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Verso una nozione oggettiva di beni pubblici: valoriz zazioni e privatizzazioni.

4. Il dibattito intorno alle privatizzazioni dei beni pubblici, tra insod disfazione per il regime tradizionale e dubbi di costituzionalità.

4.1. Segue: le posizioni critiche.

Le politiche di privatizzazione dei beni hanno però dato luogo anche a posizioni di segno diametralmente opposto a quelle descritte supra, in quanto le disposizioni in materia sono state ritenute di non facile interpretazione, estranee al sistema vigente e di dubbia costituzionalità. Il modo in cui il legislatore ha affrontato il tema della gestione economica dei beni pubblici e del relativo mutamento di statuto è stato ritenuto da altra dottrina «molto semplicistico», poiché dà per scontato che, in mancanza di una garanzia costitu- zionale espressa, l’inalienabilità dei beni demaniali possa essere rimossa da una semplice previsione legislativa, senza considerare che «l’inalienabilità non è questione di puro di- ritto positivo», dal momento che «in qualunque tempo, in qualunque ordinamento i beni essenziali per la cura degli interessi generali della collettività sono stati qualificati extra commercium»459.

Una diversa dottrina ha interpretato le disposizioni sulle privatizzazioni come un ec- cesso del legislatore, derivante dalla volontà politica «di alterare nella sostanza regole giu- ridiche di antico radicamento consensuale nella comunità nazionale», arrivando a restringere «l’area sinora intangibile […] dell’incommerciabilità del demanio» e, di conse- guenza, autorizzando la «sottrazione dal dovere amministrativo»460. Di conseguenza si è

insistito sulla necessità di trovarne «una lettura tecnicamente accettabile che le riconduca al sistema e possa in tal modo risolvere contraddizioni e dubbi di costituzionalità»461,

nonché di individuare un nucleo essenziale della demanialità in grado di resistere alla vo- lontà politica di privatizzare in modo indiscriminato i beni pubblici.

Mentre le posizioni favorevoli alle privatizzazioni attribuiscono rilievo agli elementi di diritto comune presenti anche nella proprietà pubblica, quelle contrarie evidenziano le differenze tra il regime dei beni pubblici e il regime comune. Il primo, infatti, viene rite- nuto «definibile complessivamente di ‘proprietà pubblica’, cioè caratterizzato da tratti pubblicistici, sia in quanto comprende in alcuni casi e per certi aspetti anche poteri auto- ritari […], sia per il rilievo che assumono gli interessi pubblici alla cui soddisfazione risul- tano strumentali»462.

Uno degli Autori che hanno criticato le scelte legislative, ha mosso dall’assunto se- condo cui «proprietà privata e pubblica non sono due versanti del medesimo istituto, ma due istituti giuridici fondamentalmente diversi», poiché «proprietà è diritto, mentre nella

459 F.FRANCARIO, Privatizzazioni, dismissioni e destinazione “naturale” dei beni pubblici, cit., p. 226 ss. 460 V.CAPUTI JAMBRENGHI, Proprietà dovere dei beni, cit., p. 65 ss.

461 D.SORACE, Cartolarizzazione e regime dei beni pubblici, cit., par. 1. 462 D.SORACE, Cartolarizzazione e regime dei beni pubblici, cit. par. 3.2.

proprietà pubblica prevalgono nettamente esigenze, finalità e, di conseguenza, discipline normative specifiche che vedono il soggetto pubblico ‘proprietario’ quale centro di im- putazioni giuridiche tutte qualificate per la doverosità»463.

In virtù di tali caratteristiche essa ad essa viene riconosciuto un fondamento costitu- zionale, individuato nell’articolo 42 il quale, laddove stabilisce che la proprietà è pubblica o privata, deve essere interpretato nel senso della necessità di assicurare «la presenza nell’ordinamento anche di un particolare regime proprietario di certi beni pubblici». Ciò in quanto è opinione consolidata quella per cui «per la salvaguardia degli interessi pubblici per i quali è rilevante l’uso di certi beni non è sufficiente riservarne, in alcuni casi, l’ap- partenenza a soggetti pubblici, ma occorre anche assoggettarli ad un regime proprietario diverso da quello comune»464.

