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La categoria sandulliana dei beni di interesse pubblico.

2. La riapertura della riflessione nella seconda metà del 20° secolo tra superamento delle categorie codicistiche e modello costituzionale

2.1. La categoria sandulliana dei beni di interesse pubblico.

Seguendo un ordine cronologico, la prima ricostruzione da richiamare è quella di Aldo Maria Sandulli178, il quale ha tentato di superare le aporie della disciplina codicistica

impostando il ragionamento giuridico tenendo di conto anche del mutamento radicale che stava subendo l’istituto della proprietà privata, la cui disciplina veniva sempre più influenzata dalla presenza di interessi pubblici. Sandulli si distaccò dalla tradizione solo in seguito alla riflessione specificamente svolta nel saggio sui beni di interesse pubblico del 1956 e nella Voce del 1959 ove, in particolare, individuava una categoria ulteriore e diversa rispetto alla classificazione tradizionale, ossia la categoria dei beni di interesse pubblico, che ha avuto un impatto significativo sui profili strutturali della materia. Infatti, lo studioso non si è limitato ad introdurre una nuova classificazione basata su criteri dif- ferenti dai precedenti, bensì ha proceduto ad un ripensamento dei criteri stessi.

Ebbene, tale ripensamento ha condotto Sandulli ad una inversione del metodo ri- spetto a quello dei suoi predecessori, in quanto l’impostazione prescelta muove da un’ana- lisi della disciplina normativa, per poi ricondurre i beni ad una categoria unificante. Tuttavia, coerentemente con le contaminazioni pandettistiche ancora percepibili in que- sto Autore, egli delinea una sistematica riconducibile alle categorie generali, pur com- piendo un’inversione del procedimento logico utilizzato per l’analisi giuridica e pur operando una revisione ampia dei concetti e criteri della metodologia tradizionale179.

Allo scopo di giungere alla costruzione rigorosa di una categoria giuridica autonoma, lo Studioso si propose di verificare come l’interesse pubblico incida sulla disciplina di alcuni beni. In tale prospettiva il presupposto della classificazione venne individuato nell’esistenza di un diverso regime giuridico tra le varie figure di beni180. Egli ritenne,

infatti, che il criterio soggettivo, ossia quello riferito alla mera appartenenza del bene ad un soggetto pubblico, non fosse da solo sufficiente ad individuare una categoria giuridica.

178 A.M.SANDULLI, Beni pubblici, cit., p. 277 ss.

179 A. FERRARI ZUMBINI, I beni pubblici e la scienza del diritto amministrativo, cit. p. 375 ss.; sul tema cfr. anche A. SANDULLI, Costruire lo Stato, cit., p. 248 ss.

Ovvero, non sarebbe ragionevole prevedere un regime peculiare dei beni soltanto per ciò che essi appartengono ad una pubblica amministrazione, anche in virtù della considera- zione per cui solo i beni del demanio e del patrimonio indisponibile hanno una disciplina differenziata tra i vari beni in appartenenza pubblica, mentre da sempre esistono beni degli enti pubblici inclusi nel patrimonio disponibile, la cui disciplina ricalca quella dei beni appartenenti a privati. D’altra parte, vi sono beni appartenenti ai privati i quali, per il fatto di realizzare interessi pubblici ad essi connessi, sono soggetti a una penetrante ingerenza pubblicistica, la quale limita in modo sostanziale il potere di godere e disporre da parte del proprietario.

