• Non ci sono risultati.

Segue: l’affermazione dell’«ondata panpubblicistica» nelle opere di Orlando e Ranelletti.

Evoluzione dell’istituto della concessione ammini strativa di beni pubblic

2. Evoluzione degli studi sul tema: tendenza contrattual-privatistica ottocentesca.

2.1 Segue: l’affermazione dell’«ondata panpubblicistica» nelle opere di Orlando e Ranelletti.

Come già accennato nell’introduzione, vi fu un momento in cui lo sforzo dell’elabo- razione dottrinale sul tema delle concessioni si concentrò su una ricostruzione improntata ad un modello marcatamente pubblicistico. Negli anni ‘80 del XIX secolo, difatti, si è assistito all’affiorare di tesi che si spostano su una concezione prettamente “autoritativa” della concessione, ma più in generale nell’affermazione dell’autonomia scientifica del di- ritto pubblico e la pubblicizzazione dei rapporti amministrativi. In tal senso fu decisivo il contributo di Vittorio Emanuele Orlando, il quale ebbe il merito di utilizzare la Novacula Occami, sfrondando dal diritto pubblico puro tutta una serie di orpelli di carattere extra- giuridico (quali implicazioni o assunzioni politico-filosofiche)516. A ciò si aggiunge la di-

sincantata lettura secondo cui il dato è oggetto di elaborazione e non già si mera esegesi: mancando una codificazione del diritto pubblico, lo studioso deve andare oltre il testo delle disposizioni (l’enunciato), contribuendo alla «formazione del diritto pubblico nazio- nale» mediante il procedimento di elaborazione creativa dei principi che informano il sistema517. Val quanto dire che il ruolo dello scienziato è quello di «opporre alle dichiara-

zioni legislative della camera elettiva […] una interpretazione sistematica e scientifica in grado, se del caso, di riassorbire nell’alveo della tradizione qualsiasi dichiarazione innova- tiva e pericolosa per gli equilibri o squilibri esistenti»518.

Il processo di pubblicizzazione, quindi, poggia sul concetto di utilitas, nel senso che il perseguimento di utilità pubbliche segna l’atto o il rapporto come di diritto pubblico, mentre l’utilità patrimoniale connota l’atto come privatistico519. Su queste basi si esclu-

516 A tal riguardo, l’Autore è del tutto chiaro nel bandire dalla scienza del diritto pubblico i rilievi politico-filosofici sulla convenienza o meno degli istituti giuridici, per ciò che «un delle principali qualità tecniche, che nel giureconsulto si richiedono, consistono nell’abitudine a considerare le varie nozioni ed i vari istituti giuridici come entità reali, viventi, esistenti. Cfr. V.E. ORLANDO,

Diritto pubblico generale. Scritti vari (1881-1940), Milano, 1954, p. 13.

517 V.E. ORLANDO, Diritto pubblico generale, ult. op. cit., p. 22. Per una ricostruzione complessiva del pensiero di questo Autore si veda A. SANDULLI, Costruire lo Stato, cit., p. 49 ss.

518 C. MOZZARELLI - S. NESPOR, La codificazione del diritto amministrativo. Giuristi e istituzioni nello Stato

liberale, in Rivista Trimestrale di diritto Pubblico, 1976, p. 1133.

519 Sul punto V.E. ORLANDO, Principi di diritto amministrativo, Firenze,1891, p. 364, secondo cui «sarebbe un gravissimo errore supporre senz’altro per quella per cui lo Stato rientra completamente nel diritto comune sia l’attività sociale […]. Noi abbiamo visto a suo luogo come in tutta l’attività sociale lo Stato sia mosso da fini meramente patrimoniali, che anzi il più delle volte l’interesse pubblico che lo Stato si propone per fine, fa sì che i rapporti, da esso instituiti coi privati, non si fondano su quella eguaglianza del corrispettivo che è l’ipotesi dei contratti sinallagmatici privati».

deva la responsabilità diretta dello Stato, allorquando esso agiva mediante instrumenta pub- blicistici, per ciò che il perseguimento dell’interesse pubblico sarebbe incompatibile col concetto di colpa520.