Altri ancora ha sostenuto l’impossibilità del venir meno della riserva svalutando allo stesso tempo il vincolo di destinazione, in contrapposizione a quella dottrina la quale aveva visto nelle norme sulle privatizzazioni un superamento della riserva e un’esaltazione del vincolo di destinazione465. A tal proposito la privatizzazione è indicata come «in con-

flitto non solo con l’appartenenza necessaria all’ente territoriale o con la riserva che vale ad impedire l’appropriazione privata del bene, ma con quello che appare essere il loro fondamento e che giustifica, almeno storicamente, la demanialità del bene», in quanto «i valori tradizionalmente evidenziatisi nell’ordinamento con riguardo alla categoria dei beni demaniali ad uso collettivo difficilmente si conciliano con lo scopo di massimizzarne il valore economico»466.

463 V.CAPUTI JAMBRENGHI, Proprietà dovere dei beni, cit., pp. 62 s. e 64. Cfr. anche Idem, Beni pubblici

tra uso pubblico e interesse finanziario, in Diritto Amministrativo, 2, 2007, p. 165 ss.

464 D.SORACE, Cartolarizzazione e regime dei beni pubblici, cit. par. 5.1.

465 Per Olivi tuttavia la demanialità dei beni ad uso collettivo si esaurisce nella riserva, intesa come garanzia di un uso del bene aperto a tutti, mentre le altre utilità che il bene può rendere sono sostanzialmente privatistiche e quindi appropriabili a titolo individuale nella misura in cui siano compatibili con la protezione dell’uso collettivo. Questo Autore nega il rilievo di interesse pubblico agli usi economici individuali del bene pubblico, ma ammette che «uno sfruttamento significativo dal punto di vista economico della risorsa deve giocoforza essere ricercato, per così dire, all’interno del regime demaniale, e cioè proprio in ordine alle possibilità di sfruttamento della risorsa precluse da questo particolare regime di protezione». E se lo «spazio per lo sfruttamento economico in ordine a utilità che ‘sopravanzano la demanialità’» deve essere ricavato «all’interno del regime demaniale, nel senso che [esse] sono determinate attraverso le regole di questo regime», allo stesso tempo «il potere di disporre delle utilizzazioni esclusive […] può trovare titolo in un contratto di diritto comune e senza limiti di circolazione, intendendosi che ciò che circola non è la cosa ma la prerogativa in ordine all’utilità economica». Cfr. M.OLIVI, Beni demaniali a uso collettivo, cit., pp. 208 ss. e 309.

466 M.OLIVI, Beni demaniali a uso collettivo, cit., p. 4 s. Cfr anche ivi, p. 6 dove, argomentando a partire dal conferimento a Regioni ed enti locali delle funzioni amministrative in materia di demanio idrico e marittimo di cui al d.lgs. 112/1998, l’autore offre una lettura congiunta della privatizzazione e del conferimento di funzioni. Infatti, la scissione tra appartenenza dei beni, che rimane in capo allo Stato, e titolarità delle relative funzioni amministrative, che viene trasferita, è individuata come «un altro fronte di rottura degli schemi tradizionali», per cui, tale

Le criticità illustrate hanno fatto propendere attenta dottrina per un’interpretazione delle norme in questione nel senso di escludere la legittimità della cessione a privati di beni attualmente soggetti al regime della proprietà pubblica467. In primo luogo il trasferi-

mento dei beni alle società di cartolarizzazione, producendo il passaggio al patrimonio disponibile, per essere ricondotto a sistema sarebbe da interpretare nel senso di limitarsi a dichiarare la conseguenza giuridica del venir meno del presupposto della classificazione dei beni tra i demaniali o tra i patrimoniali indisponibili468. Per cui, affinché sia ammissibile

la cartolarizzazione e la successiva alienazione ai privati occorre che i beni abbiano per- duto le caratteristiche oggettive dei beni pubblici469.

In secondo luogo, non sarebbe giustificata l’affermazione dell’indifferenza «della na- tura del soggetto proprietario (pubblico o privato) rispetto al regime sostanziale del bene, che continuerebbe comunque ad essere destinato al perseguimento delle finalità di pub- blico interesse». Al contrario, sarebbe proprio «il regime sostanziale a non garantire la conservazione della destinazione pubblica», per ciò che «l’attuale normativa non consente d’ipotizzare una privatizzazione soltanto formale dei beni pubblici, che valga ad esten- derne l’ambito oltre i beni puramente patrimoniali»470.

