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Le tendenze giurisprudenziali della prima fase.

Evoluzione dell’istituto della concessione ammini strativa di beni pubblic

2. Evoluzione degli studi sul tema: tendenza contrattual-privatistica ottocentesca.

2.4. Le tendenze giurisprudenziali della prima fase.

Quanto alla posizione della giurisprudenza ottocentesca, come si è già avuto modo di ricordare, occorre rimarcare come vi fosse inizialmente una tendenza al riconosci- mento di soluzioni di carattere privatistico e, quindi, all’applicazione di rimedi propri del diritto comune. Il che si giustificava con tutta probabilità nel rafforzamento della tutela

Per una ricostruzione di tale nozione si veda anche L. FRANZESE, Il contratto oltre privato e pubblico.

Contributi della teoria generale per il ritorno ad un diritto unitario, Padova, 1988, il quale muove dalla pre-

sunta incompatibilità fra le nozioni di diritto pubblico e di contratto affermata già sostenuta da E. GUICCIARDINI, Le transazioni degli enti pubblici, in Archivio di diritto pubblico, 1936, p. 222.

541 M. D’ALBERTI, Le concessioni amministrative, cit., pp. 132-133. 542 U. FORTI, Natura giuridica, cit., p. 425.

543 U. FORTI, Natura giuridica, cit., pp. 427-428.

giurisdizionale accordata al privato in situazioni rispetto alle quali, in difetto di una tale iniziativa, egli sarebbe rimasto totalmente inerme a fronte dell’esercizio delle potestà am- ministrative.

Ma l’influenza della dottrina giuspubblicistica risultò determinante nel mutamento di orientamento. Le ragioni giuridiche poste a fondamento di tale ricostruzioni, tuttavia, apparivano superficiali e del tutto evanescenti. Difatti, si faceva riferimento all’allegato F della legge del 1865 sui lavori pubblici oppure alla legislazione sulle acque, ove venivano attribuite in capo all’Amministrazione delle competenze esclusive, tant’è che il cambia- mento di rotta della giurisprudenza sembrava riposare su fondamenta ideologiche, piut- tosto che prettamente giuridiche.

Tuttavia, la pubblicizzazione del rapporto fra concessionario e Amministrazione non fu assoluta in quanto, in relazione a talune fattispecie in cui l’interesse economico-sociale si faceva maggiormente pressante (quale il settore delle ferrovie), la giurisprudenza rico- nosceva la natura pubblicistica del contratto nei confronti dei terzi (i.e. per ciò che con- cerne gli atti di determinazione delle tariffe ferroviarie mediante strumenti iure imperii), mentre il concessionario aveva diritto al risarcimento del danno i caso di inadempimento contrattuale545. E anche a fronte di atti amministrativi, la giurisprudenza propendeva al

riconoscimento di diritti soggettivi perfetti.

Resta fermo che in punto di qualificazione i giudici riconoscevano la natura di atto d’imperio e discrezionale, quanto all’atto costitutivo del rapporto concessorio. Ma le con- seguenze di tali premesse erano diverse da quelle che ci si poteva attendere, per ciò che si affermava l’esistenza di diritti e la giurisdizione del giudice ordinario546.

Solo successivamente la giurisprudenza si allineò alle elaborazioni dottrinali all’epoca prevalenti, rimarcando l’esistenza di un atto d’imperio e non già di gestione rispetto al quale l’aspirante (il concessionario) non poteva vantare alcun diritto soggettivo e, per- tanto, la giurisdizione spettava alla IV Sezione del Consiglio di Stato e non già al giudice ordinario547.

545 Cass. Torino, 15 giugno 1894, in Mon. Trib., 1894, p. 832.

546 Cass. Roma, 1 febbraio 1898, in Corte Supr. Roma, I, 1898, mat. civ., p. 71.

547 Cass. Roma, 17 maggio 1899, in Giust. Amm., III, 1899, p. 69, ove leggesi testualmente che «sa- rebbe propriamente assurdo il supporre che a nome dell’interesse privato possa lo Stato esser co- stretto, vuoi a concedere, vuoi a non concedere la costruzione di una ferrovia: ovvero che il potere giudiziario possa ravvisare la lesione di un diritto privato nel fatto o nella omissione del Governo, basando su criteri che sono di esclusiva competenza dello Stato ed insindacabili dall’autorità giu- diziaria. Cfr. Cass. Roma, 10 giugno 1904, in Foro it., I, 1904, p. 713, secondo cui «in tema di concessioni governative nessuno ha il diritto di ottenerle, sebbene tutti quelli che hanno i requisiti

Nonostante questi importanti (ma isolati) movimenti verso un’impostazione “unila- teralista”, nella maggior parte degli arresti veniva mantenuta una lettura consensualista e, segnatamente, in seno alle controversie in materia di revoca e riscatto in ordine alla con- cessioni ferroviarie548.

