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Verso la fine del XIX secolo l'insegnamento della letteratura francese si basa su programmi ampi e dettagliati, che fanno uso di tanti estratti scelti con prudenza. Viene però creata una divergenza tra i testi che si studiano nelle classi e le opere che hanno il diritto di essere chiamate 'classiche'. Nel 1890 la Commission des auteurs classiques definisce come 'classici' i grandi autori del Seicento, del Settecento e dell'Ottocento. Le produzioni avvenute prima del XVII secolo, quali ad esempio quelle medievali, non possono dunque essere poste sotto tale etichetta. La classificazione realizzata dai membri della commissione utilizza infatti come metro di giudizio la lingua, non tanto l'interesse nazionale e patriottico. Un'opera letteraria è classica solo se la sua lingua è perfetta ed è ben differente dal linguaggio parlato. La definizione di 'classico' provoca un'ulteriore separazione perché essa divide nettamente la letteratura insegnata da quella diffusa fuori dalle istituzioni scolastiche. Se è vero che l'insegnamento della letteratura francese deve adattarsi al mondo moderno, è altrettanto vero che esso deve essere diffidente verso tutti quei testi contemporanei che potrebbero nuocere allo sviluppo dei giovani. Sono gli anni del Naturalismo, del Decadentismo e del Simbolismo, ma il primo obiettivo delle lettere istituzionali è sempre la costituzione intellettuale, morale e civica del cittadino. Il dubbio e l'ironia non sono ammessi nel processo di formazione di un giovane pronto al sacrificio per la patria. Punto fermo dell'educazione di uno studente di fine Ottocento restano perciò i grandi autori del Classicismo. L'apprendimento degli altri autori della letteratura francese non è soggetto ad alcuna rigidità: esso può subire variazioni, a seconda del livello di istruzione e della disponibilità degli insegnanti. Sarà il Novecento a interrogarsi sulla legittimità degli autori consacrati e a mettere in crisi il corpus dei 'classici'421.

Librairie de France, 1981, pp. 523-607; Willem Frijhoff, L'Offre d'école. Éléments pour une histoire comparée des

politiques éducatives au XIXe siècle, Paris, Publications de la Sorbonne, Institut National de Recherche

Pédagogique, 1983, pp. 245-261; Michel Leroy, La littérature dans les instructions officielles au XIXe siècle, “Revue

d'histoire littéraire de la France”, CII (2002), 3, pp. 375-379.

421François Mayeur, De la Révolution à l'école républicaine (1789-1930) in Histoire générale de l'enseignement et de

l'éducation en France, Paris, Nouvelle Librairie de France, 1981, pp. 523-607; Willem Frijhoff, L'Offre d'école. Éléments pour une histoire comparée des politiques éducatives au XIXe siècle, Paris, Publications de la Sorbonne,

Institut National de Recherche Pédagogique, 1983, pp. 245-261; Jules Simon, L'école, Paris, Hachette, 1894, pp. 88- 250. Michel Leroy, La littérature dans les instructions officielles au XIXe siècle, “Revue d'histoire littéraire de la

CONCLUSIONI

La ricostruzione dei processi formativi della storia letteraria francese ci fa ben comprendere che il concetto di canone, in particolar modo di canone letterario, assume molte forme e non è sempre ben definibile. Ogni canone ha lo scopo di dettare le regole e di porsi come misura di riferimento. Tuttavia la costituzione canonica di un corpus di testi è il risultato di una scelta che si sviluppa nel tempo e che subisce le influenze dei contesti storici, sociali, culturali. Non è quindi possibile teorizzare un canone universale, valido per tutti i tempi e per tutti i paesi. Il canone letterario nasce dall'idea di Nazione: in esso stanno i valori che identificano una comunità e i suoi componenti, valori non solo estetici ma anche etici. È il canone che propone i modelli di rappresentazione della realtà esterna e quelli che esprimono la memoria, le emozioni, gli affetti, lo sviluppo del pensiero. Da questa concezione di canone deriva la trasmissione del sapere, attraverso le opere di quegli autori, definiti classici, che vengono considerati i modelli estetici di una determinata tradizione. Il patrimonio canonico che l'istituzione scolastica dovrebbe trasmettere alle nuove generazioni non è però immutabile, ma varia secondo i tempi e le sensibilità. Già Apollinaire nel 1918 menzionava la disputa fra tradizione e invenzione, continuità e frattura, Antichi e Moderni, conservatori e innovatori422. Il pensiero occidentale tende a valorizzare il nuovo e a ritenere che l'arte deve