Considerando, inoltre, che lo scopo del trasferimento dei beni alle società di cartola- rizzazione non è solo l’alienazione, ma anche la loro gestione e valorizzazione, queste non comportano per ciò stesso il venir meno della necessità di dichiarare il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio da parte dell’autorità amministrativa. Ovvero, i

frammentazione viene riferita sia alla «titolarità del bene», sia alla «titolarità di funzioni sul bene, e ciò conduce ad una lettura congiunta della privatizzazione e del conferimento di funzioni, perché non appare possibile considerare l’una senza tenere presente l’altra».

467 D.SORACE, Cartolarizzazione e regime dei beni pubblici, cit., ibidem, ove si afferma, in particolare che «occorre dunque leggere le disposizioni che ci interessano in modo tale da sottrarle alla condanna costituzionale, ciò che è possibile andando oltre l’interpretazione meramente letterale e ricollocandole nel sistema dei beni pubblici». Cfr. B.TONOLETTI, Beni pubblici e concessioni, cit., p. 263.

468 D.SORACE, Cartolarizzazione e regime dei beni pubblici, cit., ibidem, ove il termine ‘produce’ utilizzato dalla norma viene ritenuto non «tecnicamente appropriato con riferimento ad un atto dichiarativo» ma, si aggiunge, «anche a voler ritenere che il legislatore abbia inteso attribuire al decreto ministeriale effetti costitutivi, ciò naturalmente non escluderebbe che i presupposti per la legittimità di un atto del genere (la ragionevolezza in primo luogo) dovrebbero coincidere con i presupposti di fatto di un atto dichiarativo».

469 L’Autore si riferisce in particolare alle disposizioni di cui all’art. 7, commi 10 e 11, della legge 112/2002, in base alle quali i beni demaniali e patrimoniali indisponibili possono essere trasferiti alla Patrimonio dello Stato s.p.a. anche con le modalità e per gli effetti di cui all’art. 3 comma 1 della legge 410/2001. A tal proposito egli osserva che anche se la legge non esclude espressamente tali beni dalla cartolarizzazione, lo stesso art. 7 stabilisce però che la Patrimonio è istituita nel rispetto dei requisiti e delle finalità propri dei beni pubblici e che il trasferimento non modifica il regime giuridico dei beni demaniali trasferiti.

decreti «lasciano immutata la loro inalienabilità» almeno finché non intervenga un decreto di sclassificazione471.

Per una differente impostazione sarebbe invece da contestare lo stesso passaggio dallo Stato gestore dei beni pubblici allo Stato regolatore, dal momento che la legislazione recente non avrebbe predisposto «una normativa volta a conservare sul piano sostanziale un regime di diritto amministrativo del bene, che possa effettivamente prescindere dalla natura del soggetto titolare». Piuttosto, essa «introduce istituti che tutto fanno tranne che garantire la conservazione immediata dei beni al soddisfacimento di finalità di pubblico interesse». E invero, «la privatizzazione non è compensata da alcuna attività di regolazione tale da assicurare il perseguimento di finalità pubblicistiche da parte dei beni non più di proprietà pubblica. Anzi. Il risultato auspicato (reperimento risorse) viene raggiunto solo se ed in quanto scompaiono o si attenuano i profili di pubblicità nell’interesse protetto»472.

Secondo Caputi Jambrenghi, poi, vi sarebbe un nucleo essenziale della demanialità atto a resistere alla volontà del legislatore, da individuare nei beni aperti alla fruizione collettiva in quanto essi «sembrano meno idonei a subire evoluzioni, per giunta accelerate, nel regime della loro condizione giuridica», per ciò che i loro «proprietari in concreto» sono «i cittadini-utenti», non l’amministrazione473. Per questa ragione, il compito dell’ente

471 Inoltre, con particolare riferimento alla Patrimonio dello Stato S.p.A. si afferma che il trasferimento dei beni non rappresenterebbe una vera e propria privatizzazione “visto che nel diritto contemporaneo delle amministrazioni pubbliche non sembra più inconcepibile che una società come quella in questione – un ‘organismo di diritto pubblico’, che nel caso risulta essere una particolare forma organizzativa dell’amministrazione statale – possa esser titolare anche di beni demaniali. D.SORACE, Cartolarizzazione e regime dei beni pubblici, cit., ibidem.

