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Alcuni punti di approdo e l’elaborazione della dottrina successiva tra tendenze ordinatrici e tendenze privatistiche.

Il dibattito della dottrina successivo all’entrata in vigore del nuovo Codice civile e della Costituzione, sopra ricostruito richiamando pensiero dei tre Autori maggiormente significativi, consente di mettere in luce alcuni punti di approdo concettuali costituiscono patrimonio acquisito nella tematica in esame, raggiunti in primo luogo attraverso una reinterpretazione e ricollocazione (se non al superamento) in un contesto più coerente delle categorie codicistiche del demanio e del patrimonio indisponibile.

La scomposizione effettuata non si arresta alla pars destruens, dal momento che l’ap- proccio realista e problematico non esclude la possibilità di una ricostruzione sistematica, seppure tale operazione viene svolta utilizzando un metodo induttivo e la ricostruzione

278 S.CASSESE, I beni pubblici, cit., p. 262. 279 S.CASSESE, I beni pubblici, cit., p. 267.

Negli scritti successivi l’Autore mantiene ed accentua l’approccio realista e problematico e, allo scopo di delineare in modo accurato il quadro positivo, ricorre anche all’analisi delle circolari ministeriali e dei dati forniti dalle ricerche, oltre a fare riferimento alla normativa di rango primario. S.CASSESE, Organi e procedure per l’amministrazione della proprietà pubblica: situazione attuale e

proposte di modificazione, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1971, p. 1373 ss.

degli istituti avviene attraverso un esame analitico della realtà positiva. In particolare sono Giannini prima, e Cassese poi, ad individuare delle chiavi di lettura che consentono di ordinare le varie fattispecie emerse alla disgregazione della proprietà pubblica in base ad alcuni elementi essenziali, essendo entrambi animati intento di individuare l’ubi consistam della proprietà pubblica. Questa impostazione fa sì che la finalità dello studio dei regimi dominicali non consista più nell’intenzione di strutturare un sistema ordinato e completo, avendo raggiunto la consapevolezza della complessità della realtà, la quale induce a deli- neare istituti disomogenei e non riconducibili ad una categoria unitaria281. I modelli pro-

posti non appaiono definiti rigidamente, né completi, giacché la finalità della ricerca sta nella volontà di ricostruire gli istituti per comprenderne il funzionamento provando a delineare un quadro quanto più articolato possibile, ma senza la presunzione di comple- tezza.

La ricostruzione di Sandulli ha invece avuto come peculiarità quella di inserire la trat- tazione dei beni pubblici nel più ampio contesto dei beni d’interesse pubblico, categoria generale ripresa anche successivamente, con riferimento alle sempre più frequenti fatti- specie di discipline positive degli usi dei beni poste nell’interesse pubblico282. Questa am-

pia categoria mostra in modo chiaro come gli interessi pubblici si innestino sulla disciplina numerose categorie di beni, anche di appartenenza privata, ridimensionando al contempo il tema delle proprietà pubbliche, le quali perdono il loro ruolo di strumento d’eccellenza per realizzare interessi pubblici, poiché anche la proprietà dei beni appartenenti ai privati può essere indirizzata verso il perseguimento dei medesimi obiettivi. In questa prospettiva possiamo inquadrare la c.d. disciplina amministrativa della proprietà privata, nella quale si amalgamano i concetti di restrizione al contenuto del diritto e di intervento eteronomo su una realtà preesistente283.

281 A. FERRARI ZUMBINI, I beni pubblici e la scienza del diritto amministrativo, cit.; A. LALLI, I beni pubblici, cit., p. 97.

282 V. CAPUTI JAMBRENGHI, Beni pubblici, in Enc. Giur., cit.

283 Numerosi sono i limiti che il legislatore impone alla proprietà privata in virtù della funzione sociale che le viene attribuita dall’art. 42, comma 3 Cost. L’origine dei limiti in questione può essere legale o amministrativa, a seconda che questi discendano direttamente dalla legge oppure derivino da un provvedimento amministrativo, che a sua volta può essere generale o puntuale. Quanto al contenuto dei limiti questo è variegato ed eterogeneo mentre sotto il profilo dell’efficacia si distin- guono limiti assoluti o relativi, a seconda che precludano del tutto lo svolgimento di una determi- nata attività sul bene in quanto ritenuta in toto incompatibile con l’interesse pubblico, ovvero la consentano in presenza di condizioni determinate il cui previo accertamento è rimesso all’ammi- nistrazione competente. Per approfondimenti rispetto a tali aspetti si rinvia a V. CAPUTI JAM- BRENGHI, Proprietà privata (disciplina amministrativa), cit. In particolare, egli attribuisce alle limitazioni relative alla proprietà natura amministrativa «poiché spetta alla pubblica amministrazione il po- tere di garantire il rispetto delle norme di pubblico interesse» e distingue le diverse ipotesi a se- conda che i limiti discendano dal rapporto bilaterale e reale della proprietà privata con quella pubblica (servitù pubbliche), oppure dal rapporto con una specifica posizione di interesse ed utilità pubblica riferibile alla proprietà del privato (espropriazione c.d. anomala), ovvero, infine,