rinnovarsi, in un percorso che coniughi evoluzione e progresso. Il problema del canone resta comunque irrisolto. Se infatti la cultura occidentale è favorevole all'apertura e all'innovazione del sapere tradizionale, le istituzioni ufficiali si mostrano restie a favorire rapide mutazioni. Prima tra tutte, la scuola tende ad essere prudente e continua ad esercitare una certa censura nei confronti degli autori moderni. Da una parte l'istituzione scolastica attua una selezione delle loro opere, dall'altra rimane fedele al patrimonio della tradizione poiché si riserva la funzione di conservare il passato e di trasmetterlo ai giovani. Tuttavia la scuola non ha più il monopolio dell'educazione. I grandi organi di stampa dell'Ottocento assumono un ruolo preminente nella diffusione dei nuovi prodotti letterari. Il mondo dell'editoria diventa un'industria che, spinta da logiche commerciali, innesta un processo inconsapevole e irreversibile: la democratizzazione della letteratura e la flessibilità del canone. Con l'avvento del Romanticismo viene rivalutato il genio individuale e viene affermata la libertà dell'autore a non ispirarsi a modelli codificati. Negli spazi privati viene meno l'aspetto rigido e normativo del canone: ciascuno è libero di fare le sue scelte, tenendo conto di valori soggettivi. L'Ottocento è stato il secolo delle rivoluzioni estetiche poiché sono stati messi in discussione regole, valori letterari e gerarchie fino ad allora ritenuti intangibili. Sono stati contestati

422Emmanuel Fraisse, Enseignements littéraires et oeuvres de référence: entre l'ancien et le nouveau, “Le français aujourd'hui”, CLXXII, (2011), 1, p. 11.