Partendo da questa considerazione l’Autore si propose di verificare se nella categoria dei beni pubblici dovessero esser inclusi anche quei «beni appartenenti a soggetti privati, i quali assolvano immediatamente (e non importa se in via esclusiva o no) finalità pubbliche»181. Operando

un ampliamento verso l’esterno, egli inserì quindi nell’analisi anche beni che non rien- trano propriamente tra quelli pubblici in quanto carenti delle requisito soggettivo. I beni privati di interesse pubblico, tuttavia, vennero ritenuti assimilabili ai primi in base al cri- terio sostanziale sopra evidenziato, contrariamente a quanto sostenuto dalla dottrina pre- cedente, che li qualificava come proprietà privata limitata dalla disciplina amministrativa182. Sandulli compì un’evoluzione che superò la rigida distinzione tra pub-

blico e privato, riconoscendo l’esistenza di numerosi beni in proprietà di privati discipli- nati però da norme pubblicistiche allo scopo di garantire interessi pubblici sui beni stessi. La coesistenza con l’interesse del privato proprietario anche di interessi a carattere pub- blico fa emergere in modo netto la compresenza di elementi pubblicistici e privatisti nella medesima fattispecie.

A tal proposito è da notare che fin dalla prima edizione del Manuale183 la materia dei

beni pubblici viene inquadrata dal punto di vista sistematico nell’ambito dei mezzi dell’azione amministrativa, collocazione dovuta alla loro identificazione come mezzi ne- cessari per l’esercizio di funzioni esclusive dello Stato e degli enti territoriali. In nuce, lo Studioso sostenne che «sono beni demaniali quelli che l’ordinamento assoggetta a una disciplina sui generis (inalienabilità, regime di limitazioni delle proprietà circostanti, tutela

181 A.M.SANDULLI, Beni pubblici, cit., p. 278.

182 A. FERRARI ZUMBINI, I beni pubblici e la scienza del diritto amministrativo, cit., ibidem. 183 A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1952, p. 257 ss.

in via amministrativa: art. 823 c.c.), in quanto rappresentano mezzi essenziali per l’espli- cazione di funzioni proprie dell’ente pubblico: essenziali nel senso che unicamente e im- mediatamente a mezzo di essi l’ente è in grado di provvedere a tali funzioni»184.

La definizione proposta possiede un valore descrittivo per ciò che, secondo il sistema introdotto Codice del 1942, «l’individuazione dei beni demaniali non può esser fatta se non sulla base del regime giuridico cui la legge li assoggetti»185. A tal riguardo la destina-

zione, avendo perduto ogni rilievo per l’individuazione dei beni demaniali, viene ritenuta un termine riassuntivo della disciplina degli usi, i quali vengono suddivisi nelle classiche categorie dell’uso comune, uso speciale e uso eccezionale186.

L’uso comune viene indicato come quello che «corrisponde alla generale destinazione del bene, ed è riconosciuto indifferentemente a tutti», senza bisogno di un particolare atto amministrativo. «Così il demanio marittimo e quello idrico sono destinati al servizio della navigazione e della pesca; il demanio stradale è destinato alla circolazione; il demanio artistico al servizio della pubblica cultura ecc.». L’uso speciale viene ritenuto «anch’esso conforme alla destinazione generale del bene, ma, date alcune peculiarità rispetto all’uso generalmente consentito, rivolto a rimuovere i limiti che ad esso si frapporrebbero (p. es. trasporto di legname su fiumi e torrenti)»187. Al contrario, l’uso eccezionale viene indicato

come «caratterizzato dal fatto che non è conforme alla normale destinazione del bene, ma è reso possibile dalla sottrazione – normalmente soltanto parziale – del bene all’uso generale, per metterlo a disposizione di un particolare soggetto»188 (ad esempio impianti

su suolo stradale; impianti industriali e balneari sul lido del mare; impianto di magazzini nei porti).

In modo coerente rispetto all’impostazione seguita, e pur senza svolgere un’esplicita discussione in merito ai rapporti tra uso e destinazione dei beni, gli usi eccezionali sono

184 Si afferma inoltre che «la pubblica Amministrazione, per provvedere alla realizzazione dei fini cui la sua attività si volge, abbisogna degli strumenti necessari: questi sono i beni a sua disposizione, i quali rappresentano i mezzi dell’azione amministrativa» ibidem; Cfr. con la visione del Guicciardini, che Sandulli richiama, sul demanio come mezzo per l’esercizio delle funzioni pubbliche.