472 F.FRANCARIO, Privatizzazioni, dismissioni e destinazione “naturale” dei beni pubblici, cit., p. 220 ss. 473 Nell’opinione dell’Autore, tra l’altro, i beni «aperti alla fruizione collettiva nelle forme dell’uso

comune libero e paritario, tendenzialmente gratuito e prevalentemente contemporaneo» non possono neppure «ricomprendersi tra i mezzi dell’attività-funzione della p.A.», ma vengono considerati oggetto «di diritti soggettivi dei cittadini». V.CAPUTI JAMBRENGHI, Proprietà dovere dei

beni, cit., p. 74 ss.

Una posizione simile viene assunta da Renna per il quale, anche se a volte in maniera confusa, la legislazione recente costringe a riportare la demanialità al suo nucleo originario in quanto se, da una parte «per pochissimi tipi di beni è sostenibile un’impossibilità materiale e giuridica o, meglio, un’assoluta inopportunità della loro appartenenza a soggetti anche solo formalmente privati: oltre ai beni che vengono ordinariamente denominati res communes omnium, tra i quali spiccano lo spazio aereo e il c.d. mare territoriale, si possono considerare ancora una volta, per esempio i fiumi e i laghi di grandi dimensioni, ovvero altri beni o porzioni di beni (come i lidi marittimi, da non confondere con le spiagge) che comunque presentino caratteristiche naturali e funzionali molto simili a quelle delle res communes omnium», dall’altra parte, «a queste ipotesi si possono aggiungere, tutt’al più, in applicazione del principio di sussidiarietà in senso orizzontale, quei rari casi nei quali, in relazione a singoli beni o specie di beni, l’appartenenza privata possa rivelarsi totalmente inadeguata sotto l’aspetto funzionale».

Pertanto, per riportare a coerenza il sistema, sarebbe necessario un intervento a carattere ampio del legislatore, volto a «identificare in maniera esplicita e tassativa un nucleo davvero essenziale di tipi e specie di beni – nonché, se del caso, di singoli beni – assolutamente sottratti all’appartenenza privata, per potere quindi concentrarsi meglio, senza più condizionamenti, titubanze e timori, sulla ‘patrimonializzazione’ del regime giuridico di tutti gli altri beni a destinazione collettiva o amministrativa». M. RENNA, La regolazione amministrativa dei beni, cit., p.

di appartenenza viene visto in ottica «di doverosità non privo talora di elementi di obbli- gazione verso i cittadini proprietari reali-utenti».

La proprietà collettiva dei beni di uso comune viene dunque ritenuta capace di resi- stere sia alla volontà contingente del legislatore, sia ad indebite commistioni con istanze finanziarie474. Ciò comporta che la possibilità di utilizzazioni della risorsa ai fini dello

sfruttamento economico deve avvenire attraverso l’applicazione del regime demaniale, ed è in sostanza rimessa ad una valutazione di compatibilità con l’utilità protetta, e più spe- cificamente di verifica di non sottrazione del bene all’uso collettivo, affidata all’autorità amministrativa475.

Su un diverso profilo, invece, si concentra Francario il quale, partendo dalla premessa secondo cui per alcuni beni «la destinazione al soddisfacimento dei fini pubblici è ritenuta naturale», sostiene che tale naturalità «finisce per rappresentare un limite alla possibilità del legislatore di qualificare il regime giuridico dei beni». E, sebbene la tendenza più re- cente sia nel senso di ritenere sempre necessaria la qualificazione formale della cosa da

314; cfr. B.TONOLETTI, Beni pubblici e concessioni, cit., p. 285.

