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Nei secoli XVII e XVIII i piani di studio non contemplano l'insegnamento della letteratura francese e l'uso del latino viene privilegiato rispetto alla lingua nazionale. Non esistono testi ufficiali o liste di autori consacrati e anche i piani di studio sono applicati in modo differente nei collegi e nelle università secondo la volontà degli insegnanti. Non esiste nemmeno l'idea di una istituzione scolastica di riferimento. L'istruzione non si traduce mai in un sistema centrale e unitario. Si apprende in istituzioni diverse che spesso utilizzano metodi rivali e talvolta opposti. Una limitata educazione di base viene impartita dalle petites écoles, volute dal re Louis XIV con l'Ordonnance del 13 dicembre 1698. Si tratta di scuole parrocchiali gratuite destinate ai ragazzi fino ai quattordici anni, finanziate dalla comunità. In questa epoca infatti la scuola può essere considerata come un'attività sociale piuttosto indistinta, che non si distingue bene dalla vita delle comunità. Lo Stato non presta molta attenzione all'organizzazione del sistema scolastico, dato che esercita il suo potere su di esso soltanto in modo occasionale. La scuola non è del resto il primo obiettivo delle politiche di accentramento dei re francesi del Seicento e del Settecento. I gruppi amministrativi e politici sono contrari ad un eccessivo sviluppo del sapere. Troppa conoscenza rischia di danneggiare l'agricoltura e il commercio, i quali costituiscono le maggiori risorse della Francia del tempo. Se tutto il popolo francese si dedicasse allo studio, i lavori manuali della tradizione non verrebbero più praticati. Anche i filosofi dei Lumi non contrastano questa visione mercantilista e non manifestano una grande simpatia per le classi dei lavoratori e per gli abitanti delle campagne. L'istruzione è vista come un elemento che può scardinare gli equilibri della comunità, in quanto illude i cittadini di una possibile promozione sociale. La società dell'Ancien Régime è statica e gerarchica. Essa nega ogni tentativo di ascesa sociale perché la posizione di tutti gli individui dipende dalla nascita. Lo Stato si interessa perciò alla scuola solo per motivi fiscali e per questioni religiose. Il nemico per l'assolutismo della monarchia francese è rappresentato dal Protestantesimo. Lo Stato non disprezza dunque il fatto che la scuola risenta soprattutto dell'influenza della religione cattolica. L'istruzione è infatti controllata principalmente dalla Chiesa, la cui volontà è quella di formare un cittadino capace di rispettare le regole dei buoni costumi e di osservare i precetti di Dio. Nelle campagne i poveri imparano a leggere attraverso i libri delle preghiere in latino. Nelle città francesi sono istituiti numerosi collegi gestiti da ordini religiosi. Gli istituti più prestigiosi sono organizzati dai Gesuiti.

Quello più celebre, che segue la Ratio atque Institutio Studiorum Societatis Iesu412, è il collegio Luis

le Grand. In queste sedi l'insegnamento è gratuito, ma viene praticato esclusivamente nella lingua latina. Il latino è il mezzo di comunicazione che gli studenti devono usare perfino nelle conversazioni private e nei momenti di ricreazione. L'educazione è infatti al servizio della retorica. Gli alunni devono saper leggere e studiare i testi dei più importanti autori latini e greci al fine di imparare a scrivere ed essere in grado di svolgere dibattiti pubblici. I Gesuiti definiscono tutte le caratteristiche dei corsi che devono seguire gli studenti. Nelle campagne l'insegnamento è meno rigido: esso è più semplice e spesso lascia spazio anche alla pratica della lingua locale. La grammatica e l'ortografia della lingua francese cominciano invece ad essere insegnate nei collegi delle grandi città soltanto in seguito alla riduzione dell'influenza dei Gesuiti. La soppressione della Compagnia di Gesù avvenuta nel 1763 comporta inevitabilmente la chiusura di molte scuole religiose. L'istruzione inizia a risentire dello spirito anticlericale dei pensatori dell'Illuminismo che mal sopportano le ingerenze della dimensione religiosa nella vita quotidiana. Verso la fine del XVIII secolo la lingua latina non è più obbligatoria nelle conversazioni tra alunni; il francese comincia ad essere applicato per l'insegnamento della matematica, delle scienze e della filosofia. È nel Settecento che si manifesta un interesse più vivo ma ancor prudente nei confronti dello studio della lingua nazionale e verso la lettura di alcuni testi francesi. Come afferma Michel Leroy, il rettore dell'università di Parigi Charles Rollin nel suo Traité des études suggerisce già la lettura di alcuni scrittori francesi, quali Bossuet, Fontenelle e Racine413. Si pensa che occorra ridimensionare

le ore dedicate allo studio del latino e viene criticata la dipendenza dell'istruzione dalla retorica. Fanno la comparsa i primi piani di studio che vogliono riportare al centro dell'attenzione la lingua nazionale e che cercano di avvicinare autori francesi ad autori del mondo antico. L'Essai

d'Éducation nationale ou Plan d'études pour la jeunesse, scritto nel 1763 da Louis René Caradeuc

de La Chalotais, accosta ad esempio La Fontaine e Boileau a Fedro, Omero e Virgilio. Attraverso le attività delle università e dei collegi settecenteschi si delinea così un primo gruppo di testi 'classici'. La lista che definisce questo corpus resta comunque composta prevalentemente da opere che sono utili all'arte della retorica. Gli autori francesi che fanno parte di tale insieme appartengono ai secoli XVII e XVIII. Essi riflettono la volontà di un'estetica classica, che mira a offrire agli studenti tutti gli strumenti necessari a perfezionare l'arte del discorso414.

412La Ratio atque Institutio Studiorum Societatis Iesu è un testo che stabilisce con precisione i precetti concernenti la formazione dei Gesuiti. Fu composto tra il 1598 e il 1599 da un gruppo di accademici interazionali. Esso veniva utilizzato per regolare l'istruzione in ogni scuola della Compagnia di Gesù. I piani di studio dovevano perciò fare sempre riferimento a questo documento.

413Michel Leroy, La littérature dans les instructions officielles au XIXe siècle, “Revue d'histoire littéraire de la France”,

CII, (2002), 3, p. 365.

414François Furet, Jacques Ozouf, Lire et écrire, l'alphabétisation des Français de Calvin à Jules Ferry, Paris, Les éditions de minuit, 1977, vol. I, pp. 69-96; Sylvain Menant, Littérature et enseignement: la réduction polymathique,