185 A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 258.

186 L’Autore chiarisce nel testo che «i beni demaniali servono direttamente e immediatamente a una funzione pubblica. Alcuni di essi vi adempiono mediante un impiego diretto ed esclusivo da parte degli organi competenti dell’Amministrazione: così avviene pel demanio militare, pei cimiteri. Altri invece vi adempiono con l’esser posti a disposizione dei componenti della collettività: così avviene pel demanio marittimo, idrico, stradale, ecc. Di quest’ultima più frequente funzione dei beni demaniali la dottrina è venuta distinguendo varie forme: l’uso comune, l’uso speciale e l’uso eccezionale». A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 266 ss.

187 A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., ibidem 188 A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., ibidem

messi in relazione con gli atti concessori189, i quali vengono considerati come una forma

di destinazione190.

Questa affermazione, viene sviluppata in seguito191, quando l’Autore rileva come in

alcune ipotesi la funzione sociale della proprietà di cui all’art. 42 Cost. non si traduce in semplici obblighi personali del titolare del diritto, quanto piuttosto «in un regime speciale della cosa in sé». Tale ipotesi si afferma inverarsi «quelle volte che dei beni di apparte- nenza privata assolvano istituzionalmente a finalità di pubblico interesse (per lo più cor- rispondenti o affini a quelle cui servono i beni pubblici)»192. Con tale affermazione

l’Autore intese dimostrare l’esistenza di beni che non mutano natura o funzione quando in proprietà dei privati: le autostrade e le strade ferrate, gli aerodromi, i boschi e le foreste, i beni privati di interesse storico-artistico etc., quando dati in concessione ai privati o in proprietà a questi ultimi, «hanno in comune con quelli degli enti pubblici soggetti a regime pubblicistico la caratteristica di realizzare direttamente essi stessi un interesse pubblico», pertanto, in relazione a ciò, sono soggetti a un particolare regime pubblicistico193.

Da tale premessa discende che beni pubblici sarebbero da includere nel più ampio genere dei beni di interesse pubblico – i quali hanno tutti in comune la caratteristica di essere destinati a soddisfare interessi pubblici – distinguendosi dagli altri beni inclusi in tale categoria in ragione della loro appartenenza a enti pubblici194. Dal punto di vista si-

stematico ne consegue l’ampliamento della categoria dei beni pubblici, la quale non viene limitata ai soli beni demaniali, ma si allarga fino ad includere i beni patrimoniali indispo- nibili la cui funzione invece, secondo la dottrina tradizionale, era ritenuta meramente au- siliaria all’adempimento di servizi pubblici195.

I beni pubblici, dunque, non vengono più definiti come mezzi essenziali per lo svol- gimento di funzioni proprie degli enti pubblici, per ciò che le medesime funzioni vengono svolte anche tramite beni di proprietà privata riferibili alle medesime categorie196. Per cui,

189 Infatti si afferma che «la destinazione del bene all’uso eccezionale avviene per solito mediante un atto amministrativo di concessione o di licenza», ivi.

190 B.TONOLETTI, Beni pubblici e concessioni, cit., p. 208.

191 A.M. SANDULLI, Spunti per uno studio dei beni privati di interesse pubblico, Dir. Econom. 1956, p. 163 ss.; l’analisi viene ulteriormente sviluppata nella voce dell’Enciclopedia del diritto e indicata come elemento specifico di crisi della teoria della proprietà pubblica.

192 A.M. SANDULLI, Spunti per uno studio dei beni privati di interesse pubblico, cit., ibidem.

193 A.M.SANDULLI, Beni pubblici, cit., par. 3 e nota 6, ove si legge «dunque, la caratteristica d’attuare direttamente l’interesse pubblico non è propria ed esclusiva dei beni pubblici – come si suole comunemente ritenere».