474 La proprietà pubblica, intesa come la proprietà collettiva degli utenti dei beni d’uso comune, viene individuata come «il punto d’arrivo di una storia politica risalente che ha visto le collettività stanziate sul territorio conquistare dal principe nel tempo il diritto di usare e godere di beni della vita necessari per la sopravvivenza (come nell’era degli usi civici), successivamente per la libertà (come le strade senza pedaggio, le acque ed i lidi marini per la pesca), infine per lo sviluppo sociale ed economico con i beni culturali e le infrastrutture del benessere (aerodromi, acquedotti, autostrade)». L’Autore ritiene che nessun ordinamento democratico «possa deliberatamente consentire un arretramento del livello di libertà, di economia e di cultura dei propri cittadini», come quello che deriverebbe dalla sottrazione all’uso pubblico dei beni conferiti alle Scip, alla Patrimonio s.p.a. e alla Infrastrutture s.p.a., V.CAPUTI JAMBRENGHI, Proprietà dovere dei beni, cit.,

ibidem. In tal senso cfr. anche Olivi, op. cit., p. 31 ss., il quale giustifica la considerazione autonoma

della categoria dei beni a fruizione collettiva, partendo dalla circostanza storica per cui «l’idea di demanio nasce riferita ai beni ad uso collettivo», in ragione del diverso rapporto che rispetto ad essi sussiste tra l’extracommerciabilità e il regime amministrativo del bene.

Per una lettura critica si veda anche la recente riflessione di B.TONOLETTI,Costituzione giuridica

delle cose e rigenerazione del legame sociale, in Diritto amministrativo, 2, 2019, sul tema della distinzione tra

beni pubblici e privati, ove l’autore si interroga intorno al modo di disciplinare l’utilizzo e la gestione di beni; modo da cui possono derivare vantaggi o svantaggi per tutta la comunità. In particolare, l’Autore rileva come il neoliberismo «non solo ha rovesciato il rapporto tra proprietà pubblica e proprietà privata, instaurando un regime che tendenzialmente punta al trasferimento integrale delle risorse in mano privata, ma ha anche imposto l’idea che tutti i compiti sociali che la Costituzione affida alla Repubblica siano rinunciabili di fronte ai vincoli assoluti del bilancio pubblico e all’imperativo categorico della crescita economica».

475 M.OLIVI, Beni demaniali a uso collettivo, cit., p. 90 ss., il quale parte dalla considerazione per cui «l’oggetto dei diritti non è la cosa, ma le utilità che dalla cosa si possono trarre» per affermare che «la demanialità non investe tutte le utilità che la cosa rende», ma soltanto quella «identificata dalla inappropriabilità a titolo individuale» per cui lo sfruttamento a fini economici del bene deve av- venire attraverso l’applicazione del regime demaniale.

Partendo da questa prospettiva si giunge non solo a separare ed «assoggettare a un regime giuri- dico distinto la prerogativa all’uso comune rispetto alla prerogativa allo sfruttamento economico», ma anche a configurare la necessità di coordinare queste ultime, compito che non può essere svolto mediante una valutazione generale del legislatore, ma deve essere affidato alla pubblica amministrazione, perché «solo attraverso la misura del caso concreto è possibile la coesistenza tra le diverse utilità della cosa. Da qui, il ruolo sempre assegnato all’autorità, che, fino ad oggi, ha espresso questa misura attraverso lo strumento della concessione.». cfr. ivi, p. 106 ss.

parte dell’ordinamento, ciò non rende «il legislatore completamente libero di disporre della destinazione dei beni pubblici». Al contrario, ciò «vale solo a ricostruire in maniera più ampia il concetto di destinazione naturale».

In questa visione il concetto di naturalità serve per designare «l’appartenenza del bene singolo ad una più ampia categoria, previamente individuata in via generale dal legisla- tore». Di conseguenza, al legislatore viene consentito «tutt’al più [di] disporre della quali- ficazione di un’intera categoria (sottrarre ad esempio le spiagge al regime del demanio), non anche dell’appartenenza del singolo bene alla categoria (sdemanializzare una spiaggia che non abbia perso le caratteristiche intrinseche)»476.

Pertanto, la naturalità verrebbe a costituire un limite invalicabile persino dalla «onni- potenza del legislatore», in quanto «se è la natura delle cose che determina la qualità pub- blica del bene, di questa non può disporre il legislatore»477. Inoltre, ciò sarebbe contrario

alla previsione costituzionale di una proprietà pubblica e lesiva del principio di buon an- damento della p.A., dal momento che la ragione del limite alla privatizzazione consiste nella necessità di «evitare di pregiudicare l’identità, la conservazione e lo sviluppo della collettività della quale l’ente territoriale è esponenziale»478.

5. Osservazioni riepilogative: quali confini tra proprietà pubblica e

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