i 'classici' e gli autori che avevano goduto di una consacrazione accademica. Le nuove generazioni di intellettuali cercano di svincolarsi non soltanto dai dogmi normativi ma anche dall'autorità esercitata dai grandi autori del passato, paradigma di genialità artistica. Ci si vuole dunque emancipare da leggi estetiche ritenute superate e da un elenco canonico di nomi consacrati. Si genera una crisi di legittimità nei confronti della tradizione che spesso verrà rinnegata. Questa attitudine polemica e dissacratoria di coloro che vogliono superare il modello tradizionale genera una condizione di auto-legittimazione: il processo creativo deve essere libero da qualsiasi prescrizione. Le emergenti teorie letterarie, pur animate da uno spirito di innovazione, tendono però ad esprimere caratteri di intolleranza e di esclusività come era avvenuto nel Classicismo. Tale fattore determina un rallentamento nel processo di formazione di un canone moderno, così come l'ingerenza di poteri consolidati quali la Scuola, la Chiesa, l'Académie française, gli organi di stampa conservatori, la censura. Lo sviluppo del settore editoriale ha anch'esso una forte incidenza sull'istituzione di nuove gerarchie letterarie, condizionate da criteri commerciali che classificano gli autori secondo il favore del pubblico. Il percorso evolutivo del canone si svolge lungo il corso dell'Ottocento articolandosi in momenti distinti. Nei primi decenni c'è una rivalutazione del canone classico, attraverso l'esaltazione del Grand Siècle opposto agli anni bui della Rivoluzione e alle tendenze ribelli degli autori romantici. Fermenti reazionari si manifestano comunque per tutto il periodo, trovando voce nella stampa conservatrice, nelle istituzioni scolastiche e religiose, in una certa critica. Malgrado questi tentativi di immobilismo, il secolo è contrassegnato dalle battaglie condotte dalle avanguardie letterarie contro i simboli del passato. Vengono proposte forme artistiche che non attingono più all'ordine, alla chiarezza, alla serenità del mondo antico, ma che si ispirano al disordine, all'oscurità, alla sregolatezza, al difforme. Come è stato illustrato nel primo capitolo, la rigidità della dottrina classica viene spezzata dall'influsso delle idee romantiche provenienti da altri paesi europei. Accanto alle teorie tradizionali cominciano a trovare spazio concezioni artistiche e filosofiche completamente nuove che impongono una profonda riconsiderazione dell'eredità del Classicismo. In tale contesto si generano continue trasformazioni del canone letterario. Il processo di evoluzione delle nuove forme di letteratura verso la costruzione di un canone moderno viene accelerato dall'azione esercitata dalla stampa: ad esso sono stati dedicati il secondo e il terzo capitolo. Per tutta la Restaurazione è in atto un aspro scontro tra Classicisti e Romantici, che ha come principale campo di battaglia le pagine dei giornali. Sono in discussione le norme della produzione letteraria ma anche la visione del mondo. I fautori del pensiero classico temono la deriva degli ideali e dei costumi della civiltà francese. I loro avversari sostengono l'esigenza di attuare una frattura totale nei confronti della tradizione, considerata non più rispondente ai bisogni dell'uomo moderno. Verso gli anni trenta dell'Ottocento questo clima così violentemente polemico

tende però ad attenuarsi. Alcuni letterati sono stanchi delle continue diatribe e cercano una conciliazione, convinti che sia possibile una convivenza pacifica tra lo spirito classico e quello romantico. Negli anni della Monarchia di Luglio nasce un sentimento di nostalgia per il mondo della tradizione, insieme alla consapevolezza che esso non esiste più e che occorre riconsiderarlo a fondo, senza però rigettarlo. L'età classica è infatti il simbolo del glorioso passato della Nazione e può ancora fornire dei validi insegnamenti per il presente. Contemporaneamente sorge il dubbio su quali saranno gli esiti della letteratura romantica e sul suo effettivo valore. Ci si chiede se gli autori che la rappresentano siano in grado di produrre opere degne di essere collocate a fianco degli illustri nomi del secolo d'oro. Le generazioni successive contesteranno il Romanticismo istituzionalizzato. Flaubert, Baudelaire e più tardi Rimbaud proporranno altri ideali estetici in un continuo alternarsi di delegittimazione e di riaffermazione di opere e di tendenze letterarie. In questi anni permane comunque una lista canonica di 'grandi autori', ammirati e ritenuti patrimonio nazionale. Si fa però pressante il bisogno di individuare nuove personalità degne di entrare nel Pantheon delle celebrità, ma nello stesso tempo capaci di interpretare l'ansia di rinnovamento e le istanze del mondo moderno423. Per quanto riguarda il canone dei generi letterari dell'Ottocento, assistiamo a profondi