Aderisce all’impostazione pubblicistica anche il Giorgi, il quale intende le concessioni come atti di imperio, perciò revocabili per pubblico interesse. La natura pubblicistica della concessione non viene a mutare neppure nelle ipotesi in cui essa si accompagni ad un contratto, per cui le contaminazioni privatistiche risultano inidonee a mutare la natura dell’istituto521.

In questo percorso verso l’affermazione dell’autonomia del diritto pubblico, un ulte- riore contributo fondamentale è attribuibile ad Oreste Ranelletti, il quale è stato in grado di cogliere il senso del concetto di concessione sulla base di un metodo di astrazione e di estrazione alla luce delle reciproche differenze con la figura di confine (quella dell’auto- rizzazione). E difatti, muovendo con metodo induttivo (dalle varie tipologie di atti esi- stenti, nonché dalla dottrina e giurisprudenza), l’Autore giunge alle conclusione che le leggi configurano la concessione in modo unilaterale, mentre la struttura contrattuale (che pur si riconosce esistente) risulta riversata in fonti di rango secondario quali le disposi- zioni regolamentari522.

520 V.E. ORLANDO, Principi di diritto amministrativo, ult. op. cit., p. 366.

521 G.GIORGI, La dottrina delle persone giuridiche o corpi morali, II, Firenze, 1891, p. 588.

522 O. RANELLETTI, Teoria Generale delle autorizzazioni e concessioni amministrative. Parte I: concetto e natura

delle autorizzazioni e concessioni amministrative, in Giur. It., 1894, IV, p. 56, là dove l’Autore rimarca

che «dal modo come la concessione viene fatta, da tutte le espressioni […] della legge e del rego- lamento, si può dedurre questo: l’atto di concessione nasce e rimane come atto a sé, senza formare un atto unico contrattuale coll’obbligazione del privato richiedente. Difatti l’atto di obbligazione, consistente nella sottoscrizione e quindi nell’accettazione del disciplinare, comprende il discipli- nare ed il progetto di massima […]». La circostanza che «la legge e il regolamento indicano gli obblighi del concessionario, cioè la parola condizioni, ed il modo come questi obblighi compaiono nel decreto speciale che accorda la concessione» impone di riconoscere che «la domanda provochi l’emanazione dell’atto di concessione, e contenga la dichiarazione tacita di volontà del richiedente di essere disposto a rispettare gli obblighi di indole generale, determinati dalla legge, nel caso che la concessione venga accordata, e finché il richiedente resterà concessionario». Quanto alla posi- zione dell’Amministrazione, essa emana «l’atto pubblico di obbligazione, di cui tutti gli obblighi e generali del concessionario diventano condizioni» e, pertanto, l’atto è «solo la riconferma della domanda fatta». Da tali rilievo si ritrae che «l’atto di concessione dunque resta atto unilaterale, che dà qualche cosa al privato sotto certe condizioni, le quali naturalmente rappresentano degli obblighi pel concessionario». Allo stesso modo, ribadisce l’assunto, là dove si rimarca che «gli obblighi del privato richiedente, se ve ne sono, possono cominciare ad esistere soltanto dal mo- mento dell’accettazione della sua dichiarazione di volontà, da parte dell’amministrazione, cioè per le condizioni generali dal momento della presa in considerazione della domanda; per le con- dizioni particolari dal momento della stipulazione dell’atto di obbligazione. E non è possibile prima di questi momenti, perché o non vi è una dichiarazione di volontà del privato, come nelle condizioni particolari, o la dichiarazione non è ancora accettata, come per le condizioni generali. […] Il privato si obbliga perché la concessione venga, e se verrà, fatta; per cui solo allora l’atto di

Oltre a questo dato positivo, l’architettura della costruzione ranellettiana poggia sulla chiave di volta della distinzione fra atti iure imperii ed atti iure gestionis. Sulla scia della dot- trina tedesca, l’Autore contrastava l’idea accessoria dell’atto rispetto al contratto, per ciò che l’atto di concessione trova la propria causa negli «scopi di pubblica utilità» e «di inte- resse generale»523. Quando l’Amministrazione opera entro tale solco, essa agisce quale

«autorità» alla stregua delle norme di diritto pubblico e, pertanto, i relativi atti di conces- sione assumono «la qualità di atti d’impero»524.