194 A.M.SANDULLI, Beni pubblici, cit., par. 4.

195 A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 281.

196 A ciò fanno eccezione i beni del demanio necessario, i quali invece «ineriscono a compiti riservati allo Stato, e non possono appartenere che allo Stato: sono dunque beni demaniali per natura» A.M.SANDULLI, Beni pubblici, cit., par. 9.

se i beni demaniali e quelli patrimoniali indisponibili «servono, tanto gli uni quanto gli altri, alla immediata soddisfazione di bisogni considerati d’importanza sociale nel mo- mento storico in cui ricevono la loro configurazione giuridica», allora risulta errato impo- stare la distinzione tra di loro «sulla base della considerazione che gli uni e non gli altri rappresentino mezzi essenziali per l’esplicazione di funzioni proprie dell’ente pub- blico»197. Ciò in quanto i beni demaniali si distinguono da quelli patrimoniali indisponibili

solo «alla stregua di un criterio meramente formale», ossia la discriminazione fattane dal diritto positivo198.

Una ulteriore (e fondamentale) conseguenza derivante da questa impostazione teo- rica consiste nella revisione della sistematica degli usi. In primo luogo, infatti, il concetto di destinazione viene sostituito con quello di “funzione dei beni pubblici”, ritenuto mag- giormente aderente al presupposto per cui tali beni servono all’interesse pubblico «in va- rio modo, secondo la loro natura», nonché rispondente all’assunto in base al quale «i beni pubblici servono a finalità d’interesse pubblico»199. I molteplici fini individuati sono rite-

nuti indice di un nuovo atteggiamento di apertura all’evoluzione del dato positivo, che ha come conseguenza la liberazione del dogma della destinazione all’uso pubblico, in con- trapposizione alla rigidità con cui la dottrina precedente aveva insistito nel limitare al solo uso comune l’interesse pubblico alla cui soddisfazione i beni pubblici sono strumentali200.

Ciò ha consentito, in ultima analisi, di attribuire adeguato rilievo sistematico all’os- servazione in base alla quale gli usi concessi a titolo particolare possono costituire la de- stinazione non solo normale, ma anche principale del bene pubblico, come emerge anche dal diritto positivo201. Difatti, «se non tutti i beni pubblici hanno come funzione primaria

quella di soddisfare immediatamente interessi di singoli, il fenomeno che beni pubblici

197 A.M.SANDULLI, Beni pubblici, cit., par. 5.

198 In particolare, si osserva che «la ratio che esige che i beni in questione ricevano una disciplina giuridica particolare è rappresentata dal loro esser beni che assolvono a un particolare interesse pubblico: la discriminazione tra beni demaniali e beni patrimoniali indisponibili è poi questione di opportunità, rimessa al criterio politico del legislatore». A.M.SANDULLI, Beni pubblici, op. loc. ult. cit..

199 A.M.SANDULLI, Beni pubblici, cit., par. 20.

200 B.TONOLETTI, Beni pubblici e concessioni, cit., p. 211.

Vi si legge, infatti, che «alcuni non sono che strumenti attraverso il cui impiego (immediato o mediato) l’amministrazione è in grado di realizzare la sua azione». In taluni casi, però, «l’interesse pubblico consiste nella pura e semplice conservazione dei beni, e nel prevenire la perdita e il deperimento, dunque «manca in essi ogni funzione strumentale; o, se vi è, inerisce a un interesse diverso». Numerosi sono ritenuti «i casi in cui i beni pubblici – e in particolare quelli demaniali – assolvono l’interesse sociale servendo immediatamente non l’amministrazione, ma la stessa collettività, in persona dei suoi componenti, i quali vengono ammessi istituzionalmente a goderne in modo diretto». Infine, in talaltri casi, che in uno Stato sociali sono ritenuti destinati a diventare sempre più frequenti, «le cose pubbliche assolvono l’interesse sociale servendo immediatamente non la collettività in tutti i suoi componenti, ma singoli soggetti» A.M.SANDULLI, Beni pubblici, cit., par 20.

servano a specifici interessi dei singoli, anche se spesso altra sia la loro funzione primaria, è piuttosto frequente; ed è certo più frequente di quanto comunemente si soglia avvertire. Non di rado riesce anzi difficile stabilire se la funzione preminente di un certo bene pub- blico sia costituita dall’uso comune – o, rispettivamente, dall’impiego diretto da parte della pubblica amministrazione – ovvero sia costituito dall’uso particolare che singoli sog- getti siano ammessi a farne. Spesso infatti gli usi dell’una e dell’altra specie si pongono, in considerazione della funzione del bene, sul medesimo piano, sì che nessuno di essi possa essere ritenuto preminente»202.

