Il dispositivo della PMA: il punto di vista degli operator
5.1 Le fasi della fecondazione assistita: “un tessuto fitto e rituale”
5.1.5 La stimolazione ormonale e il monitoraggio ecografico
Solitamente la donna che assume la terapia ormonale afferma di sentirsi gonfia, accusa mal di testa e, in alcuni casi, presenta sfoghi cutanei. Il medico tende a minimizzare tali condizioni, un fatto di poco conto, un fastidio accettabile che corrisponde al prezzo da pagare per realizzare il desiderio di avere un figlio. L’incontro con il medico si limita alla visita ecografica, non c’è spazio per un dialogo, per ascoltare i dubbi e le osservazioni delle donne. Il gonfiore, il senso di pesantezza, la nausea, l’aumento di peso, sono aspetti raramente menzionati dallo staff del centro durante i colloqui informativi collettivi e di coppia come le conseguenze legate ad aspetti emotivi vengono completamente tralasciate. Secondo l’analisi di Paxson (2003), tale atteggiamento riflette l’idea che le tecnologie siano una risposta ragionevole allo stress legato alla condizione di infertilità. Per questo motivo, gli operatori aderiscono alle indicazioni contenute nelle Linee Guida in cui gli aspetti immateriali e emozionali non hanno effetti sull’analisi del caso.
In un caso, la paziente ha riferito spossatezza, stanchezza e ha chiesto al medico informazioni sulle possibili cause. A fronte della richiesta di chiarimenti da parte della paziente, la dottoressa dichiara che tale malessere potrebbe essere dovuto alla terapia antibiotica e non a quella ormonale. Infatti, in previsione dell’intervento di prelievo degli ovociti, il medico può scegliere di prescrivere l’antibiotico per ridurre il rischio di infezioni. In un’occasione la paziente poneva dubbi in proposito, non condivideva il parere del medico considerando gli effetti negativi di una terapia antibiotica “preventiva”. Il medico non si è dimostrato comprensivo ma ha imposto la propria scelta senza motivazioni adeguate dicendole: “perché? le sposta così tanto la vita fare una terapia antibiotica124?”.
Durante il monitoraggio ecografico che si svolge all’interno dell’ambulatorio, il medico collabora con un altro operatore per accogliere gli utenti e, in particolare per trascrivere i dati relativi all’ecografia. La paziente si sdraia sul lettino in posizione ginecologica-litotomica e si annotano i dati riferiti dal medico rispetto alle dimensioni dell’endometrio, la quantità e il diametro dei follicoli ovarici. Nel caso in cui il medico decida la data dell’inseminazione o del pick up, si consegna alla
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signora un promemoria con la terapia, i modi e i tempi della somministrazione dei farmaci. Raramente ho potuto osservare momenti di dialogo con la donna anche in relazione alle particolari condizioni di lavoro: l’apertura è prevista soltanto al mattino fino alle 13.30, sono presenti solo due medici strutturati di cui uno è il responsabile del centro, a fronte di un numero di richieste in continuo aumento. I Monitoraggi ecografici previsti in un ciclo di PMA sono circa una decina: 2/3 alla settimana per un periodo di 3 settimane. Secondo il medico l’ecografia è percepita in modo positivo dalle pazienti, non è avvertita come un esame invasivo né una tecnica dolorosa, appare uno strumento di controllo che trasmette sicurezza: “cinque minuti in cui la paziente è tranquilla perché può controllare la situazione125”. Durante l’ecografia transvaginale il medico si occupa di osservare lo schermo dell’ecografo per procedere alla misurazione esatta delle dimensioni e quantità dei follicoli, eventuali fibromi, cisti ovariche. Lo stato emozionale della donna, le aspettative e le sensazioni non sono considerate. In seguito, si rivolge alla signora per consegnare la terapia. In caso di dubbi riguardo alle modalità di somministrazione dei farmaci vengono invitate a rivolgersi al personale infermieristico. Altrimenti, come è emerso dalle testimonianze raccolte, in caso di chiarimenti interpellano altri operatori del centro con cui hanno sviluppato un rapporto di fiducia.