Ma è proprio in relazione alle concessioni di beni pubblici che la Cassazione di Roma sancì il superamento delle tesi pubblicistiche tout court, prediligendo piuttosto una solu- zione teorica di carattere sincretistico. E difatti, nell’ambito di una controversia avente ad oggetto la concessione del demanio marittimo per uso industriale, in cui si discuteva della violazione dei limiti di costruzione imposti dalla concessione, i Supremi Giudici vagheg- giarono per la prima volta l’esistenza di due negozi giuridici, i quali risultavano distinti per natura ma intimamente connessi: in prima battuta, la ricostruzione del fenomeno si basa sull’assunto che l’atto amministrativo (il primo negozio) trovava la propria attua- zione nel secondo (il contratto), ancorché sussistano alcuni casi in cui questo secondo momento può venire meno. In questa logica, il consenso del concessionario è condicio sine qua non a fronte della quale l’atto amministrativo unilaterale può perseguire il proprio effetto; mentre nel contratto, il consenso delle parti si appunta sul regolamento conven- zionale e, segnatamente, in ordine alle modalità di attuazione e svolgimento della conces- sione549.

personali richiesti, e soddisfino le condizioni imposte, possono domandarle; costituendo esse ema- nazione del potere discretivo, che non comporta vincoli di ordine privato. Nel provvedere alle diverse domande il Governo ha libera la scelta, e nell’interesse del pubblico servizio può preferire l’una anziché l’altra domanda: la concessione che il Governo fa, non comporta vincoli di ordine privato, né può stabilire alcun rapporto giuridico fra il concedente e l’aspirante, sicché a di costui favore radicarsi una qualsiasi azione civile, essendo assurdo il ritenere che dall’esercizio di un po- tere discrezionale possano nascere diritti». Più di recente cfr. Cons. St., 6 maggio 2011, n. 2713. 548 M. D’ALBERTI, Le concessioni amministrative, cit., p. 155 s.

549 Cass. Roma, 12 gennaio 1910, in Riv. dir. comm., 1910, p. 248, ove leggesi che «le dottrine sono non sicure e determinate e molto meno di accordo nella definizione giuridica dell’essenza di siffatte concessioni. Sembra che sia più conforme alla loro nozione considerare l’atto di concessione in due momenti giuridici. Nel primo momento può scorgersi la determinazione della volontà dello Stato che, sottraendo all’uso pubblico un’area o una pertinenza demaniale, la concede, per uno spazio più o meno lungo di tempo, o ad uso di una industria marittima o per un uso industriale estraneo alle industrie marittime, a qualunque industria privata; è un atto di sovranità dello Stato che si concreta nella concessione. Ma in un secondo momento l’amministrazione dello Stato, re- golando il suo atto di concessione, entra nei rapporti di obbligazione col concessionario; e fra l’uno e l’altro si stabiliscono le condizioni, le modalità, il prezzo: si opera cioè una vera e propria stipu- lazione di contratto».

A siffatta lettura si aggiunge altresì che «considerati analiticamente sono nella loro essenza due negozi distinti, che si congiungono: il primo si attua e si realizza nell’altro, ma può anche non essere accompagnato dalla stipulazione di un contratto. All’accettazione del concessionario, che rappresenta rispetto all’atto amministrativo il verificarsi della condizione per la quale esso conse- gue il suo effetto, si unisce il consenso delle due parti sopra un regolamento convenzionale della

La lettura non nega affatto l’impostazione unilateral-pubblicistica, giacché se ne rico- nosce il ruolo nella fattispecie. Ma il negozio di diritto pubblico prevale sull’atto privati- stico che assolve una funzione meramente ancillare o accessoria. In tal modo, l’elaborazione pretoria contribuì all’emersione della figura del contratto-concessione che ha avuto notevoli fortune negli ulteriori sviluppi dottrinali e giurisprudenziali.

Le elaborazioni dottrinali sulla figura della contratto-concessione si sono concentrate in special modo sulla natura giuridica del contratto accessivo al provvedimento, il quale veniva qualificato in chiave privatistica ed assoggettato alle regole civilistiche, e sui rap- porti tra detto contratto ed il provvedimento amministrativo. Da questa concezione, in particolare, si ricavano due corollari; in primo luogo «i concessionari diventano titolari di diritti soggettivi perfetti della cui lesione conosce il giudice ordinario cui spettano le con- troversie concernenti l’esecuzione del contratto». In secondo luogo, per tale via avveniva la «penetrazione nel rapporto concessorio delle regole codicistiche sulle obbligazioni ed i contratti e quindi dei principi sulla parità di e sull’equilibrio fra le parti»550.

