Le migrazioni femminili latinoamericane
Grafico 5: Stima dei nati stranieri per comunità di riferimento e totale dei non comunitari Serie storica 2010 – 2016.
2.3 Le migrazioni ecuadoriane: il contesto di partenza
2.3.1 Le migrazioni contemporanee e la nuova migrazione verso l’Europa del Sud In Ecuador la tradizione migratoria è antica e risale alla fine dell’800 Infatti, i primi movimenti s
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trovare lavoro nelle piantagioni di cacao27. È possibile distinguere tre modelli di migrazioni interne: gli spostamenti della popolazione indigena dalla Sierra alla Costa definitive o per occupazioni stagionali; il trasferimento verso l’Oriente di coloni residenti nelle zone della Sierra e della Costa; le migrazioni campagna-città in particolare verso Quito, Guayaquil e Cuenca. Nel corso del Novecento, l’ingresso dei paesi latinoamericani nel mercato globale e il passaggio ad una economia di esportazione producono un incremento delle migrazioni interne verso le aree urbane. A partire dagli anni ’50, si registra un movimento di “metropolizzazione bicefala” favorito dalla riforma agraria del 1964 che stabilisce l’abolizione del latifondo (Cfr. Chiaramonti 1992). Tale fenomeno consiste nell’afflusso di manodopera ormai ritenuta eccedente dal contesto rurale verso i centri urbani in particolare Quito e Guayaquil.
Benché i primi movimenti si verificarono già all’inizio del XX secolo, la migrazione verso altri stati dell’America Latina e gli Stati Uniti si afferma come flusso rilevante intorno agli anni ’50 e ’60. Soltanto a partire dagli anni Settanta, i dati statistici attestano la prevalenza di una migrazione di tipo internazionale. In base all’analisi proposta da diversi studi sulle migrazioni ecuadoriane (Jokisch, 2001, Jokisch e Pribilsky, 2002; Borrero, 1992; Herrera e Martinez, 2002; Kyle, 2000; Ibarra, 1992, Ramirez, 1998), si possono distinguere tre periodi principali: dalla fine degli anni ‘50 fino agli anni ‘70 si registra il primo esodo migratorio ecuadoriano dalle zone di Azuay e Canar verso gli USA originato dalla crisi nella produzione dei cappelli di paglia. Negli anni ’50 i primi a partire sono i produttori industriali che grazie ai contatti commerciali stabiliti con gli USA si configurano come emigranti pionieri (Kyle, 2000). In seguito, oltre alla popolazione urbana, cominciano ad emigrare anche gli abitanti delle zone rurali e in misura minore gli indigeni (Herrera, Martinez, 2002). I primi a partire sono giovani uomini attratti dalle possibilità di lavoro secondo una dinamica che si inserisce all’interno di un sistema di relazioni economiche e sociali che legano la Sierra Ecuadoriana alla città di New York (Jokisch, 2001). Nel corso di un decennio, il flusso di migranti ecuadoriani si consolida passando da 8574 unità nel 1959 a 34.107 migranti nel 196928.
Se inizialmente i flussi furono soprattutto maschili, in un secondo periodo, nel corso degli anni Novanta, si nota un incremento della presenza femminile, in particolare a seguito di ricongiungimento con il coniuge negli USA e in relazioni a fattori economici e sociali: crisi economica, desiderio di autonomia e indipendenza (Cfr. Lagomarsino 2006; Pagnotta 2010).
27 Il territorio ecuadoriano è distinto in tre zone: Costa, Sierra e Selva o Oriente. La prima è la zona che si affaccia
sull’Oceano Pacifico in cui si è concentrata la produzione agricola; la Sierra corrisponde alla parte attraversata dalla cordigliera delle Ande; la regione occupata dalla foresta Amazzonica prende il nome di Selva o Oriente.