Con tale considerazione per la prima volta in dottrina si ha l’esplicito riconoscimento dell’inesistenza di gerarchie negli usi, che invece in passato erano state affermate, in par- ticolar modo attraverso una rigida distinzione tra usi conformi e usi difformi rispetto alla destinazione normale del bene203. Di conseguenza, «una volta dimostrato che spesso, at-

traverso usi particolari, consentiti a mezzo di concessioni, viene realizzata una funzione primaria (o comprimaria) del bene pubblico, e che gli usi pei quali sia previsto un parti- colare atto permissivo sostanzialmente non si differenziano dall’uso comune, è evidente la inammissibilità di configurare gli usi di tal fatta, rispettivamente, come eccezionali o speciali»204.

La nuova distinzione tra uso diretto, uso generale e uso particolare si regge sul pre- supposto per cui l’uso varia in base alla specie dei beni nonché a seconda che abbia luogo «direttamente da parte dell’amministrazione, o da parte dei singoli, senza che necessaria- mente le due ipotesi si escludano a vicenda»; a sua volta, «l’uso da parte dei singoli può aver luogo o indiscriminatamente da parte di tutti o, (per lo più in virtù di uno speciale atto amministrativo) da parte di soggetti determinati, senza che anche queste due ipotesi necessariamente si escludano a vicenda. E – quel che è più importante – non esiste una regola assoluta per cui alcuno di tali tipi di uso debba o possa esser configurato come primario rispetto agli altri»205.

Pertanto, argomentando a partire dal presupposto di un concetto di destinazione ampio e articolato alla concessione viene attribuito ruolo di strumento generale di attua- zione della destinazione dei beni pubblici, rappresentando l’atto mediante cui vengono consentiti gli usi particolari206.

202 A.M.SANDULLI, Beni pubblici, cit., ibidem.

203 Si sostiene cioè la «inadeguatezza della concezione tradizionale», secondo cui «dei beni pubblici dovrebbero esser configurate tre categorie di usi da parte dei singoli: l’uso comune, l’uso speciale e l’uso eccezionale» A.M.SANDULLI, Beni pubblici, cit., par 21.

204 A.M.SANDULLI, Beni pubblici, cit., ibidem. 205 A.M.SANDULLI, Beni pubblici, cit., ibidem.

In conclusione, questa analisi riporta a coerenza la teoria dei beni pubblici, ampliando le categorie prese in considerazione mediante l’introduzione dei beni di interesse pub- blico, cioè beni caratterizzati da diversi regimi, ossia i beni ad appartenenza privata e quelli ad appartenenza pubblica207. In quest’ottica, la nozione di bene pubblico in senso stretto

(beni demaniali e del patrimonio indisponibile) viene riferita soltanto a quelli appartenenti a enti pubblici, e perciò caratterizzati da un regime speciale rispetto a quello generale della proprietà.

La nuova impostazione teorica si regge sul presupposto per cui per i beni aventi peculiare rilievo sociale, le leggi possono limitare i poteri di disposizione e di godimento esclusivi e assoluti in capo al proprietario, con ciò dimostrando che gli interessi pubblici sono connaturati anche alla disciplina dei beni privati208. L’interesse pubblico, dunque,

permea la disciplina dei beni, a prescindere dalla loro appartenenza, legittimando, come si è visto, la presenza di rilevanti poteri amministrativi di tutela e gestione dei beni stessi209.

2.2. La scomposizione della categoria dei beni pubblici e l’approccio

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