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La scomposizione della nozione di proprietà pubblica nel pensiero di Cerulli Irelli.

La riflessione di Cerulli Irelli muove dalla constatazione del carattere di «soffusa in- determinatezza» che possiede il concetto di proprietà pubblica per contestare il fonda- mento della nozione stessa. Tale concetto viene ritenuto adatto ad indicare il complesso di temi e problemi legati ai rapporti di natura dominicale o comunque “reale” dei pubblici poteri e delle collettività con le cose immobili, con il territorio, ma esso (concetto) non appare idoneo a designare precisi istituti. La nozione in esame viene posta in relazione con il concetto di “deroga” rispetto al diritto comune, concetto riconducile alla sola pre- senza di due caratteri specifici, derogatori appunto alla proprietà privata, ovvero la riserva e l’incommerciabilità. Tuttavia, siccome suddetti caratteri non valgono ad individuare una categoria unitaria, si giunge ad individuare il regime autentico dei beni pubblici in quello collettivo, ovverosia quello volto a garantire l’uso pubblico dei beni.

Osservando che la maggior parte delle ricerche sul tema della proprietà pubblica sono volte ad individuare un regime differenziato rispetto a quello di diritto comune, egli contesta la riconduzione della proprietà pubblica a categorie di beni unitarie. La nozione usata dalla Costituzione (art. 42 comma 1) in contrapposizione alla proprietà privata, si sostiene, indica un complesso di situazioni di appartenenza facenti capo allo Stato o ad enti pubblici ovvero a collettività di rilievo pubblico (comunità d’abitanti). Tali situazioni di appartenenza presentano rilevanti deroghe rispetto al diritto comune, ed è possibile riscontrare nella realtà positiva modelli numerosi e diversificati, sia sul versante pubblico che privato, ma essi sono tutti riconducibili ad un nucleo di istituti comuni287. Le deroghe,

286 Riprende la tesi di Cassese, anche M. Olivi il quale osserva che il godimento dei beni pubblici da parte della collettività non sia garantito tanto dalla loro destinazione all’uso comune, quanto dalla stessa riserva, la quale opera nel senso di impedire l’appropriazione a titolo individuale dei beni. Infatti, se «l’appartenenza esprime la scelta dell’ordinamento di regolare l’uso delle risorse», i beni demaniali ad uso collettivo realizzano «una forma di appartenenza piuttosto analoga alla situazione di non appartenenza» mentre le altre utilità che il bene può rendere sono sostanzialmente privatistiche e quindi appropriabili a titolo individuale nella misura in cui siano compatibili con la protezione dell’uso collettivo. M.OLIVI, Beni demaniali a uso collettivo, cit., p. 55. 287 Ovvero, l’affermazione «che la proprietà è pubblica o privata sembra avere un significato positivo

nei limiti di una mera costituzionalizzazione delle varie riserve di categorie di beni alla mano pubblica che erano state disposte nel corso della vicenda dello Stato italiano e di altre che avrebbero potuto essere disposte». Tuttavia, «una prima analisi del diritto positivo sembra mostrare che al di là del dato minimo costituito dalla incommerciabilità e dalla riserva non si

quindi, non andrebbero ad intaccare la natura dominicale delle situazioni di appartenenza ascrivibili alla proprietà pubblica, in quanto anche a simili istituti «il diritto comune si applica sempre che non sia incompatibile in singole sue norme con norme speciali poste dalla legge in riferimento a tali situazioni di appartenenza (le deroghe, appunto)»288.

Le deroghe al modello di diritto comune portano a presupporre l’imputazione delle situazioni di appartenenza derogatorie a soggetti pubblici o collettivi, o comunque a soggetti portatori di interessi non meramente individuali. Infatti, il regime differenziato si caratterizza per ciò, che «le scelte di gestione e disposizione concernenti la cosa» vengono «fatte non in funzione degli interessi del proprietario o del titolare di altro diritto sulla cosa, ma in funzione del perseguimento di fini “alieni” rispetto a tali interessi, di fini al cui perseguimento la cosa fosse stata “destinata” dalla legge ovvero dalla pubblica autorità in base alla legge»289.

Questa dottrina non ritiene l’imputazione soggettiva del titolo di appartenenza dei beni sufficiente a costituire, di per sé, elemento discriminativo e qualificativo per l’applicazione ai beni stessi della disciplina amministrativa. Allo stesso modo, l’applicazione del “regime amministrativo” vale ad individuare una categoria particolare di beni immobili riconducibili alla nozione di proprietà pubblica enunciata dalla Costituzione. Sicché, per provare a ricostruire una nozione generale egli sposta l’indagine sulle forme dei regimi dominicali, ovvero, «sulle varie e complesse forme e manifestazioni delle relazioni» intercorrenti tra le cose del mondo materiale che siano atte a divenire beni ed soggetti che su esse abbiano diritti290.