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In Ecuador “cruzar el charco”29(Pagnotta 2010) indica il passaggio oltre l’Atlantico. A partire dal
1998 è l’espressione adottata per riferirsi alla migrazione verso l’Europa. Alla fine del Novecento, l’Ecuador si trasforma in un paese di emigrazione: a seguito della crisi economica e sociale legata all’introduzione di politiche neoliberali si verifica un incremento nella migrazione internazionale verso gli Stati Uniti e in seguito, verso la Spagna e l’Italia. Diversamente dal passato, il fenomeno migratorio recente è caratterizzato aumento delle partenze senza precedenti (Collettivo Ioè, 2006; Herrera, Ramirez, 2008). Infatti, la migrazione verso l’Europa del Sud coinvolge tutte le classi sociali, in particolare, la classe media che risulta la più colpita dalla crisi. A ciò si aggiunge il fatto che il fenomeno migratorio interessa per la prima volta nella storia le province della Costa in cui il numero di migranti partiti tra il 1999 e il 2000 è triplicato. A partire dal 1997 aumenta la presenza delle donne che migrano per prime come testa di ponte della catena migratoria e, oltre agli Stati Uniti, anche l’Europa (Spagna, Italia, Belgio) diventa meta privilegiata tra il 1999 e il 2000. In concomitanza con le trasformazioni sociali ed economiche che riguardano l’Europa, si assiste ad un cambiamento nella componente di genere nei flussi migratori. In particolare, il peggioramento della situazione economica, i processi di globalizzazione e la stratificazione mondiale del lavoro contribuiscono a configurare le donne come il primo anello della catena migratoria con la prospettiva dell’inserimento in nicchie lavorative specifiche (Herrera, Martinez, 2002).
Il fenomeno della migrazione latinoamericana in Italia e Spagna sembra essere stato favorito da fattori socio-economici e da elementi di carattere normativo: l’ingresso in Italia (fino al 2003) e in Spagna (fino al 2000) non prevedeva l’obbligo del visto diversamente dalle norme restrittive adottate negli Stati Uniti30; l’aumento della richiesta di manodopera a basso costo e poco qualificata nel settore domestico e di cura, nell’agricoltura e nell’edilizia. In questo caso, alcuni studi sul tema (Ambrosini, Queirolo Palmas, 2007; Lagomarsino, 2006; Lagomarsino, Torre, 2007; Pagnotta, 2010) mostrano come l’origine della migrazione in Italia si collochi nel passato che unisce la città di Genova a Guayaquil. Infatti, alla fine del Novecento, si registra la presenza della prima comunità di stranieri a Guayaquil composta da commercianti genovesi. Nel 2001 migrano dalla regione di Guayas (con capitale Guayaquil) 42703 persone mentre nel 1997 erano solamente 6263. Le mete principali scelte dai migranti sono: Spagna 40%, Stati Uniti 26%, Italia 17%. Inoltre, dalle zone centrali della città si sceglie di partire per Stati Uniti e Spagna mentre fra gli abitanti della zona Sud la meta privilegiata è l’Italia (Pagnotta, 2010).
29 Attraversare lo stagno.
30 In Spagna, fino alla legge del 2000, l’ingresso era facilitato ma esistevano criteri precisi per ottiene un permesso per
turismo: il biglietto di ritorno, la disponibilità di mezzi finanziari sufficienti per il periodo di soggiorno, l’invito da parte di familiari o soggetti residenti in modo regolare. Cfr. Lagomarsino, 2006; Pagnotta, 2010; Castellani, 2016.
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Tra le cause che concorrono a spiegare il fenomeno migratorio si possono individuare diversi fattori di ordine socio-culturale: la diffusione di una scarsa fiducia in un possibile miglioramento e della ripresa del paese, l’esistenza di rappresentazioni e immaginari sulla migrazione; la presenza di reti e catene transnazionali; la presunta prossimità culturale, linguistica e religiosa; (Ambrosini, 1999; Boccagni, 2009; Boccagni, Lagomarsino, 2011; Pedone, 2002, 2008; Herrera, 2003, 2005; Herrera, Ramirez, 2008; Castellani, 2016).
Una linea di ricerca sulle migrazioni latinoamericane in Italia e Spagna si concentra sul ruolo esercitato dalle rappresentazioni sociali rispetto alla società di arrivo nel favorire o ostacolare il progetto migratorio (Pedone, 2002; Mei, 2010; Ambrosini e Abbatecola, 2010). Pedone (2002) propone di considerare l’influenza economica, politica e militare degli Stati Uniti in America Latina e il modo in cui tali forze hanno favorito la costruzione di un immaginario collettivo che individua la migrazione verso i paesi del Nord come un’occasione vantaggiosa per superare la crisi economica e le difficoltà finanziarie. In questa prospettiva, la diffusione del “sueño americano” è una chiave per interpretare la forte migrazione verso gli Stati Uniti. Il nuovo flusso migratorio verso l’Europa prende campo successivamente alla riforma della legge sull’immigrazione, durante la metà degli anni Ottanta. In questo periodo, si consolida l’idea della pericolosità del viaggio verso gli USA per i costi e rischi elevati mentre si afferma la possibilità di un lavoro sicuro in Spagna e in Italia, in nicchie lavorative specifiche lasciate vuote dalle trasformazioni demografiche (calo demografico) e nel mercato del lavoro (inserimento lavorativo da parte delle donne italiane). Dall’indagine di Pedone (2002), emerge la funzione svolta dalle immagini prevalenti sulla vita in Europa create nel contesto di origine che contribuiscono a creare un “mito europeo”. La circolazione delle informazioni viene veicolata dalle catene migratorie e dalle reti migratorie. La prima è composta dai membri del gruppo domestico distribuiti in diverse unità residenziali, si basa sul trasferimento di informazioni che assicurano il sostegno nella scelta di partire e nei modi di realizzare il viaggio. Le catene migratorie facilitano la mobilità transnazionale mediante aiuti finanziari, informazioni e sostegno per ottenere i documenti necessari. Con l’espressione rete migratoria si intende una struttura estesa composta da diverse catene migratorie che sviluppa una dinamica particolare in relazione alla società di destinazione. Si definisce in questo modo un circuito di reclutamento che esegue una selezione del migrante all’interno della società di origine in base alle caratteristiche della società di accoglienza (Decimo, 2005).