cambiamenti. Vi sono autori che si dedicano esclusivamente alla prosa e la poesia tende a liberarsi dal verso. Si verifica anche la sostituzione progressiva del dramma con la forma del romanzo, dovuta anzitutto al nuovo mercato editoriale che esprime un interesse prettamente commerciale e punta ad un pubblico di lettori allargato a tutta la popolazione. Un altro fattore che spiega lo sviluppo del romanzo è l'intenzione degli scrittori di fornire un'immagine reale e concreta di una determinata società. Inoltre la rapida espansione della stampa permette il successo del roman- feuilleton destinato appunto ad una platea popolare. Infine il successo del genere narrativo si può spiegare con il diffondersi delle idee estetiche borghesi che rifiutano, in tema di generi e stili, tutto ciò che è convenzionale e che privilegiano quindi la sola prosa. La poesia diventerà sempre più una forma letteraria di nicchia, contrapposta alla letteratura di consumo. La parola si svincola dalla costrizione delle norme prestabilite ed esprime pura poesia, non sempre intellegibile al pubblico di massa. È un fenomeno che si radicalizza a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, ma che mostra i suoi primi segnali già durante il regno di Louis Philippe. Infatti, parallelamente allo sviluppo dell'industrialismo, si modificano i concetti di artista e di letteratura: l'artista è considerato il produttore di una merce e le sue opere hanno valore quanto più sono fruite dal grande pubblico. La letteratura è sottomessa alle leggi del mercato e del successo editoriale. Come si espone nel terzo capitolo, alcuni organi di stampa dell'epoca diventano protagonisti di questi sviluppi e ne sfruttano i

423José-Luis Diaz, Le XIXe siècle face aux canons littéraires. Persistance, remises en cause, transformations, “Revue

vantaggi economici. Altri denunciano il pericolo di perdita di valore della letteratura francese, dovuto alla proliferazione di una letteratura facile e, in modo particolare, del roman-feuilleton. Il percorso comunque è ormai segnato. Se le istituzioni condannano i nuovi generi letterari, il pubblico popolare li accoglie con favore e ne consente il perpetuarsi. La scuola è una di quelle istituzioni che ha combattuto le tendenze letterarie innovative, finalizzando la conservazione del patrimonio culturale nazionale alla corretta formazione dei giovani francesi. Come si è evidenziato nell'ultimo capitolo, l'istituzione scolastica ha rappresentato da sempre lo spazio privilegiato per l'elaborazione di un canone. La scuola francese è stata pertanto il luogo più accreditato del dibattito ideologico e politico in merito a tale questione. Al cuore della discussione sono state poste la legittimità e la natura della trasmissione del sapere. Si tratta di rileggere il passato, di reinterpretare e ricostruire l'eredità culturale. Ogni generazione fissa i limiti di questa eredità, caratterizzandosi per gli apporti creativi e per il filtro operato sulle opere della tradizione. Così la scuola si interroga sul rapporto tra gli alunni e le produzioni del passato e su come effettuare una scelta tra quelle considerate troppo lontane dall'attualità e quelle capaci di irradiare ancora un insegnamento e un modello efficaci. Quali devono essere le opere di riferimento? Nel discorso pedagogico e culturale entrano i termini 'canone' e 'corpus'. L'intento è quello di formare una lista di testi fondamentali autorizzati che diventino il Pantheon scolastico. Il sistema educativo francese si fonda su criteri di centralizzazione. Ciò ha favorito la rapida diffusione di una lista nazionale di autori selezionata e legittimata attraverso i programmi ufficiali. Il reclutamento e la formazione del corpo insegnante ha contribuito alla costruzione della cultura nazionale attraverso lo sviluppo di un confronto incentrato sul ruolo della letteratura e sulla sua definizione, sulla gerarchia dei generi e sul canone degli autori. Gli ultimi anni del secolo XIX vedono l'attuazione di numerose riforme del sistema scolastico e una riorganizzazione dell'insegnamento delle lettere nella scuola secondaria e nelle facoltà universitarie. Si tende a svalutare l'importanza degli esercizi di retorica e a potenziare le capacità di dissertazione affidate alla parola. Di conseguenza viene modificata la funzione del testo letterario. Come afferma Gérard Genette, “la littérature a cessé d'être un modèle pour devenir un objet”424. La sua valenza

educativa e sociale è direttamente proporzionale all'esigenza di formare individui pronti ad inserirsi attivamente in una società moderna e democratica. Tuttavia i decenni successivi non generano risultati apprezzabili. Si verifica una crisi della lingua francese: i giovani studenti che si iscrivono alle facoltà universitarie evidenziano lacune linguistiche difficili da colmare. I motivi sono molteplici: l'abbandono del latino, l'impiego di metodi di insegnamento che antepongono la conoscenza nozionistica della storia letteraria all'educazione del gusto e del senso critico, l'abitudine