E i risvolti pratici di tale innovativa costruzione non erano affatto di poco momento. Anzitutto, come visto, la premessa conduceva al riconoscimento della giurisdizione del giudice ordinario in relazione alle cause concernenti l’esecuzione, siccome vertenti at- torno diritti soggettivi. A ciò si accompagnò la tendenza ad intravedere un’autonomia del momento privatistico, con la conseguenza di estendere tutta una serie di principi e regole

concessione per suo modo di attuarsi e di svolgersi. Questo regolamento giuridico può essere co- stituito dal complesso delle modalità e delle condizioni dettate dalla pubblica amministrazione, indipendentemente da ogni vincolo convenzionale, ma può, senza ostacolo legale, formare ob- bietto di una stipulazione o di un complesso di patti, in cui l’ente pubblico assume la figura di contraente. In questa seconda ipotesi, certamente, possono aver luogo vere e proprie violazioni contrattuali e azioni ex contractu per ripararle. Ma anche nella prima ipotesi, sia pure che non si tratti di un vincolo contrattuale nella sua essenza operatosi per l’accettazione da parte della vo- lontà individuale del concessionario, sorgono obbligazioni e responsabilità, diritti e doveri giuri- dici, le cui violazioni possono dar luogo ad azioni giudiziali».

550 M. IMMORDINO, Legge sul procedimento amministrativo, accordi e contratti di diritto pubblico, in Dir. Amm., 1997, p. 126.

Sotto tale profilo risulta rilevante anche il contributo di A. AMORTH, Osservazioni sui limiti dell’attività

amministrativa di diritto privato, Padova, 1938, p. 28, il quale riconduce l’origine della teoria dei negozi

“misti” al periodo dello Stato assoluto e dello Stato di polizia. Essa avrebbe avuto il fine di consentire la massima espansione dell’attività privata dello Stato, in quanto l’attività pubblica veniva ritenuta non assoggettata a vincoli giuridici.

Sosteneva la natura privatistica del contratto accessivo, M. S. GIANNINI, L’attività amministrativa, Milano, 1967, p. 86, il quale, come si vedrà a breve, si spinse fino a coniare la figura del contratto ad oggetto pubblico. Concordano con questa impostazione anche F. GULLO, Provvedimento e

contratto nelle concessioni amministrative, Padova, 1965, p. 502 ss., e E. SILVESTRI, Il riscatto delle

concessioni amministrative, Milano, 1956, p. 249 e ID., Concessione amministrativa, in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, ad vocem, ove si specifica che «in ogni procedimento relativo a concessioni di beni e servizi è dato riscontrare costantemente due atti: uno unilaterale della pubblica amministrazione e una convenzione tra quest’ultima e il privato».

tese a riequilibrare le posizioni contrattuali delle parti. Ciò che si disvela all’evidenza, per un verso, sulle conseguenze sul piano dell’efficacia e della validità in termini di separa- zione delle anzidette vicende e, per altro verso, sull’applicabilità dell’eccezione di inadem- pimento e sull’esercizio dei diritti potestativi in relazione alle fattispecie di risoluzione. Ma la principale incidenza della nuova impostazione teorica si ebbe in punto di rilevanza del potere di revoca, quale potere posto in capo all’Amministrazione.

La tesi dell’accessorietà del contratto all’atto ha finito per giustificare l’ammissibilità di siffatto potere che poteva essere esercitato senza che fosse necessaria alcuna domanda giudiziale. È pur vero che l’esigenza di riequilibrare le posizioni fra l’Amministrazione concedente e il privato concessionario contribuì nell’affermazione di strumenti di tutela del secondo. Sotto questo profilo, la revoca – pur essendo pacificamente esercitabile – non faceva capo ad un potere assoluto e soggiaceva a regole predeterminate, non essendo possibile un esercizio ad nutum. L’Amministrazione doveva, in specie, assolvere un ob- bligo di motivazione in ordine alle ragioni giuridico-fattuali su cui poggiava l’esercizio del potere. Fra siffatte ragioni – oltre a quelle specificamente prevista dalle discipline ad hoc – si rinvenivano, per un verso (quello pubblicistico), gravi ragioni di interesse pubblico e, per altro verso (quello privatistico), ragioni concernenti l’esecuzione contrattuale (e.g. l’inadempimento del concessionario).

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