La previsione costituzionale a carattere generale circa l’esistenza di una proprietà pubblica distinta dalla proprietà privata induce ad ammettere la presenza di un regime giuridico dei beni pubblici derogatorio rispetto al diritto comune, anche al di là della espressa previsione di categorie di beni riservati. Val quanto dire che la disciplina differenziata rispetto al complesso degli istituti dominicali di diritto comune viene sintetizzata in ciò che alcune categorie di beni possono essere riservate dalla legge alla

rinviene atro dato qualificante, nella disciplina dell’appartenenza dei beni in mano pubblica, che possa servire a differenziare dal punto di vista positivo tale disciplina da quella “di diritto comune” delle situazioni di appartenenza». V.CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica e diritti collettivi, cit., p. 12 s. 288 Anche questo Autore nega che nell’ordinamento vi siano due distinti modelli di situazioni di appartenenza, contrariamente a quanto sostenuto da Zanobini, in quanto la proprietà pubblica si limiterebbe a raccogliere situazioni di appartenenza disciplinate attraverso deroghe al diritto comune il quale, invece, si applica, nel suo nucleo essenziale, alle situazioni raccolte sotto l’etichetta di proprietà privata nonché agli aspetti della proprietà pubblica non esplicitamente disciplinati. Dell’impostazione di Zanobini si critica anche l’individuazione di un regime unitario della proprietà interno al concetto di autotutela. Cfr. V.CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica e diritti

collettivi, cit., pp. 417 e 425.

289 V.CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica e diritti collettivi, cit., p. 8. 290 V.CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica e diritti collettivi, cit., p. 10.

mano pubblica e sottratte al commercio, essendo dalla Costituzione ammessa, accanto alla proprietà privata dei beni, una proprietà soggettivamente pubblica di essi, imputata allo Stato, agli enti pubblici ed alle collettività di rilievo pubblico.

Questo Autore nega l’esistenza, quindi, di un nucleo di istituti positivi, seppur esiguo, che si applichi ex se ad una categoria di beni pubblici individuati come fattispecie, non essendo contemplata nel sistema costituzionale una categoria di beni, individuati come fattispecie, che, come tali, siano sottoposti ad una specifica disciplina unitaria. Vi sarebbero, piuttosto, una serie di regimi di appartenenza differenziati rispetto al diritto comune espressamente previsti in riferimento ad alcune categorie di beni imputati ad enti pubblici, ovvero a collettività di rilievo pubblico. Infatti, sebbene si individuino alcuni regimi giuridici derogatori rispetto al diritto comune, che si applicano ai beni pubblici o in proprietà pubblica, essi sono ritenuti profondamente diversi tra loro, anche per il fatto che essi rispondono a diversi obiettivi e valori perseguiti dall’ordinamento291.

Per quanto riguarda la disciplina dei beni in proprietà pubblica, vengono individuati principalmente tre modelli derogatori rispetto alla disciplina comune (riserva, destinazione pubblica e diritti collettivi).

Il primo è rappresentato dalla nozione di riserva, che comprende i beni che sono in dominio riservato dello Stato o di un altro ente pubblico; ciò significa che soltanto lo Stato o altro ente pubblico indicato dalla legge è titolare della proprietà di tali beni, mentre nessun altro soggetto giuridico, pubblico o privato che sia, è legittimato ad acquistarne la proprietà stessa. La riserva viene quindi definita come «situazione normativa contenuta in un atto legislativo la quale incide non sulla titolarità di situazioni soggettive, ma sulla legittimazione alla titolarità di situazioni soggettive», che «comporta necessariamente l’assoluta incommerciabilità del bene o della categoria di beni che ne è oggetto»292.

Il secondo modello viene individuato nella destinazione pubblica, per cui alcuni beni o categorie di beni, che appartengono allo Stato o ad altro ente pubblico e possono essere destinati ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio. In tal caso, «al momento in

291 Cerulli Irelli distingue vari scopi tra quelli che possono dare luogo ad un regime derogatorio (protezione delle funzioni dello Stato, salvaguardia dell’esercizio collettivo del godimento e dell’uso di beni necessari alla vita della collettività). Ciò lo conduce ad affermare con sicurezza che da «un punto di vista strettamente formale non si rinviene una categoria di beni che in quanto posseggono come fattispecie determinate caratteristiche sono perciò assoggettati aduna determinata disciplina». V.CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica e diritti collettivi, cit., p. 423.

