenti e dichiara l’illegittimità dell’art. 14 comma 2 e 3 in quanto in contrasto con l’art. 3 della Costituzione sotto il duplice profilo di ragionevolezza e di uguaglianza perché il legislatore prevede un modello unico a fronte delle notevoli differenze fra le coppie. È irragionevole non considerare la possibilità di adottare un trattamento diverso, in base alle condizioni della coppia, nel tentativo di non ledere la salute femminile obbligando ad ulteriori cicli di stimolazione. Seconda la Corte il fatto che esista un unico protocollo di applicazione delle tecniche, indipendentemente dalle caratteristiche della coppia (tipo di fertilità, età, salute) viola il diritto alla salute della donna. In particolare, la Corte dichiara l’illegittimità della Legge 40/2004 nella parte in cui prevede "un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre" (comma 2) e decide di stabilire una deroga al divieto di crioconservazione nei casi in cui venga prodotto un numero di embrioni superiore a quello da impiantare e nel caso in cui la salute della donna non permetta il trasferimento degli embrioni (comma 3).

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➢ Sentenza della Corte Costituzionale del 2014, n.162

Si tratta del caso di tre coppie di coniugi che propongono istanza rispettivamente ai giudici ordinari di Milano, Firenze e Catania, per ottenere provvedimento d’urgenza nei confronti di medici affinché eseguano in loro favore le tecniche di PMA di tipo eterologo stante “infertilità assoluta” nella coppia. In particolare, in un caso si tratta di una coppia affetta da infertilità primaria, cioè la donna è sterile a causa di una menopausa precoce, mentre alla seconda coppia viene diagnosticata un’infertilità di tipo maschile, una azoospermia52 assoluta, senza possibilità di intervento.

La questione di legittimità costituzionale, questa volta, riguarda la Legge 40/2004 nella parte in cui vieta il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo (art. 4, comma 3) e il divieto del disconoscimento della paternità e dell’anonimato della madre (art. 9 commi 1 e 3).

Le motivazioni dei ricorrenti fanno riferimento ai parametri di cui agli artt. 2, 3, 29, 31, 32, 117 della Costituzione e agli artt. 8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) che garantisco il diritto alla vita privata e alla famiglia e stabiliscono il divieto di discriminazione. In particolare, il divieto di eterologa riguarda i seguenti principi: diritto alla piena realizzazione della vita privata familiare; diritto di autodeterminazione delle coppie, colpite da sterilità o infertilità irreversibile, alla propria genitorialità; diritto alla formazione della famiglia e alla tutela della finalità procreativa del matrimonio. Inoltre, si evidenzia il fatto che il trattamento di fecondazione eterologa non violerebbe il diritto del concepito al riconoscimento di un proprio status filiationis quale elemento costitutivo dell’identità personale. Il divieto di eterologa inoltre, violerebbe i principi di non discriminazione e di ragionevolezza, in virtù dei quali la legge non può stabilire una diversità di trattamento per soluzioni identiche, salvo ragionevoli giustificazioni. In particolare, il divieto di ricorso alla PMA eterologa discriminerebbe le coppie infertili differenziandole unicamente in virtù della patologia di cui soffrono. All’identico limite della coppia (infertilità e sterilità) dovrebbe corrispondere un’identica possibilità di accedere alla miglior tecnica medico-scientifica utile. Il divieto totale di fecondazione eterologa si presenterebbe discriminatorio in modo irragionevole poiché non è il mezzo idoneo né l’unico per tutelare i concorrenti diritti confliggenti con il diritto all’accesso stesso.

In particolare, i ricorrenti sostengono l’illegittimità della legge nella parte in cui il divieto di procreazione eterologa non tutela l’integrità psichica e fisica delle coppie sterili. Riguardo all’ipotesi secondo la quale il ricorso alla fecondazione eterologa provocherebbe una frattura tra genitorialità genetica e genitorialità legittima, i ricorrenti evidenziano come nel nostro ordinamento siano già

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presenti istituti che legittimano i rapporti parentali a prescindere dalla relazione biologica genitoriale. Nella memoria depositata dalla società cooperativa UMR–Unità di Medicina della Riproduzione, che si è costituita parte civile, viene evidenziato il fatto che le pratiche di fecondazione eterologa basate sull’utilizzo di gameti esterni alla coppia rappresentino un dono. Secondo la Società di Medicina della Riproduzione, si tratta di riconoscere tale pratica terapeutica come “un atto volontario e gratuito caratterizzato da istanze di solidarietà”.

La Corte dichiara l’illegittimità costituzionale del “divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili". La decisione viene presa in considerazione dei seguenti parametri: in primo luogo, si tratta di questioni etiche in cui bisogna ricercare un equilibrio fra i molteplici interessi contrapposti che si riferiscono alla tutela dell’embrione e la tutela dell’esigenza procreativa della coppia; in secondo luogo, la censura del divieto non viola le norme internazionali ed europee che escludono l’uso della PMA a fine eugenetici e il divieto di clonazione53.