424Claire Bompaire-Evesque, Le procès de la rhétorique dans l'enseignement supérieur français à la fin du XIXe siècle,

di leggere libri di autori francesi divenuta più sporadica perché soppiantata dalla lettura dei giornali, dove l'uso corretto della lingua è approssimativo. Émile Faguet cita le parole di Flaubert a George Sand: “Ah! Ces bonshommes du XVIIe siècle! Comme ils savaient le latin! Comme ils lisaient

lentement!”425. Egli commenta:

(…) Il est très vrai qu’on n’a jamais plus mal écrit le français qu’aujourd’hui; il est très vrai qu’on ne sait plus du tout le français. Savoir le latin et lire lentement, voilà les deux conditions nécessaires pour apprendre le français. L’une des deux, je crois, suffirait à la rigueur. Mais il faut au moins l’une; et l’une et l’autre n’est point tout à fait surabondance. Nos lycéens ont trop à faire, soit pour apprendre le latin, soit même pour lire lentement des auteurs français. La vérité, c’est que, dix-neuf sur vingt, non seulement ils ne lisent pas lentement; mais ils ne lisent point du tout. (…) Notez enfin que ces jeunes gens sont détournés de la lecture des auteurs français par les influences extérieures autant que par les influences intérieures. A l’intérieur, les créateurs de la langue française, à savoir les auteurs du XVIIe siècle, leur sont interdits, ou tout au moins peu recommandés, ne figurent pas, ou figurent très peu, sur leurs programmes à cause de leurs opinions religieuses, philosophiques et politiques jugées dangereuses dans une démocratie, point sur lequel il y aurait beaucoup à discuter, mais sur lequel je n’ai pas le loisir de m’étendre. — Extérieurement, l’attrait des journaux, que je reconnais qui est grand, les détourne encore plus des livres. Or les journaux sont mal écrits, parce qu’ils sont écrits très vite, pour d’autres causes peut-être encore. La première page en est encore rédigée approximativement en français; dès la seconde, on tombe dans une collection de barbarismes dans laquelle, pour se divertir, on n’a qu’à choisir. Or c’est là qu’est la littérature de la plupart de nos lycéens. C’est précisément ce style que les professeurs des facultés retrouvent et reconnaissent dans les dissertations de baccalauréat et de licence. (…) Cette crise a des causes générales, nationales, qui dépassent de beaucoup le cercle dans lequel se meuvent les facultés des lettres. La crise du français, c’est la crise du livre; qu’on ne lit presque plus depuis qu’on ne lit guère que des journaux et des magazines.426

Gli inizi del Novecento vedono dunque il profilarsi di una situazione paradossale: la letteratura francese comincia ad essere presente nei programmi scolastici, ma la competenza della lingua non ha raggiunto livelli adeguati. La crisi della lingua si ripercuote naturalmente sulla stabilità del

425Émile Faguet, La crise du français et l'enseignement littéraire à la Sorbonne, “Revue des Deux Mondes”, vol. LIX, 15 settembre 1910, p. 291.

canone. È una questione irrisolta che viene dibattuta ancora ai nostri giorni.

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• La Muse française (1823-1824) • La Presse (1836-1845)

• La Revue française (1837-1839) • Le Conservateur littéraire (1819-1820)

• Le Constitutionnel: journal politique et littéraire (1815-1821) • Le Corsaire ( 1826-1832)

• Le Figaro: journal littéraire (1826-1840) • Le Globe (1824-1829)

• Le Mercure de France au dix-neuvième siècle (1827-1829)

• Le Miroir des spectacles, des lettres, des moeurs et des arts (1821-1823) • Le Nain Jaune: journal des arts, des sciences et de la littérature (1814-1815) • Le Siècle (1836-1847)

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