292 In tal senso anche S.CASSESE, Legge di riserva e articolo 43 della Costituzione, cit.

Per quanto riguarda l’individuazione delle fattispecie, tali beni vengono identificati per le loro caratteristiche naturali e, il fatto di possedere tali determinate caratteristiche fissate dalla legge, produce per ciò stesso l’ascrizione ad un determinato tipo, e dunque la sottoposizione al regime della riserva. L’autorità, cioè, si limita ad accertare il fatto e dichiarare l’ascrizione del bene al tipo. Cfr. V.CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica e diritti collettivi, cit., p. 418 s.

cui essi vengono effettivamente adibiti alla funzione o al servizio sono assoggettati ad un regime giuridico, derogatorio rispetto al diritto comune, consistente in ciò, che sin che la destinazione pubblica permane, in fatto ovvero per decisione dell’autorità amministrativa competente circa la funzione o il servizio, il bene non ne può essere sottratto per cause di diritto comune»293.

Per particolari categorie di beni necessari per assicurarne la funzione sociale e l’accessibilità a tutti, cioè l’ordinamento impedisce l’appropriabilità da parte dei privati o, comunque, da parte di soggetti diversi da quelli indicati dalla legge come titolari della riserva. Il predetto regime derogatorio consiste nel fatto che i beni appartenenti ai pubblici poteri possono essere destinati ad una funzione o ad un servizio pubblico e, in conseguenza di tale fatto, parzialmente sottratti all’applicazione del diritto comune.

In definitiva, in questa ricostruzione, i concetti di riserva e destinazione rispondono ai due profili fondamentali della disciplina dei beni pubblici, nello specifico, il primo fa riferimento al dominio, ossia ai beni pubblici in proprietà dei pubblici poteri, secondo un rapporto dominicale sottoposto a regime differenziato, il quale comporta un limite alla legittimazione all’acquisto del bene o della categoria di beni riservata. Lo scopo dell’interesse pubblico riguarda la loro destinazione, cioè la funzione in virtù della quale i beni sono «assegnati alla mano pubblica ed utilizzati secondo procedure amministrative formalizzate».

In riferimento al profilo dello scopo di pubblico interesse cui i beni pubblici sono intesi ad ottemperare, il regime differenziato (in misura e con modalità diverse rispetto al regime della riserva) opera in quanto essi siano effettivamente utilizzati per lo scopo di previsto dalla legge per una categoria di essi, ovvero per una qualsiasi funzione pubblica o pubblico servizio. Ovvero, il particolare regime giuridico cui sono sottoposti viene giustificato laddove quest’ultima venga in contrasto con le esigenze proprie della destinazione e finché che il bene sia effettivamente destinato ad uno scopo pubblicistico. Al contrario, i beni riservati sono comunque assoggettati al regime derogatorio della riserva, prescindendo dalla loro concreta destinazione ad una funzione di pubblico interesse294.

Il terzo concetto positivo che connota le categorie di beni rapportabili alla nozione di proprietà pubblica viene individuato nel diritto collettivo, cioè nei beni appartenenti

293 V.CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica e diritti collettivi, cit., p. 420.

294 V.CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica e diritti collettivi, cit., p. 49 ss. Questa posizione avversa le ricostruzioni – come quella di Cassese e Cassarino – che tendono a risolvere la categoria dei bei pubblici in quella dei beni a destinazione pubblica, infatti, si osserva, nell’ordinamento positivo, sussistono entrambe le categorie descritte, per cui tali costruzioni dottrinali vengono ritenute inesatte.

ad una collettività, anziché ad un soggetto-persona fisica o giuridica (proprietà collettiva di diritto pubblico). Ovvero, alcuni beni sono privati in quanto al dominio ma, allo stesso tempo, sono oggetto di diritti reali di godimento e d’uso imputati ad una collettività (beni d’uso civico, beni privati soggetti all’uso pubblico). In entrambi i casi, seppure con modalità diverse, il diritto collettivo va ad interferire con il regime giuridico del bene che ne è oggetto, nel senso che lo sottrae parzialmente al diritto comune295.

Nella ricostruzione in esame, quindi, anche le collettività territoriali risultano titolari di diritti di natura reale su beni privati, ovvero di diritti dominicali. I beni che sono oggetto di tali diritti vengono conseguentemente sottratti parzialmente all’applicazione del diritto comune, andando a costituire un ulteriore profilo derogatorio della proprietà pubblica.

Sebbene la dicotomia proprietà pubblica-privata sembri esaurire le forme di appropriazione di beni, questo Autore individua nell’ordinamento varie forme di appropriazione di beni di tipo non individuale rispondenti al modello costituzionale, ad esempio, laddove la Costituzione stessa, all’articolo 43 prevede esplicitamente forme di appropriazione di beni produttivi di tipo non individuale, ovverosia quelle cioè imputate alle comunità di lavoratori e di utenti296.