La Corte fa presente che la Legge 40/2004 può considerarsi incostituzionale nel momento in cui non consente l’accesso alla PMA eterologa a coppie sterili cioè destinatarie della legge stessa, in particolare perché impedisce la formazione di una famiglia considerata come l’espressione di autodeterminazione dell’individuo e del diritto alla libertà di scelta che riguarda la vita privata e familiare. La Legge 40 del 2004 si propone di tutelare le esigenze di procreazione dichiarando che la volontà di formare una famiglia anche per una coppia sterile è incoercibile dallo Stato. Il divieto di fecondazione eterologa è illegittimo per la Corte in relazione al diritto alla salute considerato come una forma di tutela del benessere psichico non solo fisico della coppia54. Si sottolinea come non ci sono differenze sostanziali negli effetti sulla salute fisica provocati dalla PMA di tipo omologo ed eterologo, mentre l’impossibilità di fare figli con il proprio partner mediante le tecniche eterologhe provoca conseguenze gravi sul benessere della coppia.

La Corte conclude che l’assolutezza del divieto di eterologa non è l’unico modo per tutelare valori costituzionali. Infatti, le conseguenze relative al rischio psicologico nel nascituro derivante da una genitorialità non naturale e dalla violazione dal diritto a conoscere la propria identità genetica sono state risolte con la Legge n. 154 del 201355 in cui si stabilisce l’eliminazione del vincolo di segretezza

rispetto all’identità genetica e ai genitori biologici per le famiglie adottive. La Corte prosegue

53 Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997, ratificata in Italia con Legge 28 marzo 2001, n. 145.

54 Questa nozione corrisponde a quella sancita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo la quale «Il possesso

del migliore stato di salute possibile costituisce un diritto fondamentale di ogni essere umano» (Atto di costituzione dell’OMS, firmato a New York il 22 luglio 1946).

55 (art. 28, comma 4, della legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Diritto del minore ad una famiglia», nel testo

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indicando come ulteriore elemento di irragionevolezza della legge il fenomeno del turismo procreativo: il divieto di eterologa introduce la possibilità di recarsi in altri paesi per effettuare la fecondazione assistita creando una disparità di trattamento in base alla capacità economica della coppia.

➢ Sentenza della Corte Costituzionale del 2015, n. 96

In questo caso, alcune coppie fertili ma affette o portatrici sane di gravi patologie genetiche ereditarie, suscettibili di trasmettere al nascituro rilevanti anomalie o malformazioni, si rivolgono al giudice ordinario per richiede l’accesso alla PMA con diagnosi preimpianto. L’illegittimità costituzionale, questa volta, si riferirebbe agli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili56.

La Corte rileva innanzitutto “un insuperabile aspetto di irragionevolezza dell'indiscriminato divieto [...] all'accesso alla PMA, con diagnosi preimpianto, da parte di coppie fertili”. L'impossibilità di ricorrere alla procreazione artificiale poneva tali coppie di fronte a due possibilità: rinunciare ad avere un figlio, oppure concepire in maniera "naturale" un figlio che molto probabilmente sarebbe stato colpito dalla malattia trasmessagli dai genitori, salva la possibilità di ricorrere poi all'aborto terapeutico.

Anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo interviene riguardo al profilo di irragionevolezza della Legge 40/2004 dichiarando che “le conseguenze di tale legislazione sul diritto al rispetto della vita privata e familiare dei richiedenti sono evidenti. Al fine di tutelare il loro diritto ad avere un figlio che non sia colpito dalla malattia di cui sono portatori sani, l’unica possibilità a loro disposizione è quella di iniziare una gravidanza con mezzi naturali e quindi terminarla se il test prenatale dimostra che il feto non è sano”. Nel richiamare e condividere tale valutazione, la Corte costituzionale argomenta che «[l]a normativa denunciata costituisce [...] il risultato di un irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco, in violazione anche del canone di razionalità dell'ordinamento ed è lesiva del diritto alla salute della donna fertile portatrice di grave malattia genetica ereditaria nella parte in cui non consente, e dunque esclude, che, possano ricorrere alla PMA le coppie affette da patologie siffatte.

Tutte e tre le pronunce della Corte Costituzionale si basano essenzialmente sulla violazione dell'art. 3 della Costituzione, nella sua duplice accezione normativa di principio di eguaglianza e di principio

56Malattie rispondenti ai criteri di gravità di cui all'art. 6, comma 1, lett. b), della l. 22 maggio 1978, n. 194 («Norme per

la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza»), accertate da apposite strutture pubbliche.

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di ragionevolezza, anche in relazione ad altre disposizioni costituzionali (artt. 13, 32). È indicativo dei delicati equilibri istituzionali, sottese alle vicende legislative dei provvedimenti, come la Corte, in ordine al rischio paventato di creare un vuoto normativo a seguito della cesura del divieto, respinga ogni addebito e lo rinvii al legislatore: il potere «di dichiarare l’illegittimità costituzionale delle leggi non può trovare ostacolo nella carenza legislativa che, in ordine a dati rapporti, possa derivarne; mentre spetta alla saggezza del legislatore […] di eliminarla nel modo più sollecito ed opportuno”. Ad oggi continua a tardare una rettifica della legge 40/2004 che garantisca l’applicazione delle tecniche di PMA in base alle interpretazioni della Corte Costituzionale, per questo motivo l’impianto normativo presenta dei vuoti che aprono il campo a forme di discriminazione e abusi di potere. Come evidenzia Maria Luisa Parisi (2017), gli aspetti più dibattuti e contraddittori della Legge 40/2004 sono stati riscritti da interventi giuridici messi in atto dalle persone stesse che hanno fatto ricorso alla PMA. Le Sentenze della Corte Costituzionale e dei tribunali ordinari, ricorda Parisi “hanno riabilitato – del tutto o in parte a seconda dei casi – alcune prassi mediche” (2017: 30) come, per esempio, il divieto di fecondazione con donazione di gameti.

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