Nel contesto italiano, Mei (2010) prende in considerazione l’efficacia delle rappresentazioni simboliche che incidono nella scelta di migrare e risultano originate dall’intreccio fra visioni soggettive appartenenti al migrante e le rappresentazioni del migrante nella società di destino e di
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origine. Focalizzandosi sulle tre fasi che formano il percorso migratorio fra partenza, arrivo e permanenza, l’analisi proposta sulle migrazioni latinoamericane a Genova, Mei (2010) mette in luce la continua negoziazione del progetto migratorio di partenza in relazione alla capacità dei contesti sociali di arrivo di favorire o ostacolare lo sviluppo di nuovi modelli di famiglia.
Nel discorso dominante diffuso all’interno del contesto di origine, la partenza assume la forma di un progetto lineare, definito nei termini di momento provvisorio che prevede una separazione di breve durata finalizzata allo svolgimento di un periodo di lavoro, per poi ricongiungere i familiari o ritornare in patria con un cospicuo guadagno. Il confronto con una realtà complessa rispetto alle aspettative spesso produce un senso di spaesamento e disorientamento, a cui segue una fase di rielaborazione delle aspettative e rappresentazioni iniziali che si conclude con il ripensamento di un nuovo immaginario sulla migrazione. In particolare, nel contesto di arrivo, il migrante deve affrontare situazioni di marcata criticità abitativa e lavorativa a cui non era preparato. Infatti, è assente una valutazione oggettiva delle possibilità e vengono tralasciate o minimizzate le eventuali difficoltà di inserimento sociale e lavorativo.
Nell’indagine etnografica condotta da Mei (2010), il periodo iniziale dell’esperienza di migrazione nel nuovo contesto di vita coincide con una presa coscienza dello scarto fra aspettative, desideri e la realtà. Infatti, in molti casi, le complicate condizioni lavorative (lavoro informale, periodi di disoccupazione, orari e mansioni pesanti) impediscono un ricongiungimento o un ritorno in tempi brevi. Ciò comporta una riflessione sul proprio ruolo all’interno della famiglia in movimento e implica una ridefinizione delle relazioni di genere e generazionali, un ripensamento sulla funzione genitoriale e sull’identità di genere. Il progetto migratorio iniziale viene rimodellato: da momento provvisorio diventa una permanenza di lungo periodo in vista di una riunificazione con i figli o in relazione alla creazione di una nuova famiglia. Il processo decisionale presuppone la condivisione di un immaginario che “sovrastima gli effettivi vantaggi ottenibili più che su una valutazione realistica e un calcolo obiettivo costi-benefici” (Mei, 2010: 154). Si tratta di una visione dominante che tende a idealizzare la migrazione riducendo gli svantaggi, veicolata dalle reti sociali e dalle catene migratorie. Come sostengono diversi studi (Pedone, 2002; Pessar, Mahler, 2006), la migrazione è il risultato di una scelta originata da un intreccio di fattori che comprendono le rappresentazioni collettive idealizzate, la volontà individuale e le strategie familiari.
Nella fase finale, il processo di rinegoziazione dell’immaginario creato in partenza sulla migrazione si compone da una parte di un desiderio di ritorno basato su una visione mitizzata e nostalgica della terra d’origine, dall’altra si nota il desiderio di un percorso strutturato nella società di destino. In questo scenario, il percorso migratorio si connota come un campo sociale transnazionale in cui emergono pratiche di vita doppie realizzate dai migranti latinoamericani attraverso i confini (Cfr.
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Glick- Schiller, BAsch, Blanc-Szanton, 1992, Foner, Dreby, 2011, Vertovec, 2004; Bryceson, Vuorela, 2002).