I negozi giuridici che vengono in rilievo sono differenti, esistono due diverse dichia- razioni di volontà e, quindi, a fronte della domanda del privato (negozio unilaterale se- condo il diritto comune), l’atto di concessione è negozio unilaterale d’impero sulla cui base derivano obblighi per l’Amministrazione e diritti per il privato. È chiaro che l’assun- zione fondamentale su cui si regge tale approdo discende dal recepimento della tesi dot- trinaria del nesso indefettibile fra la cura dell’interesse pubblico e l’emanazione di atti imperativi di diritto pubblico525. Per l’espressione del consenso non è necessario un con-

tratto e, perciò, si esclude la figura del contratto di diritto pubblico.

Seguendo la teoria del negozio giuridico, è del tutto sufficiente l’atto unilaterale del privato (la domanda) che si combina con l’atto unilaterale dell’Amministrazione. I sog- getti interessati dalla vicenda non si pongono sullo stesso piano per la ragione che lo Stato-persona ha natura pubblica e, conseguente, ciò consentirebbe di escludere la con- figurabilità di un contratto526.

Le «facoltà» generate dalla concessione (così come anche quelle derivanti dal rilascio dell’autorizzazione) sono, di regola, interessi legittimi del concessionario e, in talune ipo- tesi, diritti soggettivi. L’Autore distingue fra «concessioni a vantaggio precipuo del con- cessionario» e «concessioni a vantaggio precipuo della pubblica amministrazione»; distinzione che trova il suo omologo nella contrapposizione fra la concessione di beni pubblici e concessione di lavori pubblici (i.e. ferrovie). Rispetto alla prima categoria l’in- teresse del privato e quello pubblico sono fortemente compenetrati e, quindi, le facoltà in capo al concessionario soggiacciono al potere discrezionale dell’Amministrazione.

obbligazione diverrà perfetto, quando sia accordata la concessione, e nel tempo intermedio esso sussisterà, ma come imperfetto», cfr. O. RANELLETTI, Teoria Generale, cit., p. 84.

523 O. RANELLETTI, Teoria Generale delle autorizzazioni e concessioni amministrative, cit., p. 60. 524 O. RANELLETTI, Teoria Generale delle autorizzazioni e concessioni amministrative, cit., p. 62.

525 E. LOENING, Lehrbuch des Deutschen Verwaltungsrechts, Leipzig, 1884; L. STEIN, Handbuch der Verwal-

tungslehre und des Verwaltungsrechts, 1870.

526 O. RANELLETTI, Facoltà create dalle autorizzazioni e concessioni amministrative, in Riv. It.Sc. Giur., 1895, p. 267 ss..

Nelle concessioni del secondo tipo, viceversa, alla compenetrazione di interessi si cumu- lano «facoltà indipendenti» quali il diritto al compenso o al lucro (cioè diritti soggettivi stricto sensu). Il venir meno della compenetrazione di cui si è detto giustifica sempre il potere di revoca o modificazione della concessione senza indennizzo a favore del con- cessionario527.

Non pare, quindi, che nella ricostruzione ranellettiana si possa rivenire la (più o meno consapevole) esistenza del concetto di servizio pubblico. Anzi, l’esercizio del servizio può essere riferito ad entrambe le categorie enucleate e cioè sia in relazione ai beni pubblici che in relazione ai lavori pubblici, tant’è che – come è stato correttamente osservato – anche il concessionario può impiegare il bene pubblico nell’ambito di una prestazione di servizi e, quindi, conseguire il lucro, allo stesso modo del concessionario di lavori pub- blici528. Nonostante questi obiettivi-limite, non è dato sottacere come le principali intui-

zioni dell’opera di Ranelletti si appuntino sull’affermazione degli atti d’imperio, la supremazia dello Stato-persona, la compenetrazione di interessi (pubblico e privato), il riconoscimento dei margini di discrezionalità e la giustificazione del potere di revoca in capo all’Amministrazione.

2.2. Ulteriori sviluppi del dibattito sul crepuscolo del secolo XIX:

Outline

Documenti correlati