Per tale via si individuano beni di appartenenza pubblica o privata oggetto di diritti collettivi di godimento e d’uso e beni oggetto di diritti collettivi comuni (beni in proprietà collettiva); in entrambi i casi essi vengono riferiti diritti di natura reale ad una collettività indifferenziata di cittadini abitanti in una certa località o territorio297. Per cui, la comunità

d’abitanti viene ad acquisire «diritti di varia natura e contenuto che afferiscono all’ambito degli interessi ad essa propri, come comunità». Tali diritti vengono definiti «a doppia imputazione» in quanto, da un lato, essi sono attributi alla comunità d’abitanti identificata nella pluralità dei suoi membri, oltre che uti singulis; dall’altro lato i diritti vengono riconosciuti in capo all’ente che rappresenta la comunità stessa298.

Ai beni oggetto di diritti collettivi sono attribuite due caratteristiche fondamentali,

295 V.CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica e diritti collettivi, cit., p. 51.

Sul carattere di proprietà collettiva dei beni imputati a pubblici poteri ma destinati alla fruizione collettiva Cfr. M. S. GIANNINI, Diritto pubblico dell’economia, cit., pp. 82 ss .e 96 ss. ove distingue tra beni destinati ala fruizione collettiva, che coprono il tradizionale ambito del demanio, e beni collettivi imputati ad una collettività, che coincidono con la nozione di beni collettivi oggetto di diritti collettivi, utilizzata da Cerulli Irelli.

296 V.CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica e diritti collettivi, cit., p. 34 s.

297 Alla comunità d’abitanti si attribuisce una funzione di diritto pubblico, in quanto l’ordinamento «si fa carico della cura degli interessi della comunità affidandola in via residuale, cioè in mancanza di autonome iniziative organizzative della comunità stessa» ad un ente esponenziale, cioè al comune. Si tratta cioè di forme organizzative del profilo soggettivo della proprietà collettiva di diritto pubblico. V.CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica e diritti collettivi, cit., pp. 263 ss. e 420 ss. 298 V.CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica e diritti collettivi, cit., p. 421.

tali per cui essi sono ricondotti ad un tipo comune, ovverosia quello di essere «cose aperte al godimento e all’uso collettivo, che può essere bensì regolamentato ma non può essere escluso». In riferimento ad esse il godimento e l’uso collettivo sono oggetto di un diritto imputato ad una determinata collettività, non dunque un mero fatto di destinazione.

Questo è il motivo per cui i beni collettivi così identificati sono assoggettati ad un regime giuridico speciale – seppur in forme e con modalità diverse – derogatorio rispetto al diritto comune, che ha lo scopo di tutelare l’esercizio dei diritti collettivi sui beni, attraverso l’obbligo dell’apertura al godimento comune e l’incommerciabilità299. In tal

senso si parla di «fenomeno di pubblicizzazione» intendendo che l’ordinamento, per tutelare simili forme di appartenenza collettiva, ha predisposto per esse, sia sotto il profilo soggettivo (comunità d’abitanti e sue forme organizzative) sia sotto il profilo oggettivo (regime dei beni in dominio collettivo) una disciplina che composta principalmente di istituti di dritto pubblico, finendo così per far coincidere le forme organizzative della comunità d’abitanti come soggetto titolare di beni collettivi, con le strutture dell’organizzazione amministrativa e il regime di quei beni, con il regime demaniale300.

La proprietà dei beni (dominio) in questo modello viene imputata alla comunità d’abitanti, la quale esprime una realtà collettiva di rilievo pubblico, i cui interessi sono assunti dall’ordinamento come pubblici. Allo stesso modo, sotto il profilo oggettivo, i beni imputati in proprietà collettiva a comunità di abitanti sono sottoposti ad un regime pubblicistico, il quale viene a costituire uno di quei regimi derogatori rispetto al modello comune nei quali si concretizza la proprietà pubblica e che dà luogo ad una situazione di incommerciabilità. In questo caso, l’incommerciabilità deriva dall’essere i beni oggetto di diritti collettivi di dominio, che l’ordinamento ha stabilito dover essere mantenuti nella loro consistenza e tutelati, mentre le varie specie di cui si compone la proprietà collettiva (terreni agrari, boschi, pascoli) come tali risultano liberamente appropriabili secondo le regole del diritto comune301.

299 V.CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica e diritti collettivi, cit., p. 422 ss. 300 V.CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica e diritti collettivi, cit., p. 415 ss. 301 V.CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica e diritti collettivi, cit., p. 425 ss.

Capitolo II

Verso una nozione oggettiva di beni pubblici: valoriz-

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