5.1.5.1 La pregnanza simbolica dell’ecografia
A partire dagli anni Ottanta si è verificato un processo di iper-medicalizzazione della nascita che ha comportato la svalorizzazione delle percezioni delle donne, in favore di un modello dominante di salute biomedico indotto dalla pressione sociale (Duden, 1994, 2006). Il processo di medicalizzazione della riproduzione risulta trasversale alle classi sociali, il significato attribuito all’intervento biomedico si declina come idea di sicurezza, di modernità e di benessere divenendo così sinonimo della disponibilità di risorse economiche, culturali e segno di riconoscimento sociale.
Noi creiamo dei bisogni in questo modo, sono queste nuove tecniche, nuovi test di screening su sangue materno, non invasivi, a basso rischio, poco dolore perché è un prelievo di sangue e quindi allora… “sono costosi però così sono più tranquilla” che vuol dire tutto e niente (ostetrica, ambulatorio 37ma settimana). Secondo il parere dell’ostetrica intervistata, il processo di medicalizzazione della gravidanza corrisponde ad un “meccanismo perverso” che implica l’affermarsi di alcuni bisogni, e trasforma la percezione delle donne verso le tecnologie come pratiche che trasmettono una maggior sicurezza e senso di fiducia (Davis Floyd, 1994; 1998; Davis Floyd, Davis, 2013). Nel caso del passaggio dall’allattamento materno al biberon, le donne sono state incoraggiate da medici e operatori ad
125 Nota del diario di campo raccolta durante una conversazione informale all’interno dell’ambulatorio con un operatore
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abbandonare comportamenti legati a valori del passato; in cambio, si mostrano insicure del proprio sapere e delle proprie sensazioni (Badinter, 1981; Maher, 1992; Ranisio 2012; Duden, 1994, 2000, 2006).
Secondo me, noi professionisti abbiamo complicato tanto la vita delle donne rendendole così insicure delle loro capacità, dei meccanismi fisiologici. […] È che abbiamo fatto anni di cattiva cultura. Negli anni ’80 allattare al seno era obsoleto, era da vecchie babbione, bisognava, per essere più moderni, allattare con il biberon. La separazione ha fatto danno […] ora demolire tuta questa costruzione che abbiamo fatto noi operatori è un lavoraccio. […] Il bambino sano ha bisogno di sua mamma, delle tette, del calore, dell’odore, del sapore, è un lavoro di recupero per demolire la costruzione culturale (ostetrica, ambulatorio 37ma settimana).
Il sapere medico risulta socialmente legittimo imponendosi sulle esperienze soggettive delle donne, inoltre individua una dinamica potente che rafforza una costruzione culturale della maternità basata sull’espropriazione del sapere femminile.
Secondo l’ipotesi critica di Duden, l’ecografia assume un valore simbolico, una forma di controllo moderno sulla gravidanza che, attraverso le tecniche, trasforma la sensibilità delle donne. Come afferma un’ostetrica incontrata da Duden l’ecografia “è una sciocchezza e diventa un desiderio” (2006:101). L’ecografia possiede un duplice potere simbolico: da un lato è dotata di un potere somatogeno; dall’altra produce un bisogno, un desiderio. Il rituale ecografico è un atto che frammenta il corpo della donna, paralizza la sensibilità modificando le percezioni. Anche nel caso della PMA, le donne infertili così come le donne in gravidanza “imparano a guardare su uno schermo il contenuto del loro ventre”: la donna è portata a vedere attraverso le parole del medico (Duden, 2006: 102). Nel processo diagnostico e terapeutico, il corpo della donna è centrale ma non nella sua totalità. Si osservano solo alcune parti distinte ma invisibili (organi riproduttivi e gameti): il corpo femminile è frammentato e rarefatto (Gribaldo, 2005).
5.1.6 La produzione del corpo femminile dalla metafora della produzione alla metafora