Dipoi, gli Autori considerati concordano sulla tendenza del diritto positivo a dettare discipline incisive e pervasive, che hanno l’obiettivo di proteggere gli interessi pubblici collegati all’uso dei beni, a prescindere dall’appartenenza di questi a soggetti pubblici o privati. Difatti, la disciplina degli statuti proprietari sempre più di frequente (e ciò vale ancora oggi) prevede un ruolo dell’amministrazione relativo all’esercizio di un controllo sugli usi consentiti unito a poteri di intervento a carattere sanzionatorio e ripristinatorio. Infine, il pensiero dei tre Autori è concorde nel sottolineare la connessione storica presente tra la disciplina positiva dei beni pubblici, gli indirizzi di politica economica do- minanti e le interpretazioni che di questa dialettica vengono date. In questa fase del di- battito inizia quindi ad emergere il tema, oggi centrale – anche per il peso sempre maggiore che hanno i valori ed i principi dell’Unione europea – della necessità che l’in- tervento pubblico in economia sia giustificato, ciò che comporta corollari anche per la proprietà pubblica, in quanto quest’ultima non deve essere tale da recare all’ente pubblico vantaggi rispetto alla proprietà di diritto comune e, soprattutto, non deve comportare un’alterazione del normale funzionamento del mercato.

Gli studi condotti nell’ultimo trentennio del secolo scorso si sono concentrati sull’af- finamento delle elaborazioni dottrinarie dei maestri della generazione precedente e si sono posti anche la finalità di dare ordine e coerenza ai materiali normativi (codicistici e speciali) sviluppando un criterio che fa riferimento a due concetti giuridici chiave, ovvero quello di beni riservati e quello di beni destinazione pubblica. Tuttavia, le minuziose ana- lisi del dato positivo incentrato sulle vicende del bene, hanno finito per oscurare il profilo relativo alla struttura e al contenuto degli istituti dominicali, sacrificando i profili legati ai poteri decisori sul bene e quelli legati al mantenimento della destinazione all’uso pubblico. In particolare, sono da segnalare la monografia di Caputi Jambrenghi284 che, riprendendo

le considerazioni di Giannini sul ruolo da assegnare alla proprietà collettiva e sulla cen- tralità degli usi, ricostruisce un’articolata teoria sull’uso dei beni, incentrata sulla destina- zione alla fruizione da parte della collettività, e la monografia di Cerulli Irelli285.

Quest’ultimo, riprendendo l’istituto della riserva messo in evidenza da Cassese, si è posto

dall’esercizio, da parte dei pubblici poteri ed a vantaggio della collettività, o comunque di interessi alieni, della potestà conformativa del contenuto del diritto, cioè dei modi di acquisto del bene e delle facoltà di godere e di disporre (c.d. conformazioni amministrative della proprietà privata a vantaggio di interessi pubblici). In realtà, come visto, ancor prima di V. Caputi Jambrenghi, M.S. Giannini si era occupato della “disciplina pubblica di beni privati” e delle “limitazioni ammini- strative alla proprietà”.

284 V. CAPUTI JAMBRENGHI, Premesse per una teoria dell’uso dei beni pubblici, cit., il quale sottolinea la specialità del regime proprietario pubblico, osservando che i beni in questione si presentano quali oggetto prevalente di doveri amministrativi, piuttosto che di diritti, per il loro titolare pubblico. 285 V. CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica e diritti collettivi, Padova, 1983,18 ss. Si veda infra § 4.

l’obiettivo di rielaborare tale istituto, anche attraverso l’estensione del concetto di pro- prietà pubblica ai diritti collettivi riferibili ad una comunità d’abitanti o collettività terri- toriale286.

4. La scomposizione della nozione di proprietà pubblica nel pensiero

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